C’ERAVAMO TANTO ODIATI – PD E MOVIMENTO 5 STELLE SOTTERRANO L’ASCIA DI GUERRA E PURE LE DECINE DI QUERELE CHE I DUE PARTITI SI SONO SCAMBIATI NEGLI ANNI – DALLA TESSERA DEL PD NEGATA A BEPPE GRILLO ALLO STREAMING DI BERSANI CON CRIMI E LOMBARDI A DI MAIO CHE DICE “MAI CON IL PARTITO DI BIBBIANO” – L’UNICO CHE NON RITIRA NIENTE È RENZI, CHE NEL 2018 DAVA DEGLI IMPRESENTABILI AI GRILLINI. CON CUI PERÒ ORA GOVERNA SERENAMENTE INSIEME…
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1 – “LE IENE” METTONO IN FILA GLI INSULTI CHE SI SONO URLATI CONTRO PD E M5S PER ANNI E VA A CHIEDERNE CONTO: DI MAIO NON PARLA E ZINGARETTI FA L’ECUMENICO – L’APICE LO RAGGIUNGONO “MARIA ETRURIA” BOSCHI, CHE DICEVA: “BEPPE GRILLO MI FA SCHIFO?” E ORA GIUSTIFICA L’INCIUCIO DANDO LA COLPA A SALVINI
2 – INSULTI, SFOTTÒ E TANTO ODIO IN STREAMING MA LA NUOVA ALLEANZA SOTTERRA LE QUERELE
Federico Capurso per “la Stampa”
«Ci eravamo tanto odiati». Eppure, l'irresistibile profumo del governo rende possibile ogni cosa. Si possono trascurare due visioni del mondo contrapposte, dimenticare gli insulti e mettere da parte le promesse solenni di non allearsi mai, l'uno con l'altro.
Un esercizio nella teoria sfinente e nella pratica leggero come uno sbuffo: «Erano altri tempi», «son cambiate le condizioni», «lo facciamo per un bene superiore». Resta però nei resoconti parlamentari e negli archivi il ritratto vivido di un'era politica di scontri feroci, tra Pd e Movimento 5 stelle, durata 10 anni.
Dalla tessera del Pd negata a Beppe Grillo, che nel 2009 vuole contendere la segreteria a Pierluigi Bersani, fino al «partito di Bibbiano» con cui Luigi Di Maio apostrofa i Dem nel luglio dello scorso anno. Nel giro di pochi mesi, tutto viene sotterrato.
Persino le decine di querele per diffamazione che i due partiti si sono scambiati in un'interminabile partita di tennis. Per provare a difendere il potere ottenuto. E per conquistarne altro, insieme. Gli anni del renzismo sono quelli più duri, he incancreniscono i rapporti tra le due forze, ma tutto può essere ribaltato.
Lo dimostra proprio Matteo Renzi, che prima delle elezioni del 2018 dice a Di Maio di essere «diventato il capo del partito degli impresentabili e degli ex onesti». Accusa che per altro viene ricambiata dal capo politico grillino. E quello stesso Renzi, un anno e mezzo più tardi, con gli stessi ex onesti e impresentabili, dà l'impulso decisivo alla nascita dell'esecutivo giallorosso.
Lo fa superando agilmente anche le dichiarazioni dei due leader, Di Maio e Zingaretti, che fino al giorno prima si giuravano odio eterno. «Non voglio avere nulla a che fare con il partito di Bibbiano», attaccava Di Maio nel luglio del 2019, attirando su di sé le ire e le querele del Pd.
«Non intendo favorire nessuna alleanza o accordo con il Movimento 5 stelle», aveva detto Zingaretti pochi mesi prima, a febbraio, durante la convention di partito. Adesso vorrebbero lavorare insieme persino nelle grandi città. E Grillo è il primo sponsor di quest' intesa, nonostante nel 2016 tuonasse che «il Pd ha amministrato Roma con Mafia Capitale».
L'opera di rimozione è rapida. Sembrano un ricordo sbiadito le pretese di streaming intorno a cui si consumavano i primi scontri tra i due schieramenti. Quando il Movimento entra in Parlamento, nel 2013, il faccia a faccia inaugurale davanti a una webcam è quello tra Pierluigi Bersani e i due capigruppo grillini, Vito Crimi e Roberta Lombardi.
Un tempo in cui, dopo un discorso fatto di buone intenzioni e programmi di governo, il segretario del Pd viene gelato dall'irrisione lapidaria di Lombardi: «Mi sembra di stare in una puntata di Ballarò». Del successivo incontro in streaming, un anno dopo, tra Renzi e Grillo, rimane lo sfottò urlato dal premier contro il comico: «Esci da questo blog, Beppe». Poco altro.
Da lì sarebbero esplose le ostilità, in un continuo crescendo, tra soprannomi insultanti - «l'Ebetino» - e veleni stillati dai Dem sui «beceri populisti», gli «incompetenti», i «fascisti». Il Pd si trasforma ben presto nel nemico numero uno del grillismo, ma il sentore di un rapporto complicato c'è ancor prima dell'ascesa di Renzi.
È gennaio 2014, un mese prima del passaggio di consegne con Enrico Letta, quando nella sala delle riprese televisive all'interno di Montecitorio, mentre gli operatori distratti armeggiano tra microfoni e cavi, Alessandro Di Battista e l'allora capogruppo Pd Roberto Speranza sfiorano la rissa: «Non ti vergogni a votare con un condannato? Tagliati lo stipendio», gli ripete Di Battista puntandogli l'indice sul petto.
«Non mi mettere le mani addosso. Non sai cosa sia la democrazia», ribatte a muso duro Speranza. Sono anni di soldi finti lanciati sui banchi del Pd, prima alla Camera nel 2015 e poi di nuovo in Senato, nel 2017, mentre si discuteva il decreto per il salvataggio delle banche venete.
E gli anni di Paola Taverna, che nel luglio del 2015 urlava sguaiata ai senatori Pd: «Mafiosi, schifosi, siete delle merde. Ve ne dovete andare. Dovete morire». Nulla di estemporaneo. Eppure è lei, oggi, uno dei più convinti sostenitori dell'alleanza con i Dem. Cosa può essere cambiato?