"I VECCHI HANNO BEN POCO DA INSEGNARE AGLI ULTIMI ARRIVATI" - GOFFREDO FOFI E LA NOSTALGIA DI UN VERO CONFLITTO TRA GIOVANI E VECCHI: "LE NUOVE GENERAZIONI SONO COME ABBIAMO VOLUTO CHE FOSSERO, EGOISTE, SCIOCCHE E CONFORMISTE COME NOI. ED E' QUASI UN MIRACOLO CHE ALCUNI GIOVANI SIANO DIVERSI, A DIMOSTRAZIONE CHE L'IRREQUIETEZZA E LA NON-ACCETTAZIONE E' UNA COSTANTE E UNA SPERANZA PER TUTTI"
-Mirella Serri per "la Stampa" http://www.lastampa.it
Il secolo breve è stato anche il secolo dei giovani? Certo, ma solo per circa trent' anni, dal 1945 alla morte di Aldo Moro: tre decenni in cui i giovani salirono sul palcoscenico della storia e riuscirono a coniugare «l' incontro tra il disagio e la rivolta del singolo con il disagio e la rivolta degli oppressi». Questa risposta ce la offre un «giovane» un po' speciale, nato tre anni prima che iniziasse la Seconda guerra mondiale: Goffredo Fofi. Il gran guru della cultura italiana (ma guai a chiamarlo così! Non apprezza) si è sempre dedicato alle nuove leve, ha ispirato movimenti giovanili, ha aperto la strada della letteratura, quando erano alle prime armi, a narratori come Alessandro Baricco o Roberto Saviano. Di recente Fofi ha ripubblicato un suo saggio uscito negli anni 80, Il secolo dei giovani e il mito di James Dean (La nave di Teseo), accompagnato da una nuova, approfondita introduzione in cui evoca Greta Thunberg come l' adolescente che ha riportato gli under 20 a cimentarsi sul terreno dell' impegno civile.
Che ruolo hanno avuto i giovani in quanto protagonisti del Novecento?
«Alla fine della Prima guerra mondiale, in Europa, le ultime generazioni protestarono contro le borghesie nazionali responsabili del massacro nelle trincee di diciassettenni e diciottenni. Furono giovanissimi anche i protagonisti della rivoluzione fascista e dell' elaborazione gramsciana che venivano esortati alla lotta e alla presa del potere. Queste generazioni non si espressero né da sole né in prima persona ma furono manovrate e strumentalizzate da forze più grandi di loro».
A quando risale il vero protagonismo giovanile del '900?
«Risale agli anni Cinquanta, quando James Dean con la sua tragica scomparsa, a soli 24 anni, divenne l'icona della ribellione individuale e anarchica. Ed è stato uno dei precursori del Sessantotto in cui però la protesta del singolo diventava collettiva. Nel periodo della ricostruzione e prima del "miracolo economico" emerse anche una nuova, straordinaria leva di autori e di opere».
Nello stesso anno in cui Dean moriva, nel '55, il diciottenne Fofi, futuro critico letterario, cinematografico e teatrale, fondatore e nume tutelare d' importanti palestre politico-culturali, dai Quaderni piacentini a Linea d' ombra, a Lo straniero a Gli asini, iniziava la sua avventura in Sicilia per collaborare con Danilo Dolci e incrementare tra i giovani disoccupati una protesta di tipo gandhiano. Lo scrittore ha sempre coniugato passione intellettuale e attivismo politico, l' attenzione verso gli invisibili e gli esclusi che lo ha portato a essere tra i fondatori a Napoli della mensa dei bambini proletari.
Oggi cosa fanno e chi sono i giovani?
«La storia è sempre andata avanti in un rapporto tra minoranze "virtuose", innovatrici, e maggioranze più conformiste, sostanzialmente più egoiste. Ci sono però momenti in cui le minoranze influiscono in modo determinante sulla Storia, e sui comportamenti e le idee delle maggioranze. C' è una novità in questi ultimi anni: è rappresentata dai gruppi e gruppetti di ragazzi che sentono il dovere di occuparsi di chi soffre, degli immigrati, dei "subalterni"... Sentono il dovere di occuparsi della natura, dei rischi che comporta la violenza nei suoi confronti esercitata dal capitalismo - e dal consumismo che ci rende tutti suoi complici».
Hanno un peso sociale queste minoranze attive?
«È difficile che queste minoranze alzino la testa in un anno pessimo come il 2020, di fronte a una minore tensione tra ceti sociali unificati da un sistema culturale pesantemente conformista se non reazionario. Però diversi segnali di un risveglio ci sono e il futuro, con le sue storture crescenti, spingerà le nuove leve a cercare nuovi modi di agire per contrastare il disastro».
In epoca di pandemia si parla molto in termini di conflitto generazionale, tra anziani e giovani. Secondo lei esiste quest' opposizione?
«Esiste, e come! Perché i vecchi hanno ben poco da insegnare agli ultimi arrivati che sono i loro figli (o sono i fratelli minori delle generazioni che non sono state all' altezza delle loro ambizioni, dal '68 in poi, e hanno velocemente accettato "il mondo così com' è"). Di fatto, le nuove generazioni sono come abbiamo voluto che fossero, egoiste, sciocche e conformiste (o modaiole) come noi... ed è quasi un miracolo che alcuni giovani siano diversi, a dimostrazione che l' irrequietezza e la non-accettazione è ancora una costante - e una speranza per tutti».
Nel secondo dopoguerra, lei scrive, c' è stato l' ultimo exploit artistico, letterario e musicale. Oggi le luci della ribalta si sono spente?
«A far danni con i giovani sono Internet e l' illusione di "parlo e scrivo e dunque sono"; l' università; i padri e fratelli maggiori... Ma continuo a incontrare ragazzi di grande valore per niente portati al compromesso e non accecati dagli idoli di un successo frivolo e transitorio. I giovani scrittori, purtroppo, non hanno modelli sempre ammirevoli, e penso agli intellettuali delle precedenti generazioni che si sono affrettati a vendere l' anima al diavolo (o a certi giornali!). Ho letto di recente tre ottimi o buoni romanzi, per esempio, di Alessio Torino, Daniele Mencarelli (finalista allo Strega, ndr), Filippo Nicosia, sorprendenti anche per la loro intelligenza del presente e le ansie nei confronti del futuro, e mi rincresce di non poter citare, solo quest' anno, degli equivalenti femminili».
Tornando al neodiplomato Fofi che inaugurava in Sicilia la stagione degli scioperi pacifici «a rovescio» e, invece di incrociare le braccia, lavorava per asfaltare le bianche carreggiate insulari, ritiene che esperimenti simili si possano riproporre?
«Certo che sì, e ne conosco tanti, per esempio nelle periferie delle grandi città, e in giro per il mondo in molte iniziative di volontariato e in molte associazioni anche importanti.
Cercano di rimediare ai disastri di un sistema malato. Minoranze sì, avrebbe detto Aldo Capitini, teorico della non violenza, in un mondo dove a dominare sono i "retori". Quel che non c' è, è "la politica" e una cultura di coloro che non vogliono accettare il mondo così come ci viene imposto o proposto».