LA "TERZA VIA" NON PASSA DAL CAMPO LARGO - CALENDA SBARRA LA STRADA AI CINQUESTELLE E FA INCAZZARE CONTE: “NON DIALOGHIAMO CON M5S E FDI”. E PEPPINIELLO APPULO FRIGNA: “PRENDIAMO ATTO DELL’ARROGANZA E DEI VETI” – IL “CHURCHILL DEI PARIOLI” AL CONGRESSO DI AZIONE OSPITA GIORGETTI E MENA DURO SUL CAPITONE, ESCLUDENDOLO: “SE LA LEGA È QUELLA DI GOVERNO CI SI DEVE DIALOGARE. SE INVECE È QUELLA DI SALVINI CHE UN GIORNO DICE UNA COSA E IL GIORNO DOPO UN'ALTRA, NO…”
-Antonio Bravetti per “La Stampa”
La "terza via" non passa dal campo largo. Bisogna piuttosto lasciarsi alle spalle la strada a Cinque stelle e svoltare verso il centro. Nel giorno in cui Azione si fa partito, Carlo Calenda prova a disegnare la nuova toponomastica del centrosinistra secondo i suoi desideri. Una mappa che comprende il Pd, ma non il M5S. Facendo infuriare Giuseppe Conte: «Prendiamo atto dell'arroganza e dei veti, ma li lasciamo ad altri». Dal palco del congresso di Azione, che oggi lo eleggerà segretario, Calenda attacca i pentastellati:
«Non dialoghiamo e non accettiamo il confronto con M5S e FdI, è una scelta netta e definita. Qualunque sistema elettorale ci sia, noi non saremo mai alleati con populisti e sovranisti. Vogliamo dare una terza scelta ai cittadini, un fronte repubblicano di cui Azione è il perno». Enrico Letta è avvertito, sebbene il segretario del Pd non abbia dubbi nell'includere Calenda nel campo largo del centrosinistra: «Sono sicuro che insieme faremo grandi cose: vinceremo le politiche del 2023 e dopo il voto daremo al Paese un governo riformista, democratico e europeista». Ma è il suo giorno, e Calenda può fare la voce grossa: «A Letta dico che tutto è possibile, a condizione che non ci siano i Cinque stelle. Ma sappiamo che non sarà così...».
La conventio ad excludendum calendiana, ovviamente, non piace a Conte. «I protagonismi sono efficaci davanti a uno specchio - ribatte il leader del Movimento- dilatano l'ego e fanno apparire indispensabili. Facile riempirsi la bocca di riformismo, altro conto è cambiare l'Italia con i fatti». Nemmeno le parole di Letta vanno giù all'ex premier: «Noi non abbiamo mai paura del confronto, ma c'è una differenza sostanziale fra campo largo e campo di battaglia: creare accozzaglie per puntare solo alla gestione del potere a noi non interessa. Possiamo condividere la strada solo con chi avrà il nostro coraggio».
Al Palazzo dei Congressi dell'Eur, sotto un cielo grigio, arrivano in 1.500 tra partecipanti e iscritti. Si respira qualcosa che somiglia all'allegria, quasi una festa. Dopo due anni di pandemia è il primo congresso di un partito. Tanto blu nella scenografia. «La politica non è rumore ma Azione: l'Italia sul serio», è lo slogan. Ci sono gli invitati, amici e avversari, come da tradizione. «Non posso promettervi, come ha fatto Enrico Letta, che saremo insieme e vinceremo le elezioni - dice in videocollegamento il ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti - ma per cambiare in meglio il Paese ci saranno grandi spazi di collaborazione».
E Calenda ricambia: «Se la Lega è quella di governo, che diventa un partito popolare italiano insieme a Fi, ci si deve dialogare. Se invece è quella di Salvini che un giorno dice una cosa e il giorno dopo un'altra, no». Parlano anche Roberto Speranza (Leu), Antonio Tajani (Fi), Giovanni Toti (Coraggio Italia) ed Ettore Rosato (Iv). «Oggi siamo insieme per il bene del Paese- sottolinea Tajani- poi alle elezioni ci divideremo».
Calenda punta al 10 per cento, «siamo già il sesto partito», e sogna una maggioranza Ursula, da Leu a Fi, che riporti Draghi a Palazzo Chigi nel 2023. Dal palco annuncia che girerà l'Italia per radicare il partito; critica la cancel culture; racconta di come discute col figlio, appassionato di filosofia e politica, del giusto abbigliamento a scuola. Finisce tra gli applausi. «Daje eh», dice scendendo dal palco. Scappa fuori dalla sala: «È andata bene», sospira. «Mio figlio? È un anarco liberale, è iscritto al Partito Radicale, altro che Azione».
Fuori, sul piazzale, Tajani si ferma a parlare con Toti e Quagliariello. Nasce il nuovo centro? Toti scuote la testa: «I presupposti ci sono, non so se ci saranno le condizioni. Esiste ancora un bipolarismo troppo strutturato». Lui, per ora, tira dritto: il 26 marzo presenterà le liste con cui correrà in tante città italiane. Si chiameranno "Al centro". "Genova al centro", "L'Aquila al centro", "Catanzaro al centro". «Eppur si muove», sorride Quagliariello.