"L'AGITAZIONE DI SALVINI NE TRADISCE LA DEBOLEZZA POLITICA" - UGO MAGRI: "IERI HA AVUTO LA REAZIONE TIPICA DEL LEADER FERITO. NON AVEVA URGENZA DI PIANTARE LA GRANA, SFIDANDO A MUSO DURO DRAGHI SULLA LEGGE DELEGA SUL FISCO. HA SCELTO LA TEATRALITÀ, COME SE DOVESSE DIMOSTRARE DI ESSERE ANCORA VIVO - DRAGHI NON È PERSONAGGIO DA LASCIARSI INTIMIDIRE FACENDOGLI 'BAU'. PERCHÉ SE SALVINI DECIDESSE DI ROMPERE, IL GOVERNO TIREREBBE AVANTI SENZA LA LEGA. REPLICANDO IL PAPEETE, MATTEO VANIFICHEREBBE TUTTI GLI SFORZI COMPIUTI…"
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Ugo Magri per “La Stampa”
Se restare calmi è la virtù dei forti, l'agitazione di Matteo Salvini ne tradisce la debolezza politica. Ieri ha avuto la reazione tipica del leader ferito. Anziché sviscerare le ragioni della sconfitta elettorale, alcune piuttosto facili da mettere a fuoco, ha colto al volo un pretesto per scaricare sul governo la sua delusione.
Perché di pretesto, appunto, si tratta: un ritardo nella consegna ai ministri della legge delega sul fisco. Che la bozza sia circolata solo all'ultimo momento, giusto un'ora prima di approvarla, trova conferme autorevoli. E non è certo l'eccezione alla regola. Da quando a Palazzo Chigi c'è Mario Draghi, la riservatezza è consuetudine, prassi costante. Specie su temi delicati, dove ci sono enormi interessi in ballo, si vogliono evitare fughe di notizie che scatenerebbero il solito tritacarne di smentite e contro-smentite dove sguazzano le lobby.
E visto che le indiscrezioni filtrano spesso dagli entourage dei ministri, ecco spiegato come mai le bozze vengono tenute dal premier sotto chiave. Nessuna mancanza di rispetto alle forze politiche, insomma. Né la Lega aveva mai contestato il «metodo Draghi», applicato nei confronti dei ministri di ogni colore. Fino a ieri, appunto, quando il Capitano ha dato ordine di disertare il Consiglio dei ministri in segno di indignata protesta.
Uno scatto di nervi che in altre stagioni della Repubblica avrebbe provocato immediati chiarimenti e, magari, la crisi del governo in carica. C'era davvero motivo di arrivare a tanto? Se Salvini nutriva dubbi sulla legge delega, che in fondo è una scatola vuota perché fissa indirizzi generali da tutti condivisi (fiscalità più equa ma senza aumentare le tasse), avrebbe potuto tranquillamente farli pesare nelle prossime settimane e nei mesi a venire durante un esame parlamentare che prevede mille altri passaggi.
Non aveva alcuna vera urgenza di piantare la grana, sfidando a muso duro il premier, accusandolo sopra le righe di comportamento scorretto. Sarebbe bastata (al massimo) una telefonata. Invece Salvini ha scelto la teatralità, come se dopo la legnata di 24 ore prima dovesse dimostrare qualcosa. Di essere ancora vivo e in grado di vendere cara la pelle. Ammaccato e dolorante ma disposto al tutto per tutto. In chiara difficoltà eppure deciso a risalire la china.
Aveva bisogno di rincuorare le truppe suonando una carica immediata, anche se disperata: perché non c'è vera logica in questa fiammata improvvisa, tantomeno una strategia. Perché Draghi non è personaggio da lasciarsi intimidire facendogli «bau». Perché se Salvini decidesse di rompere, il governo tirerebbe avanti senza la Lega, ci sono i numeri per farne a meno. Perché siamo al terzo mese del «semestre bianco» che impedisce di sciogliere le Camere, e non andremmo comunque a votare. Perché, replicando il Papeete, Matteo vanificherebbe tutti gli sforzi compiuti per accreditarsi quale leader responsabile. Perché alla fine darebbe soltanto ragione a Giorgia Meloni, che ieri non a caso lo spronava, e già questo dovrebbe farlo pensare.