"PERCHÉ NON È STATO MARIO DRAGHI A SPIEGARE AI GIORNALISTI E AL PAESE COME MAI L'ITALIA, PRIMA IN EUROPA, HA DECISO IL RICORSO (LIMITATO AGLI ULTRACINQUANTENNI) ALL'OBBLIGO VACCINALE?" - GEREMICCA: "UNA SCELTA PREVEDIBILE ALLA LUCE DELLA PARABOLA DI DRAGHI CHE, DALLA VIGILIA DI NATALE, SEMBRA AVER CAMBIATO CORSO. SE HA RINUNCIATO A MOSTRARSI, È PER EFFETTO DELLO TSUNAMI MONTANTE INTORNO AL QUIRINALE" - TELESE: "DRAGHI NON HA VOLUTO ESSERCI NE' METTERCI LA FACCIA. SI È GIÀ AUTOCANDIDATO AL QUIRINALE E QUESTO RIVELA UN SINGOLARE CONFLITTO DI INTERESSI”
-Federico Geremicca per "la Stampa"
Lasciamo stare la soddisfazione maliziosa dei nostalgici dello stile comunicativo targato Conte-Casalino, con quelle ansiogene conferenze stampa alle nove della sera per annunciare provvedimenti già in vigore dal mattino dopo. E teniamo da parte anche la tifoseria opposta, quella del «va bene così, Draghi è Draghi», per la quale sul piazzale di Palazzo Chigi, l'altra sera, non è successo niente. Mettiamo da un canto gli uni e gli altri, insomma, e chiediamoci semplicemente: ma perché non è stato Mario Draghi a spiegare ai giornalisti - e attraverso loro al Paese - come mai l'Italia, prima in Europa, ha deciso il ricorso (seppur limitato agli ultracinquantenni) all'obbligo vaccinale?
Ad annunciare la delicatissima scelta - un giro di boa e un evidente cambio di rotta - sono stati spediti in piazza Colonna tre ministri stravolti dalla durissima giornata, parziali nelle spiegazioni fornite e illuminati a malapena da qualche faro tv - alle nove della sera - in un buio che è parso subito malaugurante.
Roberto Speranza, segnato in volto dall'uso prolungato di una mascherina troppo stretta, ha rassicurato e minimizzato la decisione del governo; Renato Brunetta, nervoso come sempre, ha tenuto solo a precisare - e a precisare più volte - che in Consiglio dei ministri tutto era stato deciso all'unanimità; e Patrizio Bianchi, infine, che la scuola era salva e che si resta in classe, come promesso: con protocolli diversi, però, e fino a un qualche nuovo ordine.
Se vogliamo metterla sul piano estetico, della pura scenografia, un set e dei protagonisti sottotono per un annuncio che è subito rimbalzato in tutte le cancellerie europee; se passiamo al piano politico, invece, una scelta incomprensibile: o, al contrario, purtroppo prevedibile alla luce di una parabola - quella di Mario Draghi - che dalla vigilia di Natale in poi sembra aver cambiato decisamente corso. Se il presidente del Consiglio - pur regista attento delle sue rare uscite pubbliche - stavolta ha rinunciato a mostrarsi, è anche per effetto dello tsunami montante intorno al Colle del Quirinale. Il nervosismo è alle stelle.
E anche una sola parola fuori posto può fare inopinatamente la differenza. A Draghi, per esempio, era parso carino il modo col quale - facendo gli auguri di Natale - aveva deciso di rispondere alle tante sollecitazioni che i partiti gli rivolgevano da mesi: ci dica se si sente candidato al Quirinale oppure no. Il premier, sorridendo, l'aveva messa così: «Sono un nonno al servizio delle istituzioni». Un modo di dire leggero, tranquillizzante, non assertivo: eppure è bastato a scatenare reazioni sospettose, tensioni malcelate e velenosissimi avvertimenti.
Come se una sorta di bradisismo avesse improvvisamente preso a scuotere il palazzo del governo e il suo inquilino. In una fase così, deve aver pensato il premier-nonno, il silenzio è d'oro. Ma non è parsa una scelta azzeccata. D'altra parte, è vero, la giornata era stata durissima, con Pd, Lega e Cinquestelle impegnati a tenere il punto di partenza: si all'obbligo vaccinale, no a costrizioni, obbligo forse ma a questo e non a quello.
Un bailamme che ha rischiato più volte di trasformarsi in rottura: e a differenza di certi decisionismi del passato, Draghi stavolta s' è dovuto fermare, per convincere e mediare. Anche questa una evidente novità. Alla fine, tirando di qua e mollando di là, il superbanchiere che sta imparando a camminare nel pantano della politica, il risultato l'ha ottenuto: ma ha preferito non rivendicarlo. Una decisione che non somiglia certo ad una dimostrazione di forza.
E soprattutto una sottovalutazione del significato che avrebbe avuto la scelta opposta: parlare direttamente al Paese - e non solo al nostro Paese - per spiegare una delle mosse più importanti e divisive assunte in questa interminabile campagna contro la pandemia. Se questo è più o meno il quadro, è davvero arduo immaginare magici rasserenamenti. Del resto, la situazione - da confusa che era - si è fatta indecifrabile.
Per dire: Pd, Lega e Forza Italia oggi sono assieme al governo, ma tra un mese potrebbero star già ragionando sulle liste con le quali sfidarsi in durissime elezioni. E Mario Draghi, che adesso è a Palazzo Chigi, tra trenta giorni potrebbe indifferentemente trovarsi ancora lì oppure al Quirinale. O magari esser tornato un "nonno" al servizio degli amati nipoti. Tutto traballerà fino all'elezione del nuovo Presidente. Anche il premier navigherà a vista: e naturalmente sa che non sempre gli basterà difendersi col silenzio. Ma questo è un altro discorso, ed un'altra partita: così difficile che non si riesce nemmeno a cominciare.
2 - MARIO DRAGHI DOV’ERA? IMPONE L’OBBLIGO VACCINALE MA NON PARLA AGLI ITALIANI
Luca Telese per https://www.tpi.it
Ma Mario Draghi dove era? A prescindere dal fatto che si condivida o meno la scelta dell’obbligo vaccinale (e chi scrive – sia detto per inciso – la condivide) ieri la vera notizia era una clamorosa assenza. Un vuoto mediatico assordate. O meglio: un incredibile paradosso comunicativo. Infatti, l’uomo che ha portato l’Italia ad essere il primo paese al mondo che introduce una misura di profilassi obbligatoria, nel giorno della più storica delle risoluzioni è rimasto muto.
Forse, di contro, proprio per questo motivo, sembrava quasi incredibile la scenetta scomposta con cui la risoluzione del governo è stata annunciata dal governo in serata, al termine di liti e contrattazioni furibonde. Niente presidente del Consiglio, nessuna bandiera, nessun logo della repubblica, zero solennità. Solo tre ministri, in mezzo ad una strada incappottati, sotto una mezza pioggerellina invernale. E l’uomo che dà l’annuncio storico, Roberto Speranza ha la barba non rasata, le luci delle telecamere piantate negli occhi, parla a braccio.
È vero che negli ultimi anni molti comunicatori hanno teorizzato la necessità che il potere comunichi in modo informale, ma un conto è la spontaneità, altro è l’improvvisazione. O, peggio ancora, la sensazione che in un momento come questo un aspetto così importante sia affidato, in buona sostanza, al caso. Tuttavia, è proprio questa la sensazione ingannevole a cui bisogna resistere. Il tema non è la casualità apparente dei tre ministri scappati di casa (o da Palazzo Chigi), ma piuttosto l’assenza, quella si studiatissima, del presidente del Consiglio.
Ieri Draghi non c’era, e non c’era proprio perché non ha voluto esserci: non ha voluto metterci la faccia, non ha voluto lasciare la testimonianza del suo sigillo nella storia. Così, dato che questo è accaduto, è lecito immaginare che sia per l’unico motivo possibile. E il tema è che oggi Draghi (in primo luogo per se stesso), non è il presidente del Consiglio dell’obbligo vaccinale.
È l’uomo che si è già autocandidato al Quirinale, e che tra pochi giorni inizierà la più complessa e delicata partita a scacchi della sua vita. Il che è senza dubbio comprensibile, ma rivela anche un singolare e inedito “conflitto di interessi”, quello di ruolo tra l’uomo di Stato in carica, e il politico che deve conquistare una base elettorale. Immaginate se Winston Churchill, nell’ora più buia avesse delegato l’annuncio ad un sottosegretario di Stato, immaginate se la dichiarazione di guerra del 1940 Benito Mussolini l’avesse fatta pronunciare a Galeazzo Ciano. Se Stalin con il nemico alle porte di Mosca avesse fatto parlare il ministro Molotov.
Immaginate se il granitico Sandro Pertini, nel 1978, il suo memorabile discorso contro il terrorismo lo avesse lasciato pronunciare al sottosegretario all’interno Virginio Rognoni: i veri leader guidano. Possono permettersi di scegliere come parlare, quasi sempre. Ma non è concesso loro il lusso di tacere.