QUIRINAL TANGO - CASA FARÀ MATTARELLA NELL'IPOTESI DI VITTORIA DEL SÌ AL TAGLIO DEI PARLAMENTARI? E COME RISPONDERÀ ALLA SICURA RICHIESTA DI SALVINI DI SCIOGLIERE IL PARLAMENTO DOVE SIEDONO 345 “ABUSIVI”? SE POI LA DESTRA TRIONFASSE ALLE REGIONALI? LA PRASSI PREVEDE CHE LE ELEZIONI POSSANO VENIRE ANTICIPATE SOLO NEL CASO IN CUI MANCHI UNA MAGGIORANZA. MA SE LA MAGGIORANZA ESISTE, ED ESPRIME UN GOVERNO, CONVOCARE LE URNE EQUIVARREBBE QUASI A UN COLPO DI STATO. TRA L'ALTRO LO SCIOGLIMENTO ANDREBBE CONTROFIRMATO DA CONTE. QUINDI, SIAMO TRANQUILLI…
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Ugo Magri per “la Stampa”
In caso di vittoria del Sì, possiamo già immaginare cosa farà Salvini: la notte stessa dei risultati si presenterà in tivù; e rivolto al presidente della Repubblica, gli chiederà di sciogliere il Parlamento.
Non sarebbe la prima volta che l' ex vicepremier gioca la carta della spallata. Da quando guida l' opposizione, più volte ha chiesto a Sergio Mattarella di mandare tutti a casa. Con la differenza che il 21 settembre, se i sondaggi avranno azzeccato il pronostico, Salvini penserà di avere un motivo in più per pretendere ascolto, di natura politica ma anche giuridica e costituzionale.
Dirà (secondo svariati indizi) che in Parlamento siedono 345 «abusivi», i deputati e i senatori di troppo. E sebbene il taglio scatti dalla prossima legislatura, perché così vuole la riforma, l' ossequio alla volontà popolare pretenderebbe di accorciare i tempi con elezioni immediate.
Se poi il centrodestra facesse «cappotto», e alle Regionali conquistasse sei regioni su sei, il Capitano farebbe leva su quello che i cultori del diritto definiscono «disallineamento» tra Paese reale e Paese legale. In pratica, un Parlamento non più rappresentativo dei nuovi equilibri. Cosicché l' Arbitro dovrebbe rassegnarsi e dichiarare «game over». Se non lo facesse, rinuncerebbe a un potere che gli assegna la Costituzione.
Ma il Quirinale, a quel punto, cosa potrebbe obiettare? Prevederlo a tre settimane dal referendum sarebbe come interpellare una Sfinge, tanto più che il palazzo è deserto (anche se il presidente si trova a Castelporziano, mezz' ora da Roma). Certo è che, alla tesi del Parlamento «delegittimato» dal Sì, sul Colle credono in pochi; né lassù si farebbero condizionare dal pressing salviniano.
Perché è vero che il capo dello Stato può sciogliere le Camere «sentiti i loro presidenti», quasi una formalità; però non si tratta assolutamente di un potere assoluto, arbitrario, monarchico. La prassi prevede che le elezioni possano venire anticipate solo nel caso in cui manchi una maggioranza. Ma se la maggioranza esiste, ed esprime un governo, convocare le urne equivarrebbe quasi a un colpo di Stato.
Tra l' altro lo scioglimento, come tutti gli atti presidenziali, andrebbe controfirmato dal premier, il quale in teoria potrebbe rifiutarsi (sebbene sulla natura formale o sostanziale della controfirma la dottrina non sia affatto concorde).
In chiave di pura fantapolitica si potrebbe addirittura ipotizzare un conflitto di attribuzione davanti alla Consulta, nel caso di volontà divergenti. «Al di là di tutte le motivazioni dello scioglimento», argomenta il giurista Dem Stefano Ceccanti, «c' è un' unica certezza: per sciogliere devono firmare in due, presidente della Repubblica e presidente del Consiglio. Altrimenti non si può fare».
A questo riguardo c' è un precedente, che al Quirinale conoscono a menadito. Ventisei anni fa l' allora presidente, Oscar Luigi Scalfaro, indisse nuove elezioni alla luce dei grandi cambiamenti politici che si erano determinati con Mani Pulite, compresa la riforma del sistema elettorale.
A prima vista sembrerebbe la fotocopia della situazione attuale, nel caso vincesse il Sì. Ma c' è un dettaglio decisivo: Scalfaro ottenne il via libera dell' allora premier, Carlo Azeglio Ciampi, il quale dichiarò esaurito il proprio compito spianando così la strada al decreto di scioglimento. Che Giuseppe Conte voglia regolarsi allo stesso modo di Ciampi, è perlomeno lecito dubitare.