L’ETEROGENESI DI FINI – PERCHÉ GIORGIA MELONI NON CONDANNA UNA VOLTA PER TUTTE IL FASCISMO? LA “DUCETTA” È TERRORIZZATA DALLO SPETTRO DEL FONDATORE DI “ALLEANZA NAZIONALE”, CONSIDERATO IL GRANDE TRADITORE DELLA DESTRA ITALIANA. MA INVECE CHE CONTINUARE A CIRCONDARSI DELL’IMPROBABILE FAUNA CHE POPOLA L’ESTREMA DESTRA ITALIANA, NON SAREBBE MEGLIO CREARE UNA CLASSE DIRIGENTE SERIA E PRESENTABILE? TRA BARONI NERI E BRACCIA TESE, DI QUESTO PASSO PALAZZO CHIGI RIMARRÀ SOLO UN SOGNO IRREALIZZABILE…
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1 - MELONI, IL FANTASMA DI FINI E I GIOVANI IN ASCESA: QUELL’ABIURA CHE GIORGIA NON PUÒ FARE
Francesco Olivo per “La Stampa”
La domanda gliela pongono ormai senza sosta: «Perché non condanni il fascismo?». Il caso dei rapporti del dirigente di Fratelli d’Italia Carlo Fidanza con gli estremisti di destra di Milano, oltre a suscitare un senso di assedio, mette Giorgia Meloni davanti al dilemma: fare il passo definitivo rinnegando, senza ambiguità dialettiche, il regime di Mussolini?
Chi la conosce bene è sicuro che questo passo, la leader di Fratelli d’Italia, non lo farà, almeno per ora, non tanto per timore di non essere seguita dai suoi o di perdere voti («10 preferenze», ha detto venerdì Meloni riferendosi ai voti degli estremisti), quanto per paura di ricalcare le orme di Gianfranco Fini, considerato il grande traditore e distruttore della destra italiana.
Fratelli d’Italia nasce proprio con lo scopo di ricostruire quello che, secondo la visione dei fondatori, Fini ha distrutto, da un punto di vista elettorale, ma soprattutto di valori. La svolta di Fiuggi e soprattutto la frase «il fascismo male assoluto», pronunciata (anche se non proprio letteralmente) dal leader di Alleanza Nazionale durante una visita a Gerusalemme sono un tabù, una strada che Meloni non vuole (o non può) ripercorrere in questo momento.
«Se Giorgia abiurasse il fascismo oggi, vorrebbe dire dare ragione a Fini 26 anni dopo la svolta di Fiuggi», dice un esponente del partito. Altro tema è quello generazionale, dirigenti come Andrea Del Mastro, Giovanni Donzelli, Augusta Montaruli e lo stesso Fidanza, formano un blocco di giovani di cui Meloni si fida e che «non ha mai vissuto gli anni del ghetto che noi “vecchi” abbiamo visto – ragiona uno storico esponente della destra italiana – così, a differenza nostra, non hanno paura di tornarci».
Fratelli d’Italia è una formazione verticistica, ma con la crescita esponenziale di questi ultimi anni la base si è allargata e controllarla da Roma è complicato. Meloni sa benissimo che quello dei rapporti con l’estrema destra è un nodo fondamentale da risolvere se davvero punta a Palazzo Chigi.
Dal partito spiegano che nell’ultimo anno e mezzo sono stati espulsi centinaia di iscritti anche a costo di rinunciare a pacchetti di voti: «Chi viene beccato con busti del Duce e o posta sui social slogan razzisti lo accompagniamo alla porta». Viene citato come esempio il caso di Enrico Forzese, esponente con un buon pacchetto di voti, escluso dalle liste delle comunali e municipali di Torino, per eccessi “nostalgici”. Una volta chiuse le urne, la leader vuole portare avanti con più forza questa operazione.
La questione ideologica non è osservata soltanto in Italia, Meloni è la presidente dei Conservatori e riformisti al parlamento europeo e il suo profilo deve essere al di sopra del sospetto di estremismo. L’urgenza ora è sostituire Fidanza, dimessosi anche dall’incarico di capodelegazione, il suo posto dovrebbe essere preso da Raffaele Fitto.
Quello che è certo è che il caso Fidanza fa male a Meloni, intanto perché mette in discussione la sua fiducia totale nei dirigenti della sua generazione e poi perché rischia di far vacillare, agli occhi dell’opinione pubblica, l’elemento cardine del partito: l’assoluta trasparenza della gestione economica.
È un problema di immagine e non penale perché in via della Scrofa nessuno crede che ci saranno risvolti giudiziari per il presunto finanziamento illecito, che secondo Fidanza non si è mai verificato. Meloni ha scoperto la vicenda del video di Fanpage solo giovedì sera, mentre andava in onda Piazzapulita.
La telefonata con Fidanza è stata molto dura nei toni, anche perché sarebbe emerso che l’eurodeputato era stato avvisato sin dai mesi scorsi dell’interessamento dei giornalisti sui suoi rapporti con il Barone nero. Sarebbe stato un motivo in più per fare quello che Meloni chiede anche all’ultimo militante: evitare contatti imbarazzanti, affinché nessuno le debba chiedere ancora: «Cosa pensi del fascismo?».
2 - VELENI, GOLIARDIA, MINACCE IL MONDO DEL «BARONE NERO» CHE METTE IN GUARDIA I PARTITI
Giampiero Rossi per il “Corriere della Sera”
Il giorno dopo la bufera è anche il giorno prima del voto. Così i buoni motivi per evitare di rispondere alle domande che suggeriscono le immagini dell'inchiesta di Fanpage sono almeno due: il silenzio elettorale (imposto dalla legge) e la prudenza giudiziaria (raccomandata dai rispettivi avvocati).
Così i tre protagonisti principali del videoracconto del giornalista travestito da imprenditore che per tre anni ha frequentato alcune figure della destra milanese, almeno per il momento, non forniscono una loro interpretazione autentica di frasi e dialoghi che spalancano la strada a pesanti dubbi politici e a un'iniziativa della magistratura e della Guardia di finanza milanese per fare luce su presunti canali illeciti di finanziamento della campagna elettorale.
Tace Carlo Fidanza, eurodeputato e punto di riferimento importante di Fratelli d'Italia a Bruxelles, a Milano e a Roma. Non risponde Chiara Valcepina, la candidata per un posto da consigliere comunale a Milano attorno a cui gravita il gruppo avvicinato dal falso imprenditore.
Dice di non poter parlare, ma fa partire una raffica di comunicati e messaggi (anche trasversali), Roberto Jonghi Lavarini, detto «il Barone nero», che nelle immagini appare molto attivo accanto a Fidanza nella campagna a sostegno dell'avvocato Valcepina.
«Sono assolutamente indipendente e apartitico ma nessuno faccia finta di non conoscermi o, peggio, si permetta di offendere gratuitamente me e la comunità di veri patrioti che rappresento», posta su Instagram, accanto alle foto che lo ritraggono con Matteo Salvini e Giorgia Meloni. E così sembra voler replicare a chi, come Ignazio La Russa, lo ha liquidato come «macchietta».
Perché, aggiunge Jonghi Lavarini, «il 5% di voti della destra radicale fa gola a tutti ed è indispensabile per vincere».
Quindi fa sapere: «Stiamo raccogliendo il lungo elenco di chi sarà denunciato per diffamazione aggravata a mezzo stampa e minacce sui social».
A prendere le distanze, tuttavia, è anche Mery Azman, la candidata nel Municipio 3 a Milano che nel video di Fanpage viene indicata come «la candidata ebrea» perché vicina alla comunità: «Almeno in mia presenza, nonostante il clima scherzoso e poco politico, non vi è stato alcun atteggiamento apologetico né tantomeno razzistico - precisa a proposito di un'iniziativa elettorale alla quale ha partecipato - e gli esponenti di FdI presenti hanno semmai, parlando tra loro, preso le distanze da idee e comportamenti di Jonghi Lavarini descritto come un personaggio da non prendere mai sul serio e lontano da FdI».
In effetti il «Barone nero» era stato già espulso da An, ricorda sempre La Russa, e successivamente aveva rotto polemicamente con Fratelli d'Italia, un partito troppo moderato e «centrista» per lui, salvo poi apparire come candidato alla Camera nel 2018, ma «come indipendente».
Nel 2020 ha rimediato una condanna a due anni per apologia del fascismo per aver scandito in televisione le sue idee a dir poco nostalgiche del ventennio: «Il fascismo è stata una splendida epoca», «un goccino di olio di ricino è digestivo», «l'unico errore vero di Mussolini è che è stato troppo buono».
Intanto Massimiliano Bastoni, consigliere comunale e regionale della Lega vicino agli ambienti della destra radicale milanese, rivela che il giornalista «spacciandosi per lobbista, ha avvicinato anche me promettendo finanziamenti illeciti per la mia campagna elettorale ma gli ho risposto che faccio tutto in regola e che non vendo i miei ideali. Ho registrato tutte le conversazioni e sono a disposizione della Procura».