RENZI SCHEDA I ROM. E SOROS LI DIFENDE - IL COMUNE DI FIRENZE HA CREATO UN ARCHIVIO CON I DATI SENSIBILI DEI MENDICANTI DELLA CITTÀ. E IL MILIARDARIO NATO IN UNGHERIA LOTTA PER LA LORO PRIVACY
Maria Cristina Carratù per “la Repubblica”
Chiedere l’elemosina, in Italia, non è reato, ma «a fini di controllo » e «di tutela della legalità», il Comune di Firenze ha deciso di non fare sconti a nessuno. E ha messo in piedi un database dei mendicanti della città, con tanto di dati personali, foto, luoghi di pernottamento, motivi dell’accattonaggio, verbali ricevuti, entità degli introiti, eventuali disabilità. Obiettivo: tenerli d’occhio, quando possibile «offrirgli alternative e, in caso di rifiuto, seguirli e controllarli».
A parlarne a Repubblica , nel marzo scorso, erano stati l’allora vice, oggi sindaco, Dario Nardella e l’ex comandante dei vigili urbani Antonella Manzione, oggi responsabile affari giuridici di Palazzo Chigi. «L’accattonaggio» spiegarono «va perseguito perché il principio di legalità vale per tutti». Peccato che, appunto, i mendicanti in quanto tali non siano affatto perseguibili, mentre un database pieno di dati sensibili può trasformarsi in schedatura di soggetti «indesiderati».
E adesso, mentre a fianco dei mendicanti si mobilita George Soros, a chiedere spiegazioni al Comune arriva il Garante per la privacy, che ha dato tempo a Palazzo Vecchio fino al 15 gennaio per confermare, o meno, l’esistenza dell’elenco, e indicarne, in caso affermativo, «presupposti di legge, finalità, tipo di informazioni raccolte, modalità di trattamento dei dati». Ricordando che il trattamento dei dati personali, sensibili, e giudiziari, da parte dei soggetti pubblici è regolato da una «speciale» disciplina.
A meno di non incorrere in sanzioni amministrative, dunque il Comune dovrà ora spiegare al garante quello che in nove mesi non è stato in grado di chiarire a due legali fiorentini, Alessandro Simoni e Giacomo Pailli, che già a marzo si erano rivolti a Palazzo Vecchio a nome di tre donne rumene, vittime di una raffica di multe dei vigili urbani (dieci in meno di dieci giorni) per elemosina «molesta», per sapere se i loro dati erano rientrati, e come, nel misterioso database. Richiesta rimasta inevasa, nonostante la legge sulla privacy obblighi a rispondere entro 30 giorni.
Da qui il ricorso al Tribunale civile, con causa già fissata per aprile, dove i legali vorrebbero che Nardella e Manzione fossero sentiti come testimoni. Ma non basta. A fianco delle tre rumene ci sono anche due fondi internazionali del magnate e filantropo ungherese americano Soros, l’European Roma Rights Center e l’Open Society Foundations, attivi sulle emergenze sociali. A loro carico, i costi vivi del ricorso (il patrocinio legale è gratuito), e il finanziamento di una ricerca dell’Università di Firenze sui problemi giuridici della gestione della mendicità da parte degli enti pubblici, di cui Simoni si occupa come docente di sistemi giuridici comparati.
«L’accattonaggio è considerato soprattutto un problema sociale» spiega il legale- docente, «è invece è anche giuridico. Spesso, infatti, anche in città non “leghiste”, gli strumenti utilizzati dai Comuni per limitare il fenomeno sono scorretti». Per esempio il regolamento comunale di Firenze del 2008, in base al quale i vigili urbani hanno multato le tre rumene, e che all’articolo 15 sanziona i «comportamenti e atteggiamenti fastidiosi e pericolosi per gli altri».
I legali spalleggiati da Soros ne sono convinti: il termine «fastidioso » si presta «a eccessiva discrezionalità amministrativa», e a «discriminazione indiretta verso gruppi sociali e etnici già socialmente stigmatizzati». Di cui il database, se davvero esiste, potrebbe essere il primo effetto.