PER REINVENTARSI LA LEGA CI VOGLIONO DUE MARONI COSÌ: RIUSCIRA’ BOBO A NON DISPERDERE I VOTI DI BOSSI?
Gilberto Oneto per "Libero"
Con le ultime decisioni circa l'assetto della dirigenza leghista, Maroni fatto un altro coerente passo avanti nel suo progetto di creazione di una Csu settentrionale, di un centrodestra (più o meno) nordista e - soprattutto - nel suo disegno di diventarne il capo, preparandosi a prendere il posto di Berlusconi quando questi, per ragioni di anagrafe, giudiziarie o per propria scelta, si dovrà fare da parte.
L'ultima mossa denota parecchia scaltrezza: assieme al nuovo soggetto politico, si è dato la possibilità di conservare quel che resta della Lega essendo ben conscio che una sicura fetta del suo elettorato non è disposta ad annullarsi in un partito non chiaramente autonomista. Nominando due vicesegretari, Maroni ha in qualche modo ufficializzato la scelta di un doppio binario.
Da una parte continua con i preparativi per costituire il nuovo soggetto politico (che qualcuno ha già battezzato la «balena verde», o - ancora più maliziosamente «Boby Dick» - dove la seconda parola sarebbe una poco velata allusione al celodurismo dei buoni tempi andati), che affida a Tosi, e dall'altra sceglie di far sopravvivere la Lega affidandola presumibilmente a Salvini. Il primo ha dimostrato di poter raccogliere consensi a destra e fra i moderati ma è sempre più detestato dalla base leghista; il secondo ha scarso appeal fuori dalla Lega ma è il solo che riesca ancora a scaldare il cuore dei militanti più fedeli.
Anche in presenza di una Csu padana farà infatti molto comodo poter disporre di una Lega docile e subordinata in grado di raccogliere comunque quella piccola percentuale di elettorato che in una situazione di estremo equilibrio può fare la differenza. Ma soprattutto la conservazione del vecchio simbolo impedisce che la vasta area dell'autonomismo - probabilmente destinata a crescere e a radicalizzarsi in tempi di crisi economica e sociale - possa essere occupata da soggetti politici più estremi e meno manovrabili.
Maroni conosce bene la sua gente e sa che finché sullo scaffale dell'offerta politica si troverà il brand del Carroccio qualcuno lo sceglierà ma, soprattutto, impedirà il sorgere di marche concorrenziali. Il mondo autonomista e indipendentista è ancora troppo frastagliato e litigioso per poter costituire una aggregazione pericolosa. Il disegno è intelligente ma necessita di grandi dosi di acrobatismo e non è per nulla privo di rischi.
C'è un problema di tempi: la crisi accelera il processo di dissoluzione del sistema politico italiano; la sempre più esigua credibilità del palazzo può travolgere chiunque ne sia stato parte, Maroni compreso; la Lega sta rapidamente erodendo il suo consenso e il rischio è di non trovare più supporto sufficiente né per la «balena verde» né per il vecchio marchio; la struttura del partito si sta sgretolando sia sotto le picconate della ristrutturazione maronita che per enormi problemi di leadership locali: non a caso Maroni ha «promosso» solo due dei segretari delle tre regioni su cui vorrebbe imbastire il progetto macroregionale.
In Piemonte il Carroccio sta consumando i suoi ultimi giorni in un cupo clima di regolamento dei conti e di espulsioni, e al congresso di luglio sarà difficile trovare un segretario credibile. Ci sono poi talune imprudenze e sbandate dello stesso Maroni (come l'affrettata e demagogica rinunzia ai finanziamenti pubblici e privati) e i possibili nuovi agguati della magistratura che in queste ultime ore sta tenendo il registratore acceso davanti alla gola profonda di Belsito.