LA RIELEZIONE? PIÙ NO CHE XI - INCREDIBILE MA VERO, PURE NEI REGIMI PUOI RISCHIARE IL POSTO: IL PRESIDENTE CINESE XI JINPING È FINITO SOTTO ACCUSA PER LA POLITICA FALLIMENTARE DELLO "ZERO COVID", PER NON PARLARE DELL'IMMOBILISMO SULLA GUERRA IN UCRAINA E SOPRATTUTTO DELL'ECONOMIA A RILENTO - A SEI MESI DAL CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA, IL TERZO MANDATO NON È AFFATTO SCONTATO...
-Carlo Nicolato per “Libero Quotidiano”
La strategia "zero covid" con la variante omicron non funziona e si sta velocemente evolvendo in "zero crescita economica". Anche quella "zero azioni sulla guerra in Ucraina" zoppica, foriera in definitiva di "zero risultati" e "zero credibilità". La politica di Xi Jinping si sta tramutando in una sorta di "zero tituli" e rischia seriamente di compromettere la sua strada verso il terzo mandato.
Ovviamente in Cina non ci sono elezioni politiche democratiche e non ci sarà dunque un popolo a giudicare l'operato di Xi, ma tra sei mesi ci sarà un congresso (il ventesimo) che secondo le linee del Partito Comunista basa le sue opinioni e di conseguenza le sue scelte in base a quella che viene generalmente chiamata "legittimità delle prestazioni", ovvero sul raggiungimento di obiettivi concreti dichiarati come la crescita economica, la stabilità sociale, il rafforzamento del potere nazionale e il "buon governo". Obiettivi che in questo esatto momento stanno inesorabilmente fallendo.
In previsione di un rallentamento dovuto principalmente all'inflazione e ai costi energetici, Pechino a inizio anno aveva già visto al ribasso le stime di crescita per il 2022 fissandole al 5,5% del Pil (dall'8,1% dello scorso anno), ma le scelte di Xi sul Covid e la guerra in Russia hanno già seriamente intaccato tali previsioni tanto che il Fmi ha ulteriormente limato le stime al 4,8% e le cose potrebbero peggiorare ancora se il governo non cambia rotta.
INSUCCESSI CLAMOROSI
Cosa che difficilmente farà. Xi ne ha fatta una questione ideologica, nel 2020 commentando i dati del Covid disse che «la pandemia dimostra ancora una volta la superiorità del sistema socialista con caratteristiche cinesi».
Nel primo anniversario dello scoppio del virus, Wuhan ha ospitato una mostra sulla battaglia vittoriosa della Cina contro la malattia, e ovunque la città era tappezzata di gigantografie col faccione del presidente.
Quei cinquemila decessi dichiarati contro i milioni in Occidente sono la bandiera con la quale Xi conta di assumere il terzo mandato dopo che ogni ostacolo di carattere costituzionale e politico è stato rimosso (anche con la forza) ed è per questo che non abbandonerà tanto facilmente la sua strategia.
Allentate le maglie del lockdown a Shanghai, dopo settimane in cui un'intera città di 26 milioni di abitanti è rimasta segregata in una sorta di carcere di rigore, ora pari sorte potrebbe toccare a Pechino, con effetti simili o peggiori.
Tutto questo accade mentre l'invasione russa in Ucraina e le sue ripercussioni stanno seriamente minacciando la crescita economica e gli orizzonti politici mondiali.
Xi, che credeva che la guerra si sarebbe conclusa rapidamente con una vittoria di Mosca, è rimasto spiazzato. Ha scelto così di non agire, di stare con Putin ma di non aiutarlo militarmente, di astenersi nelle votazioni all'Onu e quindi di subire i contraccolpi economici delle sanzioni decise da Usa ed Europa.
Certo la Cina a lungo termine potrebbe anche giovarne, ma per il momento anche lei sta pagando il conto della crisi mondiale, senza considerare i danni irreparabili alla Via della Seta (One Belt One Road), spina dorsale della politica di conquista planetaria di Pechino.
ERETICI IN ESILIO
Certo, la leadership di Xi è forte, ma per la prima volta, conferma anche l'intelligence di Taiwan, la sua reputazione all'interno del partito ha subito un duro colpo. Secondo il dissidente Wei Jingsheng il risentimento della gente contro il presidente e «i suoi scienziati leccapiedi» è ai massimi e questo il partito non può più ignorarlo.
Significativo ad esempio il caso dell'influencer Wang Sicong (40milioni di followers) bandito da Weibo per aver deriso e criticato la medicina cinese tradizionale Lianhua Qingwen utilizzata come cura ufficiale del partito per il covid.
O quello di Weijian Shan, potentissimo uomo d'affari di Pechino, da sempre allineato al governo su uiguri e Taiwan, che in occasione di un incontro con un gruppo di investitori a Hong Kong ha dichiarato che la Cina «ha una leadership che crede di sapere cosa è meglio per l'economia e per la vita delle persone»: «Purtroppo», ha aggiunto Shan, «sono convinto che le loro conoscenze e i loro ragionamenti abbiano dei limiti».
Parole banali per noi occidentali, ma esplosive in Cina. Secondo poi il noto sinologo Willy Lam, Xi non avrebbe il pieno controllo dell'apparato politico-legale del regime. Lo dimostrerebbero le continue sostituzioni di alti ufficiali al ministero della Pubblica sicurezza.
I rigurgiti maoisti di Xi e la sua politica estera avrebbero anche provocato divisioni all'interno del Pcc e in particolare lo scontento dell'ala "liberista" (per quanto possa esserlo) del partito. La politica degli "zero tituli" potrebbe costare molto cara a Xi.