QUESTIONE DE VITO E DI MORTE - IL GRILLINO DEL CAMPIDOGLIO, AI DOMICILIARI, FA UN ESPOSTO CONTRO DI MAIO, CHE NON AVEVA IL POTERE DI ESPELLERLO DAL MOVIMENTO. E ORA È PRONTO A CHIEDERE I DANNI PER AVER VISTO LA SUA VITA PROFESSIONALE E POLITICA ROVINATA
-Stefania Piras per “il Messaggero”
Non è stato espulso ma intanto si è autosospeso dal M5S. Perché ora che è ai domiciliari, Marcello De Vito, il presidente dell'Aula Giulio Cesare che ha dovuto lasciare il Campidoglio entrato in carcere con l'accusa di corruzione, contesta gli effetti di quell'espulsione mai arrivata e irrogata dal capo politico Luigi Di Maio.
«Gli è stata rovinata la vita professionale e politica», spiega chi ha condiviso con lui la scelta di ribellarsi. Quando è tornato a casa, dopo 107 giorni passati in cella, ha firmato un esposto al collegio dei probiviri e al Comitato di garanzia che «sovrintende alla corretta applicazione delle disposizioni dello Statuto del M5S», per contestare Di Maio e per chiedere di essere ascoltato. «Il capo politico non aveva il potere di espellermi», si legge nel ricorso.
De Vito da avvocato lo sa ed è pronto a chiedergli i danni. Nell'esposto, di fatto una memoria difensiva, il presidente dell'Aula ribadisce la sua innocenza e conta ben venti violazioni dello Statuto tra cui l'aver parlato della sua espulsione dal M5S, cosa non consentita con un procedimento in corso e che non è nei poteri del capo politico.
IL COMITATO
Nel Comitato di garanzia a cui ricorre De Vito, siedono Roberta Lombardi, Vito Crimi e Giancarlo Cancelleri. La prima, che è stata molto vicina a lui, potrebbe essere la più sensibile alle accuse di strapotere attribuite a Di Maio. Lombardi è garantista: otto mesi fa decise di leggere in pubblico il tormentato discorso di Craxi alla Camera del 1993. E poi il Comitato di garanzia, tra i suoi poteri, ha persino quello di sfiduciare il capo politico. Lo stesso capo politico che sta cercando di trattare con Zingaretti, ma che affossò l'accordo politico che Lombardi stava per siglare con il governatore della Regione Lazio. C'è già abbastanza ruggine depositata nel tempo per complicare la vita a Di Maio.
In Campidoglio si attende con pazienza l'esito dell'indagine. Per la sindaca infatti De Vito rimane un indagato per corruzione. Non è così automatico, dunque, che si ritorni a sedere in Aula Giulio Cesare. Fonti capitoline fanno trapelare che la sindaca segue con distacco la vicenda, forse anche per mascherare l'enorme imbarazzo di dover riaccogliere nei propri uffici «la mela marcia», copyright di Di Maio. Perciò la prima cittadina fa sapere che in primis, a livello giudiziario, rispetterà l'esito delle indagini della magistratura, che sta ancora lavorando.
E poi Raggi sottolinea che se De Vito tornerà non è perché sarà lui a deciderlo, ma spetta al prefetto. È Gerarda Pantalone infatti l'unica che per legge può revocare la sospensione. «Sul piano politico - ragiona Raggi - c'è un procedimento aperto dal collegio dei probiviri nei confronti di De Vito che farà il suo corso». Insomma, la distanza è siderale.
Anche diversi consiglieri di maggioranza ci vanno cauti. Per Andrea Coia bruciano ancora le intercettazioni della congiunzione astrale favorita dal M5S per fare affari. Per Carlo Maria Chiossi «bisogna essere realisti e aspettare il Riesame». «Ma non è detto che non sia rinviato a giudizio, la strada è ancora lunga», ribadisce. Anche Simona Donati non si sbilancia: «Aspettiamo i magistrati, sospendo il mio giudizio, bisogna capire come finirà l'inchiesta». Per Nello Angelucci, Sara Seccia e Agnese Catini prevalgono l'aspetto umano e quindi il dubbio di un colossale errore giudiziario.
LE ACCUSE
«Se cadono le accuse penali devono cadere anche quelle disciplinari», sottolinea chi dentro il M5S vuole abbattere il muro del giustizialismo. Ma i probiviri non si scompongono. «De Vito è stato già sospeso al netto dell'espulsione irrogata da Di Maio mai partita - spiegano - il giorno dell'arresto in carcere gli è stata inviata una mail, ma siccome non poteva vederla, quando è andato ai domiciliari gli è stata notificata la sospensione una seconda volta attraverso un ufficiale giudiziario». Lui intanto si è autosospeso. «E ha fatto bene perché al momento non ci sono intercettazioni scottanti, ma l'indagine non è ancora chiusa», dice chi è convinto che l'indagine sullo stadio riserverà altri colpi di scena. Per il garantismo, insomma, c'è tempo.