"BIBI" BANGO BONGO, VUOLE I NEMICI TUTTI IN CONGO – POLEMICHE PER L’IDEA DI NETANYAHU DI MANDARE I PALESTINESI DI GAZA NEL PAESE AFRICANO. IL PRESIDENTE CONGOLESE AVREBBE DATO PURE IL VIA LIBERA – IL GOVERNO ISRAELIANO NEGA UFFICIALMENTE L’IPOTESI MA BIBI PRECISA: “ESILIEREMO SOLO I TERRORISTI DI HAMAS” - DUE SUOI MINISTRI ULTRÀ FANNO INCAZZARE FRANCIA E USA, PROPONENDO UNA NUOVA COLONIZZAZIONE ISRAELIANA NELLA STRISCIA…
-Francesco Battistini per il “Corriere della Sera” - Estratti
«Voi israeliani per me siete una fonte d’ispirazione! Perché avete Dio dalla vostra parte!». Fulminato sulla via di Tel Aviv, il presidente congolese Felix Tshisekedi decise tre anni fa di riallacciare i rapporti con Israele. Riaprendo un’ambasciata, firmando accordi e soprattutto — «da cristiano» — elargendo a Bibi Netanyahu sperticati complimenti: «Siete una fonte d’ispirazione, m’insegnate che cosa può fare un popolo quando ha con sé il favore divino…».
Il premier israeliano non s’è mai dimenticato di quell’incontro. E nel momento peggiore, ha richiamato il suo nuovo, miglior amico: secondo il Times of Israel, sarebbe proprio alla Repubblica democratica del Congo che in questi giorni Bibi avrebbe chiesto d’accogliere decine di migliaia di palestinesi espulsi da Gaza. Tshisekedi avrebbe detto sì.
Si chiama piano «The day after». E ieri sera, slittato d’un giorno perché in agenda era esplosa l’emergenza Libano, se n’è discusso al Consiglio di gabinetto convocato da Netanyahu. Il Congo, ma anche l’Arabia Saudita. È una vecchia idea del governo israeliano: in ottobre, propose all’Egitto di piazzare «temporaneamente» i gazawi nel deserto del Sinai (e Al Sisi rispose: perché non ve li tenete nel vostro deserto del Negev?), ora bussa ad altri Paesi.
L’ipotesi è negata ufficialmente. Bibi ammette che «il nostro problema è trovare chi sia disposto ad assorbire gli abitanti di Gaza» e però parla solo d’«esiliare» i capi di Hamas non ancora eliminati, magari in Qatar.
Due suoi ministri ultrà hanno fatto arrabbiare Francia e Usa, proponendo il «reinsediamento» dei palestinesi e una nuova colonizzazione israeliana nella Striscia: sarebbe «una soluzione umanitaria», garantiscono Smotrich e Ben Gvir, «il 70% degli israeliani è per un’emigrazione volontaria dei gazawi, perché non è più accettabile che due milioni di persone si sveglino ogni mattina a cinque minuti da casa nostra sognando di distruggerci», mentre «la discussione sul dopoguerra sarebbe ben diversa se nella Striscia rimanessero solo 100-200 mila palestinesi, non due milioni».
E poi? L’emigrazione forzata dei palestinesi sembra impensabile. E il «day after» è uno scenario immaginifico, in questa fase. Ma Netanyahu e i suoi ne stanno discutendo.
Il premier e il ministro della Difesa, Yoav Gallant, hanno idee diverse: unica base comune, è che Hamas sparisca e che sia l’esercito israeliano a controllare un eventuale, primo dopoguerra. Ai primi di dicembre egiziani, giordani, emiratini e sauditi sono stati informati dell’intenzione di creare un’area-cuscinetto che isoli Gaza da Nord a Sud.
Dopodiché, i Paesi arabi moderati verrebbero coinvolti solo nella gestione umanitaria e nel disarmo palestinese, con la possibilità per i residenti del nord di Gaza di tornare dov’erano e con uno status speciale di no man’s land concesso alla Philadelphi Road (la zona dei tunnel) e al valico di Rafah (verso l’Egitto).
Gli Usa premono per un ridisegno amministrativo della Striscia, con governatorati e affidati a leader e clan palestinesi affidabili. Salam Fayyad, economista di Princeton che fu premier palestinese in Cisgiordania dal 2005 al 2013, sarebbe già stato scelto come futuro governatore: ha opinioni moderate e buoni rapporti con gli israeliani
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