QUEER DIPLOMACY - IL BOSS DELLA 'PINK MAFIA' ELTON JOHN SFIDA LO ZAR DEGLI OMOFOBI PUTIN: ''INCONTRIAMOCI E PARLIAMO DI GAY'' (DI BOTOX, NO?) - IN RUSSIA IL 54% VUOLE INCARCERARE GLI OMO, E IL 70% PENSA CHE SIANO MALATI DA CURARE - SE QUALCUNO TRATTA MALE LA 'CATEGORIA', SCENDE IN CAMPO LA POPSTAR, DA BRUGNARO A D&G
1.ELTON JOHN SFIDA PUTIN “VEDIAMOCI E PARLIAMO DI GAY”
Anna Zafesova per “la Stampa”
Una tazza di tè e una chiacchierata sui diritti dei gay con Vladimir Putin: Sir Elton John ammette che si tratta di «un sogno», ma vorrebbe provare a far cambiare idea al presidente russo e convincerlo che «i gay non sono il problema del mondo, bisogna accettarli». «È assurdo, sei presidente della Russia e dici stupidaggini come questa?», così esordirebbe il cantante, che ha raccontato il suo sogno alla Bbc. In attesa di farsi ricevere al Cremlino, ha incontrato il presidente ucraino Petro Poroshenko, e tenuto a Kiev una conferenza a imprenditori e politici sui diritti Lgbt.
LA LEGGE OMOFOBA
Sir Elton nel 1979 è stato la prima star occidentale a tenere un concerto in Urss e a Mosca e Pietroburgo fa sempre il tutto esaurito, sia negli stadi, sia nelle serate private per oligarchi con biglietti da 40.000 dollari. Ma ammette che stavolta gli potrebbe andare male: «È possibile che quando mi chiuderò la porta alle spalle Putin riderà di me e mi darà del cretino assoluto». Sempre che non lo faccia deportare, visto che il cantante britannico è l’incarnazione vivente della «propaganda dei rapporti sessuali non tradizionali» che la famigerata legge votata nel 2013 dalla Duma vorrebbe sradicare.
Anche perché la campagna anti-gay è diventata una delle linee del fronte tra Russia e Ucraina. Durante il Maidan a Kiev la propaganda russa sosteneva che l’Ue sognata dagli ucraini li avrebbe costretti a matrimoni gay. Termini come «Gayropa» e «omodittatura Ue» sono comuni nei media, e il divieto di adozioni internazionali nei Paesi con matrimoni gay ha trasformato la tradizionale omofobia in virtù patriottica. A farne le spese sono state decine di persone, dalla liceale di Briansk che ha fatto outing su Facebook al professore di Khabarovsk Alexandr Ermoshkin, licenziato da scuola perché omosessuale.
A cadere vittima della campagna è stato anche il monumento a Steve Jobs a Pietroburgo, un gigantesco iPhone smantellato dopo che il Ceo della Apple Tim Cook ha dichiarato la sua omosessualità. I contorni del reato di «propaganda gay» - che prevede una multa da circa 70 euro per i singoli trasgressori – sono vaghi, e il sito «Bambini 404», rivolto ai ragazzi che si scoprono gay, è stato chiuso, insieme con l’associazione che offriva consulenza e asilo ad adolescenti cacciati di casa.
LA DISCRIMINAZIONE
Il giornalista che ha intervistato Ermoshkin è stato processato perché aveva riportato la sua frase «essere omosessuali è una cosa normale». Il professore è stato anche picchiato da un gruppo di naziskin, e le associazioni Lgbt segnalano che i casi di aggressione sono triplicati. Ultraortodossi e nazionalisti hanno dato la caccia ai gay sui social network, segnalandoli poi a vicini e datori di lavoro: «La legge ci dichiara cittadini di seconda categoria e autorizza ad attaccarci», dice Polina Andrianova della pietroburghese Coming Out.
Il numero dei russi che vorrebbe incarcerare gli omosessuali è raddoppiato in 10 anni, al 54%, e un altro terzo ritiene che i gay siano malati da curare. E proprio ieri, in una risposta indiretta a Elton John, Putin ha decorato Vitaly Milonov, il nazionalista pietroburghese autore della legge «anti-propaganda», con la medaglia «Per i meriti di fronte alla patria».
2.LA DIPLOMAZIA PARALLELA DEL MONDO DELLO “STAR SYSTEM”
Massimiliano Panarari per “la stampa”
Da tempo ci siamo abituati alla politica pop, ma adesso scocca l’ora della pop-politica estera. Il suo alfiere n. 1 sembra essere il musicista e cantante britannico Elton John, dotato di quella che si presenta come una vera e propria agenda diplomatica, fatta di priorità e obiettivi e imperniata sui diritti civili e la lotta contro l’omofobia. Con tanto di scelta oculata dei luoghi d’azione e una tempistica tutt’altro che accidentale o lasciata al caso, degna di una «cancelleria 2.0». Autentica diplomazia postmoderna, che sa risultare anche poco diplomatica (e beneficia del fatto che un artista, a differenza di ministri degli Esteri e ambasciatori, può concedersi qualche licenza in più).
L’ULTIMO INTERVENTO
Sir Elton John (nominato baronetto dalla regina Elisabetta su proposta di Tony Blair) ha lanciato ieri il guanto della sfida a Vladimir Putin, prendendo le mosse da una alquanto controversa e persecutoria legge del 2013 (basata sull’equiparazione di fatto tra gay e pedofili), e ha definito «ridicole e discriminatorie» e «stupide» le posizioni delle autorità russe sugli omosessuali.
E il siluro allo «zar», con contestuale (e spettacolare) richiesta di incontro, è stato spedito dal cantante mediante un’intervista alla Bbc rilasciata proprio mentre si trovava in visita dal presidente dell’Ucraina, impegnato a perorare modifiche legislative anti-discriminazioni e a fare lobbying per la causa Lgbt. E dopo l’incontro con Petro Poroshenko ne ha riferito, dicendosi soddisfatto delle aperture, sull’utilizzatissimo e adorato Instagram, in pieno stile diplomazia social e disintermediazione via Rete (lontanissima, dunque, dalla segretezza e dagli arcana imperii tipici dei rapporti tra gli Stati).
I PRECEDENTI
Ma questo non è che l’ultimo episodio dell’«Agenda John», che ha anch’essa linee strategiche e protocolli da media potenza internazionale, e un raggio d’azione almeno altrettanto (se non ancora di più) globale. Nel marzo di quest’anno, infatti, si era scontrato con gli stilisti Dolce e Gabbana e il loro «pensiero arcaico» (come lo aveva classificato, senza parafrasi felpate da vertice internazionale) sulla famiglia tradizionale e gli «uteri in affitto».
Il musicista – che ha sposato nel dicembre del 2014 il compagno storico, David Furnish, e ha due figli da madre surrogata con la fecondazione artificiale – ha messo nel mirino la moda del duo milanese etichettandola anch’essa come «superata», e ha lanciato una campagna di boicottaggio dei loro vestiti e prodotti, nuovamente via social network. Perché, si sa, siamo tutti consumatori nel Villaggio globale, e nelle relazioni (economiche) internazionali ferisce più il sabotaggio degli acquisti che la spada.
E, ancora, non si sono spenti gli echi della querelle che lo ha visto contrapposto al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro – un politico che con le polemiche ci va a nozze – sulla «lista nera» di libri banditi dalle scuole della città lagunare perché depositari della famigerata (e piuttosto indefinita) teoria gender.
INFLUENZARE LE MASSE
L’idea di una società più aperta, inclusiva e tollerante sta nel dna di una parte del mondo della musica pop contemporanea, ma qui c’è qualcosa di più. La politica, interna e internazionale, di questi nostri decenni – ce lo insegna uno che se ne intende, Joseph Nye jr. (politologo di Harvard e già sottosegretario alla Difesa di Bill Clinton) – si fa anche e specialmente a colpi di soft power e attraverso la capacità di orientare l’immaginario delle opinioni pubbliche.
E, dunque, cosa meglio della musica rock per pesare sui governi e sulle organizzazioni sovranazionali, come Bob Geldof capì tra i primi con i suoi Live Aid (di cui si è da poco ricordato il trentennale)? John si inserisce così, con una strategia chiara e con la volontà deliberata di influire sull’agenda-setting delle relazioni internazionali, proprio all’interno di questo cambiamento dello spirito dei tempi e della politica in un mondo che la globalizzazione ha reso sempre più interconnesso.
Come dicono diversi studiosi, ci troviamo di fronte alla nuova costellazione della governance globale postmoderna che ha visto l’irruzione sulla scena di molti attori non governativi, dalle multinazionali alle Ong, fino, perché no?, a singoli portatori di soft power e personalità che bucano i media su scala planetaria. Come, appunto, la popstar pro-diritti lgbt Elton John.
@MPanarari