"GORBY? E' RIMASTO SEMPRE UN IDEALISTA UN PO' VELLEITARIO" – CAZZULLO MEMORIES: “SOSTENEVA CHE I PERICOLI DEL FUTURO SAREBBERO STATI IL RITORNO DEI NAZIONALISMI E LA DISTRUZIONE DELL'AMBIENTE. PURTROPPO AVEVA RAGIONE. VAGHEGGIAVA UN CONSIGLIO DI VECCHI SAGGI DI TUTTO IL MONDO, LUI COMPRESO, CHE AVREBBERO DISCUSSO FINO A QUANDO NON SAREBBERO STATI TUTTI D'ACCORDO" – LA CONFESSIONE DI OCCHETTO: “GORBACIOV MI DISSE: IL PARTITO MI È DI OSTACOLO, PUÒ FINIRE IN CATASTROFE…”
-1 - QUANDO GORBY A GENOVA PREDISSE IL FUTURO
Caro Aldo, la morte dell’ex presidente russo Gorbaciov, ci riporta indietro di quaranta anni, la caduta del muro di Berlino, la caduta dell’Urss e la speranza che il popolo russo dopo gli Zar, Lenin, Stalin, potesse assaporare la libertà e la democrazia. In cosa sbagliò Gorbaciov? Lei lo ha mai conosciuto?
Sergio Guadagnolo
Risposta di Aldo Cazzullo:
Caro Sergio, in questi giorni Mikhail Sergeevic Gorbaciov è stato ricordato soprattutto come icona pop degli Anni '80; e in effetti è stato anche questo (indimenticabile il sosia, con tanto di voglia di fragola sulla fronte, che compare nel finale di Rocky IV: film orribile che però con la sconfitta di Ivan Drago presagiva la fine della guerra fredda e il crollo dell'Urss).
In realtà, Gorby, come lo chiamammo fin da subito, è stato uno degli uomini più importanti del Novecento: in positivo, dal punto di vista occidentale; in negativo, da quello dei russi. In patria non lo amava nessuno: non ovviamente i nostalgici del comunismo, da lui abbattuto; ma neppure gli avversari del regime, perché lui il comunismo non lo voleva abbattere, bensì riformare. Compito, come si è visto, impossibile.
L'ho conosciuto nel marzo 1995, a Genova. Cenammo con Grigorij Javlinskij, un liberale cui veniva predetto un grande avvenire e che quella sera scoprì il pigato e il vermentino, e con Giulietto Chiesa (Gorbaciov lo stimava moltissimo). C'era anche Raissa. Il giorno dopo, nel tentativo di intervistarla, la seguii in una malinconica visita a una scuola di Masone, paesino dell'entroterra.
Era già scesa dall'auto e aveva salito le scale, quando alle sue spalle partì un piccolo applauso: erano otto signore venute a salutarla (ma forse erano solo sette). Raissa Gorbaciova - una che aveva familiarizzato con la regina Elisabetta e Nancy Reagan - tornò indietro, si avvicinò, strinse la mano alle signore di Masone, dicendo a ognuna «grazie signora» in italiano.
Una lezione di stile. Gorbaciov parlò agli studenti dell'università. Tenne un discorso molto bello, ricordando che nel 1952, quando aveva la loro età, aveva scritto una tesi che cominciava così: «Stalin è la nostra forza e la nostra giovinezza». Nella vita tutto cambia, era il senso; lui però stava già con Raissa. Sosteneva che i pericoli del futuro sarebbero stati il ritorno dei nazionalismi e la distruzione dell'ambiente.
Purtroppo aveva ragione. Per affrontarli vagheggiava un consiglio di vecchi saggi di tutto il mondo, lui compreso, che avrebbero discusso fino a quando non sarebbero stati tutti d'accordo. Era insomma rimasto un idealista un po' velleitario. Ma era sempre Gorby.
2 - OCCHETTO
Maria Teresa Meli per il “Corriere della Sera”
«Sono molto colpito da questa scomparsa anche perché Gorbaciov rappresenta l'altra faccia della Russia che oggi ha il volto di Putin: scompare il simbolo di quella che poteva essere una via diversa». L'ex segretario del Pci prima e del Pds poi Achille Occhetto ricorda con una certa commozione l'inventore della perestroika.
C'è chi dice che Gorbaciov demolì soltanto...
«Lo dicono i poveri di spirito. La tendenza acritica volta al più banale realismo politico fondata sul principio che il fine giustifica i mezzi avrebbe potuto condurlo verso un'altra direzione. Quella che imboccheranno i suoi successori.
Egli invece non accettò la strada che gli era stata indicata dagli oppositori interni, cioè quella delle riforme economiche senza liberalizzazione. È questo il suo merito fondamentale: dire no a un autoritarismo di mercato che avrebbe portato in Cina la repressione in piazza Tienanmen.
Gorbaciov aveva dichiarato la fine dell'esperienza storica del comunismo internazionale e con il rifiuto di una difesa repressiva evitò di portare l'umanità verso una guerra atomica. Il suo grande incancellabile merito internazionale è di aver salvato la pace nel mondo. Il suo fallimento è dovuto alla irriformabilità di quel sistema: in quelle condizioni era difficile andare oltre».
Quando lo conobbe?
«Ricordo due incontri che ebbi con lui. Il primo quando ero ancora vicesegretario e il secondo come segretario del Pci. In entrambi mi impressionò molto. La sua sincerità appassionata, il linguaggio, l'apertura erano di per sé il segnale che eravamo già molto oltre la mentalità della nomenclatura sovietica.
Ho pensato subito che parlasse come un esponente della sinistra europea. Il suo traguardo era il socialismo democratico, anche se il suo partito e gran parte della società sovietica non erano preparati a quella svolta».
Racconti del primo incontro.
«Avvenne a Mosca tra il 1987 e il 1988, sotto una interminabile nevicata che imbiancava il Cremlino. Prima di vederlo ebbi una riunione con tutta la segreteria del Pcus presieduta da Ligaciov, che era il suo più fiero avversario. Gorbaciov non era presente.
Ligaciov mi impressionò per il suo linguaggio untuoso: affermava che tutto il popolo sovietico sosteneva compatto le riforme. Mi caddero le braccia. Pensai: siamo alle solite, niente è cambiato. A ogni svolta i dirigenti sovietici dicevano sempre che tutto andava bene».
E invece?
«Nel pomeriggio entrai nella stanza di Gorbaciov e la musica era cambiata. Incominciò dicendo: "Qui in Urss tutto è estremamente difficile, tutto è precario e la conclusione di questo processo di rinnovamento può avere anche prospettive catastrofiche. I quadri di partito sono il più grande ostacolo alla riforma.
La perestroika deve fare una gara contro il tempo. Se la gente non vede un miglioramento delle sue condizioni di vita tutto potrebbe essere travolto". Nessun dirigente sovietico aveva mai parlato in modo così laico ammettendo le difficoltà».
E come andò il secondo incontro?
«Ero già segretario, gli dissi che per noi era superata da tempo l'idea di un movimento comunista internazionale staccato dalle altre forze di democrazia e di progresso. Gli spiegai che bisognava cominciare a pensare di avere rapporti con le forze socialiste e socialdemocratiche e con le loro organizzazioni internazionali».
E lui?
«La sua risposta mi colpì. Convenne con me che la stessa idea di socialismo doveva essere ripensata a fondo e spiegò che lui intendeva muoversi verso un socialismo democratico.
Quando io gli dissi di aver parlato di quei temi con Brandt, Gorbaciov mi raccontò di aver chiesto a Brandt: "Perché dopo il 1914, la data della rottura tra comunisti e socialdemocratici su scala mondiale, non riprendiamo assieme una nuova strada?". La cosa mi sembrò subito di un certo rilievo».
Un ultimo pensiero sul fallimento di Gorbaciov pensando all'oggi.
«Il fallimento del suo generoso tentativo di autoriforma è la testimonianza più eloquente, e lo vediamo ancora oggi, che tanti anni di socialismo reale non hanno lasciato alcuna traccia di socialismo ideale e democratico nell'animo della maggioranza del popolo russo, più disposto a passare da un autoritarismo a un altro piuttosto che lasciarsi trascinare dalle nuove idee liberatrici di quello che molti consideravano un utopista visionario».