QUEL CONFINE INCERTO TRA GOLPE E INSURREZIONE – RAMPINI: “LE TANTE CRISI IN AMERICA LATINA NON SONO DISSIMILI DALLA CRISI CHE ATTRAVERSANO LE DEMOCRAZIE DELL'OCCIDENTE. I POPULISMI SONO LA CONSEGUENZA DI UNA CRISI PROVOCATA DALLE VECCHIE ÉLITE. IL FASCINO DEI MILITARI IN ALCUNI PAESI DERIVA ANCHE DAL FATTO CHE SONO UN'OASI MERITOCRATICA IN MEZZO A UN MARASMA D'INCOMPETENZA”
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Federico Rampini per “la Repubblica”
L'ex presidente della Bolivia, Evo Morales, aveva imboccato una deriva autoritaria. La sua dimissione con successivo esilio in Messico è una buona notizia per il popolo boliviano, che ha contribuito a fermarne il golpe strisciante. Resta il fatto che una spallata decisiva gliel' hanno data i militari. Dobbiamo rallegrarcene ugualmente? Prevale nel giudizio politico su questo evento l' insurrezione dei cittadini, o il ruolo delle forze armate?
L' ambiguità è tipica della nostra epoca. Sul New York Times un commento di Max Fisher tradisce nostalgia per i tempi della guerra fredda, quando tutto era più chiaro, chi erano i buoni e i cattivi, chi faceva le rivoluzioni di popolo e chi sosteneva i golpe fascisti. Ma il caso della Bolivia complica tutto, gli uomini in divisa non hanno preso il potere, che resta in mano ai civili, i quali promettono nuove elezioni.
Morales se n' è andato incolume in Messico, non è finito davanti a un plotone di esecuzione. E tuttavia la transizione politica della Bolivia è traumatica, non rispetta compiutamente né i canoni della liberaldemocrazia né quelli del popolo sovrano.
Leggende a parte, la realtà non fu mai nitida e chiara, neppure ai tempi della guerra fredda quando accadde che i comunisti appoggiassero degli interventi armati contro le insurrezioni di popolo (Ungheria 1956, Cecoslovacchia 1968, invasione sovietica dell' Afghanistan 1979).
Eppure la nostalgia di quei tempi è diffusa, l' abbiamo vista all' opera qualche settimana fa in Cile, quando la vista delle divise in piazza (agli ordini di un legittimo governo civile) ha fatto scattare analogie improprie con i massacri del golpista Pinochet.
A scompaginare i pregiudizi politically correct arriva anche, dal Brasile di Bolsonaro, la decisione del tribunale di liberare il socialista Lula in carcere per corruzione. La sinistra brasiliana è favorevole, il gesto di conciliazione appare opportuno e perfino astuto, ma lo Stato di diritto non ne esce esaltato (come sempre quando il perdono si applica ai potenti).
Il tema drammatico che accomuna tante crisi in America latina non è dissimile dalla crisi che attraversa le liberaldemocrazie dell' Occidente. Il sistema politico fondato sul pluripartitismo e sul suffragio universale, perde consensi quando non è più capace di dare risultati. I populismi sono la conseguenza di una crisi provocata dalle vecchie élite, anche se a loro volta deludono nei risultati di governo (lo vedremo presto in Argentina dopo il ritorno dei peronisti al potere).
Avanza un modello alternativo, quello cinese, che esibisce efficienza e risultati, crescita e modernizzazione, ordine e sicurezza, a cui unisce un potente messaggio nazionalista e mono-etnico. La risposta a quel modello non può venire solo su principi e procedure. Il fascino dei militari in alcuni Paesi deriva anche dal fatto che sono un' oasi meritocratica in mezzo a un marasma d' incompetenza