"MATTEO, SE STAI SU QUELLA LINEA IL PAESE NON TI ASCOLTA" - SALVINI E' STATO "ADDOMESTICATO" DAI BIG LEGHISTI (GIORGETTI E I GOVERNATORI) SUL GREEN PASS: L'HANNO CONVINTO A PRENDERE LE DISTANZE DALLA LINEA DI BORGHI (CHE MINACCIA IL RICORSO ALLA CONSULTA) - L'INSOFFERENZA DELL'ALA GOVERNISTA DELLA LEGA PER IL CERCHIO MAGICO DEL "CAPITONE" CHE SPINGE VERSO ATTEGGIAMENTI PIU' RADICALI E EVOCA "COMPLOTTI" ALL'INTERNO DEL PARTITO…
-Francesco Verderami per il "Corriere della Sera"
«... È che se non alzi la voce non vieni ascoltato», aveva risposto Salvini ai dirigenti del Carroccio. E tutti a dirgli che su quella linea era «il Paese a non ascoltarti più», che la posizione assunta sul green pass non premiava per ragioni scientifiche ed economiche che si riflettevano nei sondaggi elettorali. Così era iniziata l'opera di convincimento del leader leghista nei giorni scorsi, mentre il ministro Giorgetti e i governatori preannunciavano il sostegno al progetto di Draghi per rendere obbligatoria la carta verde nei luoghi di lavoro.
E c'è un motivo se - come racconta un autorevole esponente del partito - «nelle ultime quarantotto ore Matteo ha cambiato posizione», se dopo il varo del decreto da parte dell'esecutivo ha assecondato la sua delegazione di governo: «Ha capito che il terreno sul quale lo avevano fatto inoltrare era pericoloso». Chi fossero i cattivi consiglieri non è chiaro, ma il modo in cui ieri Salvini ha sconfessato Borghi che minacciava il ricorso alla Consulta e il fatto che l'eurodeputata Donato abbia scritto un tweet per dire «non mi riconosco nella Lega», testimonia la cesura.
Si vedrà se l'ex ministro dell'Interno non cambierà atteggiamento, se non ritornerà a vellicare la parte più radicale e largamente minoritaria del Carroccio. «Lo scopriremo», sospira uno dei maggiorenti, memore del patto che Salvini aveva stretto con i governatori e che aveva subito disatteso alla Camera, «spiazzando tutti».
Una mossa che i dirigenti leghisti ritengono fosse stata dettata dall'«insofferenza di Matteo che non ci sta ad apparire estraneo alle decisioni» e «caldeggiata da chi lo circonda e lascia trapelare ipotesi di complotti ai suoi danni nel partito». Da lì è iniziata l'opera di mediazione (e di persuasione), con una cruda analisi della situazione. Perché la Lega di lotta e di governo non paga e per quanto Salvini attraversi senza risparmiarsi lo Stivale, il rapporto con il territorio è sfilacciato, siccome - secondo uno dei maggiori esponenti - «la gente pare demotivata».
Certo pesano le scelte per le Amministrative, le preoccupazioni per il voto a Milano che «rischia di rivelarsi per noi un disastro», con i rappresentanti della Lombardia che nei piccoli centri segnalano «il passaggio a Fratelli d'Italia di consiglieri comunali eletti in liste civiche che facevano riferimento a noi». Più in generale è l'immagine di una linea senza un preciso profilo che smarrisce i dirigenti, «perché temi come il ritorno al nucleare vengono affrontati con sortite estemporanee».
E nella corsa al consenso, l'incidente è sempre dietro l'angolo. La scorsa settimana non è sfuggito per esempio il modo in cui Salvini ha affrontato l'affaire Afghanistan, quando in tv ha sostenuto che «se il G20 straordinario si tenesse dopo settembre, per Kabul sarebbe tardi», evidenziando i problemi di Draghi sulla soluzione del delicatissimo dossier. Ecco cosa i dirigenti della Lega ritengono vada registrato, dato che non è in discussione la leadership del segretario e nemmeno la permanenza del Carroccio nel governo, qualsiasi sarà il risultato delle Amministrative.
«Salvini non ci farà mai il favore di staccarsi dalla maggioranza», riconosce un ministro del Pd: «Spaccherebbe forse la Lega, di sicuro il centrodestra e ci consentirebbe di intestarci Draghi e di eleggerci da soli il capo dello Stato». Certo la scrittura della Finanziaria provocherà turbolenze, ma intanto era necessario chiudere il capitolo green pass. E così è stato. Ieri in Consiglio dei ministri Giorgetti ha presentato delle richieste di modifica al testo, che - a detta dei presenti - «si vedeva come fossero state preventivamente concordate con il premier»: dalle garanzie per gli imprenditori al calmieramento dei prezzi per i tamponi, fino al caso delle discoteche.
Certo, dopo il braccio di ferro sul provvedimento «le nostre correzioni - dice un dirigente leghista - paiono una battaglia di retroguardia». Ma è un fatto che l'unico momento di tensione in Consiglio ha avuto per protagonisti Franceschini e Draghi. Con il primo che - parlando a Speranza - ha chiesto la piena capienza per i teatri, e il secondo che - avendo intuito di essere il destinatario dell'affondo - ha risposto: «Non faccio norme ad hoc». «Ma così il governo andrà sotto in Parlamento». «Il Parlamento farà quel che ritiene. Noi prima valuteremo la situazione epidemiologica e poi decideremo». Altre ruggini, altre storie tese. Mica solo Salvini...