ROMANZO QUIRINALE - DRAGHI DOVRÀ RIMANERE A PALAZZO CHIGI FINO AL 2023 PER TERMINARE LA SUA MISSIONE “RECOVERY”, E INFATTI NON ACCENNA MINIMAMENTE ALL’IPOTESI COLLE. E MATTARELLA CHE FARÀ? FINORA HA SEMPRE RIFIUTATO (ANCHE PUBBLICAMENTE) LA SOLUZIONE-NAPOLITANO DI PROROGA. A MENO CHE I PARTITI, CHE NON CONTANO PIÙ UN CAZZO, ANDASSERO A PIGOLARE AL QUIRINALE IMPLORANDOLO DI RESTARE - LA POLITICA È IN GROSSA DIFFICOLTÀ. E A OTTOBRE CI SONO LE ELEZIONI AMMINISTRATIVE CON CUI SI VEDRÀ IL PESO EFFETTIVO DI OGNUNO (E INFATTI, TUTTI TREMANO….)
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1 - L’ITALIA CHE VERRÀ - DA QUI A FEBBRAIO 2022, ELEZIONE DEL CAPO DELLO STATO, ACCADRÀ DI TUTTO. IN MEZZO, IL PROSSIMO 3 OTTOBRE, C’È IL VOTO DELLE MAGGIORI CITTÀ. PER LA CORSA AL COLLE DRAGHI SI È SUBITO CHIAMATO FUORI PERCHÉ È INTENZIONATO A FINIRE LA SUA MISSIONE A PALAZZO CHIGI. FINORA LA SOLUZIONE-NAPOLITANO, ALTRI DUE ANNI PER POI LASCIARE CON IL NUOVO PARLAMENTO CHE USCIRÀ DALLE URNE DEL 2023, È STATA RIGETTATA DA MATTARELLA. A MENO CHE, COME SUCCESSE CON RE GIORGIO, I PARTITI DELLA MAGGIORANZA, IN FILA INDIANA, NON SI RECASSERO AL QUIRINALE PIGOLANDO “SERGIO, RESTA!” - DAGOREPORT 13 AGOSTO 2021
2 - PARTITI SENZA IDENTITÀ IL DESTINO DI DRAGHI TRA CHIGI E QUIRINALE
Federico Geremicca per “La Stampa”
C'è un aspetto destinato a diventare sempre più paradossale nella complicata e lunghissima volata che i partiti hanno già lanciato in vista dello striscione con sopra stampata la parola Quirinale. E il paradosso sta nel fatto che in una partita politica nella quale le volontà e le ambizioni personali hanno sempre contato poco o niente (chi non vorrebbe diventare Presidente? ), stavolta le cose sembrano andare assai diversamente.
Intendiamoci, stiamo parlando di un appuntamento lontano ancora cinque mesi: e pensiamo a mesi come gli ultimi, tra pandemie e varianti che dilagano, con in mezzo elezioni importantissime (Roma, Milano, Napoli, Torino) e avvenimenti esteri (dal terrorismo all'immigrazione) destinati a pesare.
Da qui a gennaio 2022, insomma, molto potrebbe cambiare. Ma se invece poco cambiasse, è pacifica la constatazione che a orientare la corsa al Quirinale saranno, appunto, due volontà personali: quella del presidente della Repubblica in carica e quella del suo più che designato successore, e cioè l'attuale presidente del Consiglio. Mattarella e Draghi, insomma.
Proviamo a semplificare una faccenda che in realtà è complicatissima, zeppa di subordinate e con diverse controindicazioni: se i presidenti (soprattutto il primo) accettassero l'idea già variamente proposta di restare al loro posto fino alla scadenza della legislatura (primavera del 2023), allora una soluzione potrebbe forse essere considerata a portata di mano.
Ma se invece la volontà di anche uno solo dei due presidenti fosse diversa, tutto potrebbe finir risucchiato in un impenetrabile e interminabile buco nero. Il rischio, in questa semplificazione, naturalmente è enorme. Ma le cose non devono stare in maniera troppo diversa, se uno dei due Presidenti (sempre il primo. . .) ha tenuto a far conoscere la sua opinione: e con largo anticipo.
Era il maggio di quest' anno, e Sergio Mattarella spiegò: «Tra otto mesi il mio incarico termina. Come sapete, il presidente della Repubblica dura sette anni... io sono vecchio, tra qualche mese potrò riposarmi». Un artificio per farsi invocare un po'? Non si direbbe. E non solo per il profilo dell'attuale presidente, ma perché hai poi riservatamente confermato la sua volontà in ogni lingua nota.
Dopodiché, anche Napolitano non voleva prestarsi ad un secondo mandato: e andò come andò. Vedremo. Il secondo presidente - Mario Draghi - non ha ancora parlato. Magari in famiglia sanno quel che ha in testa: ma il giro degli informati, ecco, non va molto più in là. Non ci sono cerchi magici e fedelissimi: o almeno fedelissimi chiacchieroni. Si direbbe: uno standing perfetto per il Quirinale.
Ma anche per palazzo Chigi, secondo un giudizio solo paradossalmente più diffuso presso le cancellerie europee (e non solo) che qui da noi. Comunque sia: sulla questione Draghi non ha nulla da dire. E del resto: cosa potrebbe dire senza scatenare un finimondo? Immaginiamo la scena.
Draghi parla: «Effettivamente, andare al Quirinale...». Oppure l'opposto: «Credo sia meglio rimanere a Palazzo Chigi». Andare al Quirinale? Rimanere a Palazzo Chigi? Guarda che non decidi tu, gli si potrebbe far notare. Al governo ci sei solo perché noi ti sosteniamo, e al Quirinale ci vai solo se noi ti votiamo. Certo, è detta male: ma le cose stanno così.
I partiti. Sono i partiti che decideranno del Quirinale, del governo e del futuro di Draghi. Qualunque cosa oggi dicesse, li irriterebbe. Figurarsi qualcosa che ricordasse da lontano un'autocandidatura... I partiti, già. Esclusa Giorgia Meloni, che ha le vele gonfie del vento dell'opposizione, sono tutti più o meno nei guai.
Sintetizziamo di nuovo: il centrodestra non è più il monolite dell'era berlusconiana (anzi), il centrosinistra ormai si riduce al Pd e a quelli che erano nel Pd e ne sono usciti, il Movimento Cinquestelle - infine - cerca una nuova identità e intanto si consuma lentamente sia sul piano del consenso elettorale che su quello della tenuta perfino alla Camera e in Senato, avendo praticamente perso - record dei record - un parlamentare su tre.
Questo è il quadro, alla fine di un agosto assai agitato. Le elezioni di ottobre, è certo, lo renderanno ancor più nervoso. E a quel punto, dopo il voto, lo striscione con sopra scritto Quirinale sarà ormai vicino. Una previsione è facile: se ci si arriva nel clima di oggi, i 101 franchi tiratori che affondarono Romano Prodi nell'aprile del 2013 sembreranno scolaretti alla prima marachella...
È anche per questo, per l'evidente debolezza dei partiti in campo, che le volontà personali stavolta potrebbero pesare tanto. Vedremo come si orienteranno... E se riusciranno - naturalmente per la parte che li riguarda - a evitare che tutto finisca nel buco nero. O peggio ancora, in una sorta di imprevisto, imprevedibile e indesiderabile ingorgo politico-istituzionale.