QUANDO SI TOCCA IL LORO POTERE, I MAGISTRATI IMPAZZISCONO - IL CSM SI SPACCA SUL DISEGNO DI LEGGE BONAFEDE SULLA RIFORMA DEL CSM E DEL SISTEMA DELLE NOMINE DEI MAGISTRATI - I SETTE CONSIGLIERI LAICI INDICATI DAL PARLAMENTO CONTESTANO AI 16 TOGATI DI VOLER MANTENERE IN PIEDI UN CONSIGLIO CON UN FORTE STRAPOTERE SULLA MAGISTRATURA, E NEL QUALE IL SISTEMA DELLE CORRENTI DI FATTO CONTINUA AD AVERE UN PESO, NONOSTANTE IL CASO PALAMARA. LA RISPOSTA? "IL PIANO BONAFEDE E' ANTICOSTITUZIONALE"
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Liana Milella per www.repubblica.it
Duecento pagine stanno scatenando la "guerra" tra consiglieri laici e togati al Csm. Divise in sei capitoli, contengono il giudizio del Csm sulla legge dell'ex Guardasigilli Alfonso Bonafede proprio sullo stesso Csm, sulla futura legge elettorale, sul destino dei magistrati in politica. Ma anche sui poteri disciplinari di palazzo dei Marescialli, sui criteri di organizzazione degli uffici, sulle valutazioni della professionalità dei colleghi.
Sul sistema del sorteggio per scegliere ogni anno i componenti delle commissioni, affidandole così al caso, anziché alle correnti. Sistema che, appena fu reso noto, scatenò palesi malumori. Materia caldissima dopo il caso Palamara e in vista dell'arrivo dei fondi del Recovery plan che, come dimostra l'ultima versione del testo, mirano a rendere efficiente la macchina dei processi civili e penali. Ma soprattutto adesso che la neo ministra della Giustizia Marta Cartabia si è messa all'opera sulle leggi di Bonafede.
E proprio da lei - come raccontano le indiscrezioni che circolano al Csm - è giunto l'input di fornire subito quel parere sul progetto di legge dell'agosto 2020 che Bonafede aveva già richiesto, ma che in questi mesi non aveva visto la luce. Adesso invece la sua approvazione è diventata urgente, ha detto Cartabia al vice presidente del Csm David Ermini quando i due, giovedì 4 marzo, si sono visti in via Arenula per parlare della procura europea e pianificare l'incontro a piazza Indipendenza del 23 marzo, alla presenza del presidente Sergio Mattarella.
Urgenza ovvia perché Cartabia - che oggi per la prima volta alle 15 sarà di fronte alla commissione Giustizia della Camera per illustrare il suo programma e giovedì andrà al Senato - ha assicurato alle forze politiche che entro la fine di aprile presenterà i suoi emendamenti alle leggi di Bonafede. Quindi anche quella sulle competenze del Csm.
Detto fatto. I sei pareri della sesta commissione (deputata a fornire pareri sulle riforme), che vedono altrettanti relatori - nell'ordine Elisabetta Chinaglia, Giovanni Zaccaro, Loredana Micciché, Fulvio Gigliotti, Alessio Lanzi, Sebastiano Ardita - figurano adesso nell'ordine del giorno che il Csm affronterà mercoledì.
E dalle prime avvisaglie si preannuncia maretta perché i sette consiglieri laici indicati dal Parlamento - due da Forza Italia, due dalla Lega, tre da M5S - ma tra questi soprattutto quelli che fanno capo al centrodestra, contestano ai 16 togati di voler mantenere in piedi un Consiglio superiore con un forte strapotere sulla magistratura, e nel quale il sistema delle correnti di fatto continua ad avere un peso, nonostante il caso Palamara.
Caso dal quale nasce proprio la legge di Bonafede che impone criteri molto rigidi per le valutazioni della professionalità dei magistrati e quindi per le nomine, nonché per la scansione temporale delle stesse. Al Csm, in buona sostanza, si riducono i margini di autonomia e s'impone una trasparenza che scaturisce da regole rigide.
Un dato è certo, e lo mettono subito in chiara evidenza sia Chinaglia che Zaccaro, quando scrivono che la legge di Bonafede "determina una complessiva limitazione del potere discrezionale del Csm che viene in grande misura trasformato in potere amministrativo". Entrambi citano l'articolo 105 della Costituzione laddove recita: "Spettano al Csm, secondo le norme dell'ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni e i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati".
E chiosano che proprio una lettura attenta del dettato costituzionale, tante volte già fatta dalla dottrina e dalla stessa commissione Palladin, "consente di escludere che il Costituente abbia inteso assegnare al Consiglio attribuzioni solo di carattere formale e che il ruolo di quest'ultimo si esaurisca nel dare attuazione a dettagliati precetti del legislatore". In concreto, alla legge Bonafede si rimprovera di essere talmente specifica e al contempo rigida da ridurre al minimo, fino quasi ad eliminare, il potere decisionale e discrezionale del Csm.
Un'argomentazione che, alle sue basi, ha come fondamento la stessa Costituzione. Perché, come scrive Chinaglia, "l'articolo 105 disegna un organo con proprie attribuzioni sostanziali, che implicano l'esercizio di una discrezionalita? amministrativa e non meramente tecnica, senza che la sua attivita? sia fortemente vincolata".
Di conseguenza, "un irrigidimento dei parametri valutativi e degli indicatori e un eccessivo dettaglio nella loro formulazione privano l'azione consiliare della duttilita? necessaria per un intervento tempestivo ed efficace nel settore dell'organizzazione della giurisdizione civile e penale, e in tutte le declinazioni in cui tale intervento si attua, dall'organizzazione degli uffici alla carriera dei magistrati". Un assunto che poi si traduce in un esame dettagliato della legge Bonafede, criticando gli aspetti che più di altri limano le unghie al Csm.
Una critica che i sei relatori distribuiscono poi nei singoli interventi, dal parere degli avvocati sulla carriera delle toghe, alla loro presenza nei consigli giudiziari, all'anzianità imposta come criterio imprescindibile per privilegiare un candidato piuttosto che un altro per un incarico direttivo, al divieto di poter passare da una funzione all'altra, quella di giudice e di pm, non più di due volte nell'arco della vita lavorativa, a fronte delle quattro attuali. Disposizione, quest'ultima, che per la sua rigidità "non sembra aderente all'impianto costituzionale che prevede l'unita? della magistratura". Regola però che, a fronte delle critiche dei togati, vede invece il giudizio opposto dei laico di Forza Italia Alessio Lanzi che vagheggia la netta separazione delle carriere.
Lo stesso Lanzi, quando affronta il tema dei magistrati in politica, esprime un giudizio critico sulla futura regola di toghe che, una volta lasciati gli incarichi parlamentari, siano destinate a un'amministrazione "terza" con divieto di rientrare in magistratura. Una previsione che si risolverebbe in una sorta di "parcheggio" per il giudice in politica, "destinato a un prepensionamento di fatto, con un rilevante danno per l'amministrazione della giustizia, che non potrebbe piu? avvalersi della professionalita? di chi, a fronte di anni spesi nella giurisdizione, possa avere esercitato, per un tempo esiguo, un mandato elettorale o un incarico di governo".
E da un altro consigliere laico, Fulvio Gigliotti, indicato da M5S, arrivano pesanti critiche sull'idea di sorteggiare ogni anno i componenti delle commissioni del Csm. Critiche che peraltro sono a loro volta soggette alle contestazioni degli altri colleghi laici del Csm che invece accusano Gigliotti di strizzare l'occhio alle toghe, le quali "mirano solo a mantenere in piedi il potere delle correnti".
Ma, secondo Gigliotti, "applicando il sistema del sorteggio puro, per il connotato di casualita? che gli e intrinseco, potrebbe accadere che le commissioni siano composte per piu' anni dagli stessi consiglieri, ovvero che siano sorteggiati solo laici o togati, e, tra questi ultimi, unicamente gli appartenenti a una medesima categoria". Per Gigliotti, anche seguendo le indicazione della Consulta, le commissioni dovrebbero essere composte garantendo "la piu' ampia rappresentatività, nell'ottica di valorizzare i diversi contribuiti". All'opposto il sistema del sorteggio "si rivelerebbe farraginoso e disfunzionale".
Infine le critiche - che arrivano dal togato Sebastiano Ardita - sulla nuova legge elettorale per il Csm, un sistema maggioritario uninominale, con doppio turno e preferenze plurime, garantendo anche la parità di genere, organizzato in 18 colleghi, con l'obiettivo, secondo Bonafede, di "assicurare la prossimità del candidato all'elettorato mediante una contiguità territoriale per depotenziare l'influenza delle correnti". Insomma, come spiega Ardita, l'obiettivo sarebbe quello di eleggere magistrati "scelti dai colleghi della porta accanto, e non dalle correnti, sulla base della stima personale e di un programma culturale individuale, e non del sostegno elettorale dei gruppi associativi e di un programma comune ai diversi candidati".
Un sistema che però, pur con dei vantaggi, come quello "di avvicinare i candidati agli elettori, garantire la molteplicita? delle provenienze territoriali dei componenti, favorire la rappresentanza di genere e promuovere le candidature non formalmente collegate alle correnti della magistratura" tuttavia presenta - secondo Ardita - "il rischio di marginalizzare le minoranze associative e culturali".