"CON IL DDL ZAN C'È IL PERICOLO CHE SI SOTTOPONGANO LE OPINIONI A SCRUTINIO GIUDIZIARIO" - LA STORICA E FEMMINISTA "DUCETTA" SCARAFFIA SI SCHIERA CONTRO IL DISEGNO DI LEGGE: "NELL'ARTICOLO 4, C'È UNA CLAUSOLA CHE RIBADISCE LA PUNIBILITÀ DELLE OPINIONI CHE INTEGREREBBERO IL "CONCRETO PERICOLO" CHE SI COMPIANO DISCRIMINAZIONI O VIOLENZE. MA DECIDERE COS'È CHE INCITA ALLA VIOLENZA E COSA NO RIMANE UNA PREROGATIVA DEL MAGISTRATO. E QUESTO È MOLTO PERICOLOSO - IL MONDO LGBT E' MISOGINO: QUELLA INTORNO ALLA MATERNITÀ È UNA LOTTA PER IL POTERE"
-Alessandro Rico per "la Verità"
Storica, professoressa di storia contemporanea all' Università La Sapienza di Roma, Lucetta Scaraffia è membro del Comitato nazionale di bioetica. Da anni scuote l'establishment accademico e culturale per le sue posizioni tanto acute, quanto refrattarie ai dogmi del pensiero unico. Femminista, ma anche cattolica, risoluta oppositrice di certe derive dell'ideologia arcobaleno. Qualche giorno fa, ha suscitato vivo interesse un suo editoriale sul Quotidiano Nazionale, in cui difendeva il diritto della Chiesa d'intervenire sulla delicata e divisiva questione del ddl Zan.
Professoressa, erano anni che non si sentivano più lamentele sull'«ingerenza» del Vaticano negli affari politici italiani. Crede che la nota verbale sulla legge contro l'omotransfobia fosse legittima?
«Sì, perché era una nota di tipo giuridico e diplomatico. E aveva a che fare solo ed esclusivamente con il rapporto tra due Stati. Qualcuno, invece, l'ha erroneamente scambiata per una nota di tipo morale».
È un problema il fatto che si stia cercando di conferire sanzione normativa a una concezione filosofica e antropologica - l'identità di genere?
«Sì, secondo me è un problema. Soprattutto se poi vengono puniti quelli che non condividono quest' ideologia. Perché, semmai, è proprio la libertà di pensiero ed espressione a costituire la base di tutti i diritti».
Esiste, quindi, il pericolo che, in virtù del ddl Zan, si sottopongano le opinioni a una sorta di scrutinio giudiziario?
«A mio avviso, sì. Questo pericolo esiste».
In una recente intervista, lo stesso Alessandro Zan, nel tentativo di sottrarre la legge a questa obiezione, ha praticamente dettato al sacerdote ciò che può dire e non può dire durante un'omelia.
«Non ricordo questo episodio in particolare, ma è una cosa che non mi meraviglia».
No?
«Nell' articolo 4 del ddl Zan, c' è una clausola che ribadisce la punibilità delle opinioni che integrerebbero il "concreto pericolo" che si compiano discriminazioni o violenze».
Quindi?
«Decidere cos' è che incita alla violenza e cosa no rimane una prerogativa del magistrato. E questo è molto pericoloso».
Sembra che, nonostante le forti resistenze del Pd di Enrico Letta, si stia aprendo uno spiraglio di mediazione politica. Italia viva, ad esempio, propone di convergere su un testo che elimini i riferimenti all' identità di genere, cassi l'articolo 4 e, quanto alla giornata sull'omotransfobia, che andrebbe celebrata nelle scuole, ribadisca l'autonomia degli istituti.
Crede sia un compromesso accettabile?
«Mi sembra di sì, perché si eliminerebbero i rischi più gravi. Dopodiché, io ho proprio una posizione diversa».
Cioè?
«Ho un'idea antica: penso che ai bambini si debba insegnare il rispetto dell'altro in generale: di ogni persona, di ogni essere umano».
E invece, cosa si cerca di fare?
«Qualcuno è convinto che si debba insegnare il rispetto per categorie: i disabili, gli omosessuali... Alcune categorie sono protette e vanno rispettate. E gli altri? La trovo un'idea profondamente sbagliata».
I critici vanno oltre: sostengono che sia in atto un tentativo di manipolare i bambini e di conculcare la libertà educativa delle famiglie. Sono ansie giustificate?
«Guardi, tutto sommato credo che nella realtà quotidiana queste cose non succedano così di frequente. Quelle sono posizioni ideologiche che, per fortuna, hanno poco a che fare con la realtà delle scuole».
Esiste l'ideologia gender? Chi ne propugna i principi, al contempo, lo nega.
«Esistono tante forme di questa ideologia. E alcune sono anche forme positive di attenzione all'appartenenza a un genere sessuale».
Ad esempio?
«Io sono una storica. Una volta si faceva storia senza distinguere gli uomini dalle donne.
Adesso, oltre che studiare gli avvenimenti di cui erano protagonisti gli uomini, ci si deve interrogare anche su quale fosse la condizione femminile in quel dato periodo. Mi sembra buono e giusto».
La «diversità» è diventata una specie di dogma. A ben vedere, però, promuovere l'annullamento delle differenze sessuali significa scivolare proprio dalla «diversità» alla «fluidità». Non sono due concetti antitetici?
«Sì, sono due cose diverse. Ma anche in questo caso, ho la sensazione che siano elaborazioni teoriche che nella realtà della vita non hanno alcuna presa. Sono posizioni ideologiche a cui nessuno presta veramente attenzione».
Nel suo editoriale sul Qn difendeva - cito - «una verità che è sotto gli occhi di tutti», ovvero, «che i desideri trovano un limite nella realtà». Intende dire che siamo esposti a una specie di dittatura del desiderio?
«Senz'altro: ne sono convinta».
E da cosa scaturisce?
«È una forma tipica del nostro tempo. I desideri sono sollecitati continuamente per via del consumismo. E questa continua sollecitazione ci convince che abbiamo diritto a tutto».
È da questo paradigma filosofico che originano anche pratiche come l' utero in affitto?
«Sì. Tra l' altro, io sono una delle più impegnate contestatrici dell' utero in affitto. E ci ho scritto un libro contro, La fine della madre».
Riflettiamoci su un secondo. I gay pride invocano il libero accesso a tutte le tecnologie riproduttive. In Francia è stata appena approvata una legge che consente la fecondazione eterologa a coppie lesbiche e donne single.
In Spagna, la ley trans ha ridotto mamma e papà a persona «incinta» e individuo «non gravido». Non le pare sia in atto una rimozione della figura del padre?
«Al contrario: a me sembra che si tratti piuttosto di una cancellazione della figura della madre».
Perché?
«Quello della madre diventa una specie di lavoro pagato, con uno spezzettamento tra la donna che vende gli ovuli, quella che vende l'utero e quella che paga per avere il bambino. È soprattutto una distruzione della figura della mamma».
Ma chi è che spinge per quello che, a questo punto, è un vero e proprio sconvolgimento della natura umana? E perché?
«La logica sottesa è sempre quella: la pretesa di avere tutto ciò che si desidera, anche quando non si è donne. È la volontà di appropriarsi della specificità delle donne: il loro potere generativo. E poi c' è un altro aspetto».
Quale?
«Mi sembra che l'obiettivo finale sia quello di distruggere le identità sessuali».
In che modo?
«Siccome l'identità femminile si fonda sulla maternità, se uno fa a pezzi la maternità, distrugge anche la femminilità».
Si può trovare un punto di equilibrio tra l'ascolto del disagio di chi non si identifica con il proprio genere sessuale biologico e la necessità di difendere, in ogni caso, un'elementare verità antropologica, cioè che esistono uomini e donne?
«Si può trovare benissimo. Basterebbe lasciare ogni persona libera di scegliere il comportamento sessuale che preferisce, senza che questo debba avere a che vedere con la sua identità sessuale. Al netto di quei casi patologici di confusione dell'identità sessuale, che sono rarissimi».
Un'altra questione dibattuta è la transessualità infantile. Siamo su una china pericolosa?
«Come sa, faccio parte del Comitato nazionale di bioetica e abbiamo scritto un documento proprio su questo tema: le cure ormonali sui ragazzi giovani che percepiscono un'incertezza quanto alla loro identità sessuale».
Chiedete prudenza nei loro confronti?
«Di più: fino alla maggiore età siamo contrari a queste terapie. Ma io stessa, nella mia esperienza personale, ho notato che c'è una preoccupante tendenza a intervenire molto precocemente con cure ormonali che possono danneggiare gravemente il loro sviluppo e la loro personalità».
Ci sono commentatrici femministe secondo le quali il mondo Lgbt è misogino. È vero?
«Credo di sì».
Perché?
«Be', in fondo, quella intorno alla maternità è una lotta per il potere, che è sempre costata molto alle donne - è costata l'oppressione. Chi non ha la capacità di generare la vita, cerca di toglierla anche a chi ce l'ha».
Le persone Lgbt hanno sicuramente patito discriminazioni. Oggi, però, si stanno trasformando in soggetti prevaricatori, peraltro con l'appoggio del cosiddetto woke capitalism, del potere politico e dei media?
«Questo è successo sempre nella storia. Non mi stupisce per niente».
Le due cose, però, sono in contraddizione: se è perseguitata, una minoranza non può avere dalla sua il capitale, il potere politico e il mainstream mediatico.
«Il fatto è che questi gruppi non accettano che la mentalità delle persone abbia bisogno di tempi lunghi per cambiare. La gente non cambia a comando. Se costoro usano quelle leve per forzare i cambiamenti, è perché non riescono a tollerare che per ottenerli serva del tempo».