IL RIENTRO DEI BOSS DIMOSTRA CHE IL GUAIO È FIRMATO BONAFEDE - I PRIMI MAFIOSI TORNANO IN CELLA E IL MINISTRO ESULTA. MA È LA PROVA CHE LE STRUTTURE SANITARIE C'ERANO. E TUTTO QUESTO SI POTEVA EVITARE - SOLTANTO PER RITARDI ED ERRORI I GIUDICI HANNO DOVUTO CONCEDERE A ZAGARIA DI USCIRE DA UNA CELLA DI ALTA SICUREZZA PER TRASFERIRSI A CASA DELLA MOGLIE, APRENDO COSÌ IL RISCHIO DI UNA DISASTROSA EVASIONE
-Maurizio Tortorella per “la Verità”
Il boss palermitano Antonino Sacco torna in carcere dalla detenzione domiciliare, e forse è il primo di una lunga serie di rientri in cella. Merito del decreto «Riacchiappa mafiosi» varato il 9 maggio dal ministro grillino della Giustizia, Alfonso Bonafede? Per nulla. Il merito va alla nuova gestione del Dap, il Dipartimento dell' amministrazione penitenziaria, che è riuscito a trovargli un posto in una «struttura sanitaria protetta».
Questo è accaduto perché, dopo le dimissioni cui è stato costretto a fine aprile Francesco Basentini, l' uomo che Bonafede nel giugno 2018 aveva preferito al magistrato antimafia Nino Di Matteo, ora il Dipartimento ha un nuovo capo, Dino Petralia, e un vice, Roberto Tartaglia. Che evidentemente hanno fatto bene il loro lavoro, che, durante una pandemia, consiste anche nel trovare soluzioni alternative per i detenuti in condizioni sanitarie incompatibili con il rischio contagio.
Insomma, se già in aprile il Dap avesse adottato comportamenti congrui e tempestivi, non sarebbero mai andati ai domiciliari né Sacco, né soprattutto boss di Cosa nostra come Francesco Bonura, di 'ndrangheta come Vincenzo Iannazzo, o di camorra come Pasquale Zagaria. Per quest' ultimo ieri sera si è liberato un posto nell' ospedale di Viterbo ed è stata fissata una nuova udienza il 22 maggio.
Ma il suo nome faceva parte della lista dei «pezzi da 90» le cui scarcerazioni avevano travolto in uno tsunami il ministero della Giustizia, che Bonafede ha poi elegantemente dirottato su Basentini.
Il problema, in realtà, nasce proprio dall' inadeguatezza del Dap e del ministero. Nel caso proprio di Zagaria, malato di cancro e recluso nel carcere di Sassari, il 30 aprile era stata La Verità a rivelare l' incredibile sequenza di ritardi ed errori di valutazione del Dipartimento, e perfino l' assurdo particolare di un recapito di posta elettronica sbagliato, cui l' ufficio di Basentini ha spedito le email che voleva indirizzare al tribunale di sorveglianza di Sassari.
Soltanto per quei ritardi e quegli errori, alla fine, i giudici hanno dovuto concedere a Zagaria di uscire da una cella di alta sicurezza per trasferirsi a casa della moglie, aprendo così il rischio di una disastrosa evasione, lo stesso che purtroppo riguarda molti degli oltre 376 scarcerati. È incontrovertibile, però, che la responsabilità politica cada tutta su Bonafede. È anche per questo, del resto, se il centrodestra ha chiesto le sue dimissioni con una mozione di sfiducia che il Senato dovrebbe discutere il 20 maggio.
Ora il M5s e i media filogovernativi celebrano il rientro in cella del mafioso Sacco come se fosse il clamoroso risultato dell' impeccabile azione del ministro. In realtà proprio il caso Sacco dimostra che ad aprire le celle agli oltre 376 detenuti «pericolosi» non sono state né leggi sbagliate, né la manica larga dei tribunali di sorveglianza.
È stata solo la disattenzione del ministero della e del suo Dipartimento. Perché il «nuovo» Dap ha dimostrato di poter fare tutto quel che gli veniva chiesto: Sacco, 65 anni, condannato per mafia ed estorsione, era uscito dal carcere di San Gimignano per una cardiopatia dopo un infarto, cui si sommava il rischio di un' infezione da Covid-19. Da circa un mese, il mafioso era in una casa d' accoglienza parrocchiale. È bastato che il nuovo vicecapo del Dap, Tartaglia, facesse monitorare le strutture penitenziarie con annesso reparto ospedaliero: è stato individuato il carcere di Livorno, dove c' è la possibilità di «avvalersi all' occorrenza delle strutture sanitarie del territorio».
Così il tribunale di sorveglianza ha potuto rinchiudere Sacco in quel carcere, dove potrà essere curato, e non solo perché «si assiste a una fase di relativa rimessione della diffusione dell' epidemia». Allo stesso modo, il Dap ha trovato posto in «strutture sanitarie protette» per un' altra ventina di condannati pericolosi, ai quali ora potranno essere revocati i domiciliari. Di strutture di quel tipo ce ne sono, in Italia: per esempio a Milano, Parma, Roma, Viterbo, Catania e Agrigento. E sono sicure.
Non per nulla, quando direttore del Dap era Roberto Piscitello, alcune di queste strutture hanno ospitato boss del calibro di Bernardo Provenzano e Totò Riina, il capo dei capi.
Nel frattempo, in attesa del dibattito sulla sfiducia, rimbalzano polemiche sulle parole che Bonafede ha pronunciato alla Camera martedì. Il ministro ha fatto di tutto per neutralizzare i veleni sparsi dal magistrato Di Matteo, che dal 3 maggio lo accusa di non averlo nominato a capo del Dap, nel giugno 2018 (e di avergli preferito Basentini), ipotizzando possa essere accaduto per paura delle reazioni dei mafiosi detenuti: «Non c' è stato alcun tipo di condizionamento», ha protestato Bonafede.
Che poi, a sorpresa, ha difeso a spada tratta proprio Basentini: «Era stato procuratore aggiunto a Potenza», ha ricordato, «si era distinto nel lavoro e nel colloquio aveva dimostrato di essere all' altezza del suo curriculum». Parole strane, sulla bocca di un ministro che soltanto due settimane fa ha deciso di sacrificare proprio l' ex capo del Dap come unico responsabile del disastro scarcerazioni.