QUESTA VOLTA CONTE ESCE AMMACCATO (E NON SOLO PERCHÉ DI MAIO L'HA MOLLATO TRA LE BRACCIA DEL PD E DI MATTARELLA) - NON SOLTANTO L'ITALIA, MA ANCHE LA FRANCIA, SI PREPARA A CHIEDERE UN RINVIA. SEGNO CHE AL DI FUORI DELLE ESAGERAZIONI PROPAGANDISTICHE DI SALVINI E MELONI, QUALCHE DUBBIO SUL FUNZIONAMENTO DEL MES È LEGITTIMO
-Marcello Sorgi per “la Stampa”
Al di là di aspetti più o meno spettacolari del «duello», com' è stato definito quello tra Conte e Salvini sul «Mes», il meccanismo europeo di salvataggio dei Paesi con gravi difficoltà di bilancio altrimenti detto «Fondo Salva Stati», non c' è dubbio che la seduta di ieri al Senato sia stata il secondo tempo dello scontro cominciato nella stessa aula il 20 agosto.
Quando appunto Conte si presentò per annunciare le dimissioni del suo primo governo, e con un atto d' accusa durissimo nei confronti di Salvini, che ne aveva provocato la caduta, riuscì magistralmente a porre le basi del suo secondo esecutivo, nato di lì a pochi giorni con un ribaltone di alleanze parlamentari e con l' appoggio, impensabile fino al giorno precedente, del nuovo asse 5 stelle-Pd.
Per quanto il premier sia riuscito a smontare le accuse di Lega e Fratelli d' Italia, di aver firmato un trattato internazionale senza l' autorizzazione del Parlamento, rendendosi responsabile, nientemeno, di «alto tradimento», la sensazione è che stavolta sia riuscito meno brillantemente della precedente a cavarsi d' impaccio, per varie ragioni. Innanzitutto perché all' approvazione in sede europea del «Mes» magari si arriverà, prima o poi, ma solo dopo un rinvio che non soltanto l' Italia, ma anche la Francia, si preparano a chiedere.
Segno che al di fuori delle esagerazioni propagandistiche di Salvini e Meloni («l' Europa vuol mettere le mani nelle tasche degli italiani»), qualche dubbio sul funzionamento del meccanismo è legittimo, come autorevolmente affermato fino a ieri sulla «Stampa» dal professor Carlo Cottarelli.
Impancarsi nella difesa di un trattato intergovernativo, neppure europeo, con la motivazione, tutta politica, che tirarsi indietro avrebbe posto in discussione la natura europeista del nuovo governo - premessa del cambio di clima tra Bruxelles e Roma e della scelta di Gentiloni come commissario agli Affari economici -, s' è rivelata alla fine un inutile irrigidimento, che ha spinto i 5 stelle a smarcarsi e ha regalato all' opposizione il merito di aver fermato la procedura e ottenuto il rinvio.
A premere per il mantenimento degli impegni, per altro risalenti alla gestione Tria del ministero dell' Economia, è stato soprattutto il Pd. Ed è toccato al ministro Gualtieri, alle spalle una solida esperienza nell' Europarlamento, arretrare nel corso del vertice di maggioranza di domenica notte e accettare alla fine la mediazione di Conte, che avrà così più margini per trattare in Europa.
Su cosa abbia spinto il partito di Zingaretti a tenere duro fino al rischio concreto della crisi di governo minacciata da Di Maio, per poi mollare, si possono fare due ipotesi. La prima è che il Pd si sia mosso di sponda con Gentiloni, che appena insediato non aveva voglia di passare per il rappresentante di un Paese piantagrane.
La seconda è che il Pd veda nella caratterizzazione filo-europea dell' attuale governo, contrapposta a quella euroscettica del Conte 1 giallo-verde, un elemento fondamentale dell' alleanza con i 5 stelle, giorno dopo giorno sempre meno basata su un' intesa politica finalizzata a realizzare un programma comune, e declinante invece verso un nuovo accordo, legato a un «contratto», in cui ciascuno cerca di fare i propri interessi, né più né meno come tra Di Maio e Salvini fino all' estate scorsa.
Ma a parte il fatto che un' intesa «strategica», per citare le ambizioni di Zingaretti e Franceschini, con i grillini è ormai improbabile, per non dire fuori dalla realtà, aver scelto per realizzarla il «Mes» e la misura della fede europeista del governo è stato un azzardo. Bastava solo, per essere più prudenti, guardare ciò che sta accadendo in questi giorni in Europa.
Tutto è in movimento: in Spagna si è appena votato per la terza volta in tre anni; in Gran Bretagna per la seconda dopo due; in Germania il cambio di leadership nella Spd fa temere una crisi del governo Merkel, e anche lì elezioni anticipate. I primi passi della nuova Commissione guidata da Ursula von der Leyen sono stati lenti e accidentati; sulla tenuta della sua maggioranza, apparentemente robusta, a Strasburgo, non sono in tanti disposti a scommettere. Gli europeisti hanno vinto nelle urne il 26 maggio ma dal giorno dopo hanno cominciato a dividersi. Ce n' è abbastanza per dire - e il Pd lo sa bene - che, al momento, del doman non v' è certezza.