QUESTI REFERENDUM LI AVEVATE PROPRIO SCRITTI AD MINCHIAM - NELLE MOTIVAZIONI DELLA BOCCIATURA, LA CORTE COSTITUZIONALE RANDELLA I PROMOTORI DEI QUESITI SU EUTANASIA, CANNABIS E GIUSTIZIA: IL PRIMO "RENDEVA LECITO L'OMICIDIO DI CHIUNQUE AVESSE PRESTATO UN VALIDO CONSENSO", QUELLO SULLA MARIJUANA AVREBBE "DEPENALIZZATO ANCHE LA COLTIVAZIONE DEL PAPAVERO SONNIFERO E DELLA COCA", MENTRE IL REFERENDUM SULLA RESPONSABILITÀ CIVILE DEI MAGISTRATI ERA "MANIPOLATIVO"…
-Francesco Grignetti per “La Stampa”
Il presidente Giuliano Amato aveva spiegato a braccio, la sera della decisione, perché tre quesiti referendari erano stati bocciati. Ora arrivano le motivazioni della Corte costituzionale.
Lunghe, articolate, ponderose ragioni per le «inammissibilità» che si possono leggere nella loro interezza sul sito della Consulta. Il referendum sulla responsabilità civile dei giudici non poteva essere ammesso perché non meramente abrogativo, ma manipolativo.
Quello sulla cannabis, perché in contrasto con le Convenzioni internazionali, difettava di chiarezza e coerenza intrinseca e infine era inidoneo allo scopo. Quello sull'eutanasia, perché appunto si sarebbe andati molto oltre l'eutanasia di un malato terminale, depenalizzando l'omicidio di un consenziente.
Questa è la fisiologia dell'iter referendario: dopo la raccolta delle firme e un vaglio della Cassazione, occorre anche il placet della Corte costituzionale. Che in tutta evidenza può essere favorevole o sfavorevole. Ma i comitati promotori stavolta non accettano la bocciatura.
Il Comitato cannabis legale, denuncia una «mistificazione a opera della Corte». Marco Cappato e Filomena Gallo, per il Comitato per la legalizzazione dell'eutanasia, addirittura accusano: «La Corte assesta un ulteriore illegittimo colpo al diritto costituzionale del popolo sovrano di poter ricorrere con successo all'istituto del referendum. Per dichiarare inammissibile il referendum, la Corte ha anticipato in sede di ammissibilità un giudizio astratto di legittimità costituzionale della normativa, errato in molti passaggi, non previsto dalla procedura».
Quanto alle motivazioni, l'abrogazione parziale dell'articolo 579 del Codice penale (omicidio del consenziente) non è stata considerata ammissibile poiché, «rendendo lecito l'omicidio di chiunque abbia prestato a tal fine un valido consenso, priva la vita della tutela minima richiesta dalla Costituzione».
Secondo il giudice costituzionale Franco Modugno, relatore, il quesito referendario avrebbe reso penalmente lecita l'uccisione di chiunque con il consenso della stessa al di fuori dei tre casi di «consenso invalido», ossia di minorenni; di persone inferme di mente o affette da deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di alcool o stupefacenti; oppure estorto con violenza, minaccia, suggestione o carpito con inganno.
Così facendo, cancellando il reato di omicidio di consenziente, non sarebbero rimasti che questi tre paletti all'omicidio di una persone che l'avesse richiesto, «a prescindere dai motivi, dalle forme, dalla qualità dell'autore del fatto, e dai modi in cui la morte venisse provocata».
Come disse il presidente Amato a caldo, però, secondo la Corte costituzionale si sarebbe andati ben al di là dei casi nei quali la fine della vita è voluta da un malato consenziente, prigioniero del suo corpo a causa di malattia irreversibile, di dolori e di condizioni psicofisiche non più tollerabili. La Corte si è preoccupata invece delle persone più deboli, «vulnerabili di fronte a scelte estreme, collegate a situazioni, magari solo momentanee, di difficoltà e sofferenza, o anche soltanto non sufficientemente meditate».
E infine, sulla legalizzazione della cannabis, il quesito è stato dichiarato inammissibile, perché si poneva in contrasto con le Convenzioni internazionali e la disciplina europea in materia, ma anche difettava di chiarezza e coerenza intrinseca ed infine era inidoneo allo scopo.
Come si ricorderà, il quesito era suddiviso in tre parti: depenalizzazione della coltivazione della cannabis: eliminazione della reclusione da due a sei anni per tutti i reati concernenti le droghe leggere; no alla sospensione della patente in caso di uso personale di stupefacenti.
La Corte, relatore il giudice Giovanni Amoroso, ha rilevato invece che l'eliminazione della parola «coltiva» dal primo comma dell'articolo 73 del Testo unico sugli stupefacenti avrebbe depenalizzato anche la coltivazione del papavero sonnifero e della coca.
A dispetto delle intenzioni dichiarate, si andava molto al di là della coltivazione domestica e rudimentale di cannabis. «La Corte ha ritenuto che la lettura riduttiva prospettata dai promotori non è in alcun modo ricavabile dal testo normativo».