"I 166 VOTI A MATTARELLA SONO UN ATTO D'ACCUSA VERSO L'INCERTEZZA E L'IMPOTENZA DEI VERTICI" - FOLLI: "È SORPRENDENTE CHE IL CENTROSINISTRA, PER LE DIVISIONI TRA PD E 5S, NON RIESCA AD AVERE UN NOME DA PROPORRE, CONFIDANDO SOLO NELLE DIFFICOLTÀ DELLA DESTRA. LA PUBBLICITÀ NEGATIVA PER IL SISTEMA PARLAMENTARE NON POTREBBE ESSERE PIÙ ESPLICITA. DOPO ANNI DI POPULISMO E DI ANTI-POLITICA, QUESTO È PROPRIO LO SPETTACOLO CHE NON DOVEVA ANDARE IN SCENA. INVECE SIAMO NEL MEZZO DI UNA CATTIVA RAPPRESENTAZIONE…"
-Stefano Folli per "la Repubblica"
Alcuni punti fermi nella gimcana del Quirinale, partendo dalla convinzione abbastanza diffusa che oggi dovrebbe essere il giorno della svolta. Se non fosse così, si entrerebbe in una terra incognita. Perché è vero che nel 1971 ci vollero 23 votazioni per eleggere Giovanni Leone e la Repubblica non crollò. Ma erano altri tempi e un altro sistema politico, solido anche nei passaggi di crisi. Oggi cinque o sei votazioni fallite darebbero già l'idea di una caduta senza rete: è l'effetto di una sorta di partitocrazia senza partiti, con il Parlamento percorso da fazioni insofferenti alla vecchia disciplina.
Così ieri è accaduto per il secondo giorno consecutivo che il presidente uscente Mattarella abbia dominato la scena. Ha ottenuto 166 voti di stima. Certo, un modo per suggerire la rielezione, ipotesi che resta assai remota ma non esclusa. Il punto è che ha votato poco più di mezzo Parlamento, per via dell'astensione del centrodestra. Quindi i 166 suffragi per Mattarella in un certo senso pesano di più e costituiscono per la seconda volta un atto d'accusa verso l'incertezza e l'impotenza dei vertici.
In effetti è sorprendente che il centrosinistra, per le divisioni tra Pd e 5S, non riesca ad avere un nome da proporre, confidando solo nelle difficoltà della destra che a sua volta si è chiamata fuori, astenendosi. Il Pd con il suo infido alleato, il M5S, ha scelto di giocare sempre di rimessa. Opzione rischiosa, alla lunga. Di fatto la politica della scheda bianca non convince: ieri metà delle schede si è trasformata in un preciso messaggio politico. Forse allora non basta attendere che la corrente del fiume porti a Draghi come frutto non di una decisione netta, bensì di un cedimento alle circostanze.
Non va dimenticato, del resto, che i consensi all'attuale capo dello Stato indicano anche una subordinata: non un altro mandato per lui, bensì l'esigenza di trovare un personaggio "alla Mattarella", una figura che per cultura, stile e consuetudini incarni l'idea stessa della continuità. Sarebbe essenziale per stabilire la necessaria sintonia con il premier Draghi ed evitare sbandamenti nel governo. Viceversa la destra, come detto, copre le sue fratture non ritirando nemmeno la scheda. Scelta bizzarra che ha trasformato la seduta comune delle due Camere in una gara in "surplace".
La pubblicità negativa per il sistema parlamentare non potrebbe essere più esplicita. Dopo anni di populismo e di anti-politica, questo è proprio lo spettacolo che non doveva andare in scena. Invece siamo nel mezzo di una cattiva rappresentazione. Gli stessi che l'hanno mandata in scena sono obbligati adesso a trovare una soluzione. Quale? Sembra assodato che stamane il gioco dell'astensione non sarà ripetuto. Ma Salvini, giunto al bivio, fatica a imboccare una strada.
Frattini e Cassese, i due nomi di cui si parla, non sono in alcun modo intercambiabili. Il primo rappresenta una sfida al Pd, concepita per raccogliere voti tra i seguaci di Conte (certo non di Di Maio). L'effetto sarebbe il collasso del governo e le elezioni anticipate. Il secondo è i l contrario: prefigura un'intesa con il Pd e sconta l'ostilità di Conte e compagni. In entrambi i casi il centrosinistra nel suo complesso pagherebbe un prezzo, ma nel caso di Frattini la legislatura si avvierebbe alla fine. Tanto più che in aula si è visto come la destra non disponga di una sicura maggioranza: astenuti 441. Un'altra leggenda smentita.