LE "COLOMBE" CHE VOLANO SUL CREMLINO FINISCONO ARROSTO - NON SI SA CHE FINE ABBIA FATTO DMITRY KOZAK, STORICO CONSIGLIERE DI PUTIN E DA CINQUE ANNI A CAPO DELL'OPERAZIONE SPECIALE CHE HA PORTATO ALL'INVASIONE DELL'UCRAINA: LA SUA COLPA ERA QUELLA DI ESSERE POCO INTERVENTISTA E DI VOLER INSISTERE SULLA VIA DELLA DIPLOMAZIA - "MAD VLAD" LO HA DI FATTO CANCELLATO DAL SUO STAFF E PROBABILMENTE FATTO ARRESTARE...
-Marco Imarisio per il “Corriere della Sera”
Sono tempi in cui le colombe svaniscono nel nulla. E se poi volavano sul Cremlino, possibile che abbiano fatto una brutta fine. Pomeriggio del 21 febbraio. Dmitry Kozak è uno degli uomini più forti della verticale russa del potere. Vladimir Putin li ha riuniti tutti al Cremlino, al vertice del Consiglio di sicurezza, per annunciare loro l'intenzione di riconoscere le due autoproclamate repubbliche del Donbass.
È il momento in cui il mondo capisce che non deve più chiedersi se l'Armata rossa entrerà in Ucraina, ma solo quando lo farà. Quella riunione passa alla storia recente per il modo brusco in cui il presidente zittisce e umilia il capo dei servizi segreti Sergey Naryskhin, che chiedeva più tempo per evitare un intervento militare.
Ma poco prima c'era stata un'altra vittima. Kozak è il vicedirettore dello staff di Putin. Ma il legame tra i due esula da ogni incarico ricoperto dall'ex soldato dei Corpi speciali. Il presidente lo ha sempre avuto con sé da quando entrambi erano consiglieri del sindaco di San Pietroburgo Anatoly Sobchak, affidandogli ruoli molto delicati.
Per questo, da cinque anni, lo ha messo a capo dell'operazione speciale, che a quella data significava solo la gestione dei rapporti con l'Ucraina. Quando inizia a parlare, Kozak spiega come il governo di Kiev non abbia fatto alcun passo in avanti verso la Russia. Fa una sorta di mea culpa, dicendo che dal 2015 esiste una situazione di stallo anche se qualche progresso sarebbe ancora possibile per via diplomatica.
Ma c'è qualcosa che non va. Fuori dall'inquadratura, si sente uno «spasiba», un grazie detto ad alta voce da Putin.
Basta così, non c'è bisogno di aggiungere altro. Kozak invece prosegue, mentre il presidente tamburella con la mano sul tavolo, visibilmente spazientito. Lo «spasiba» questa volta risuona ancora più perentorio.
Da allora, più nessuna notizia di una delle personalità più in vista e più vicine al presidente russo. Una corsa del gambero, fino alla smaterializzazione. Il 24 febbraio, Kozak viene rimosso da ogni incarico. A cominciare da quello di capo dei negoziatori con Kiev.
Il suo nome viene anche tolto dall'agenda informativa quotidiana, come se non esistesse più. Lo scorso 22 maggio fonti ucraine hanno riferito di un suo arresto per collaborazionismo, circostanza che è stata rilanciata da alcuni media indipendenti russi, ma senza nessuna conferma ufficiale.
A Mosca, gli esperti danno una spiegazione quasi naturale della sua innegabile caduta in disgrazia. Il presidente ha perso la pazienza con lui, dopo aver riposto fiducia nel buon esito dei negoziati che gli era stato prospettato. E per ogni fallimento, specialmente se lungo otto anni, serve un colpevole.
Poco importa se è un amico di lunga data dai tempi di San Pietroburgo, due volte ministro, due volte capo della sua campagna presidenziale, un uomo di rappresentanza, tra le altre cose il più alto in grado a ricevere Matteo Salvini durante uno dei suoi celebri viaggi in Russia. E poi Kozak, che negli ambienti della diplomazia era soprannominato il gatto del Cheshire per via del suo sorriso ambiguo, sconta una pena doppia. È nato e cresciuto in Ucraina, dove ha mantenuto i suoi affari, che lo hanno reso anche bersaglio della prima tornata di sanzioni internazionali dopo la prima guerra nel Donbass.
Era il filo diretto tra il Cremlino e l'oligarca Viktor Medvedchuk, amico personale di Putin, catturato lo scorso aprile dall'esercito ucraino mentre, così recita la versione ufficiale, tentava di fuggire dagli arresti domiciliari ai quali era costretto dal maggio 2021.
Una volta uscito di scena il personaggio che il Cremlino aveva designato come architrave di un eventuale cambio di regime a Kiev, forse anche l'utilità di Kozak è venuta meno. Tanto più che il suo nome è divenuto oggetto di una propaganda al contrario. «Mitya, ma tu davvero sei d'accordo con il massacro del tuo popolo?».
L'intervista alla sua prima maestra, che lo chiama con il nomignolo confidenziale che gli era stato attribuito da bambino in Ucraina, è solo un esempio. Sono stati fatti parlare suoi amici, conoscenti, parenti di terzo grado. Tutti a chiedergli perché. Ma ovunque si trovi, Kozak l'ucraino ormai è lontano. E di sicuro non può permettersi di rispondere.