SALA D’ATTESA – IL SINDACO DI MILANO BEPPE SALA SPIEGA A SCHLEIN LE SUE TRE CONDIZIONI PER COSTRUIRE IL FRONTE CENTRISTA DELL’AMMUCCHIATA ANTI-MELONI - A MILANO SI ANDRÀ AL VOTO CON OGNI PROBABILITÀ TRA APRILE E GIUGNO DEL 2027, QUINDI SALA NON SI MUOVEREBBE POLITICAMENTE PRIMA DI UN ANNO. RESTA IL NODO RENZI-CALENDA: “È IMPOSSIBILE TENERLI ASSIEME”
-Maurizio Giannattasio per corriere.it - Estratti
Più che il federatore, il liquidatore. O se si vuole essere meno drastici, visto che non vuole liquidare nessuno, il traghettatore, colui che deve riportare stabilmente nel centrosinistra quelle forze «moderate, pragmatiche, capaci di riforme, europeiste» che vanno sotto il nome di Terzo polo che a quel punto si scioglierebbe nella coalizione. La nuova vita di Beppe Sala potrebbe passare per la cruna dell’ago di questa sfida.
Complicatissima, perché non si tratta tanto di convincere Matteo Renzi e Carlo Calenda a fare un passo indietro visto che i due difficilmente rinuncerebbero alle proprie creature se non a determinate condizioni, quanto di presentare una proposta politica in grado di rivolgersi direttamente a quell’elettorato.
Ma per imbarcarsi in questa nuova avventura politica, Sala non ha mai fatto mistero che debbano essere soddisfatte tre condizioni. Ne ha parlato con la segretaria del Pd Elly Schlein a cui non dispiacerebbe affatto avere Sala che presidia il territorio del centro del centrosinistra mentre lei si dedica ai temi più identitari. La prima: a Milano si andrà al voto con ogni probabilità tra aprile e giugno del 2027 e la città con le Olimpiadi alle porte richiede molta attenzione, quindi Sala non si muoverebbe «politicamente» prima di un anno.
La seconda riguarda la tenuta di un accordo del genere. Deve essere stabile nel centrosinistra e deve riguardare tutto il Paese. Non è che in una Regione si sta da una parte e in un’altra si va per conto proprio. La terza è quasi come scalare l’Everest: è una partita che non si può giocare in solitaria, c’è bisogno di un gruppo di persone con visibilità e reputazione che abbiano voglia di mettersi in gioco. Sala è anche consapevole che i «volontari» debbano uscire allo scoperto in tempi brevi perché come dice spesso ai suoi «so che non ho un partito vero, ma un partito virtuale che si chiama Milano, ma a un certo punto questo partito svanisce».
(...) Il passaggio forte è «la mancanza di una rappresentanza ben definita». Il riferimento è alla difficoltà di mettere insieme e imbarcare in quest’avventura due persone che in più di un’occasione hanno dimostrato di non poter convivere.
Questa estate — raccontano fonti romane — c’è stato un incontro tra Calenda e Sala, dove il leader di Azione, sconfortato dalla situazione, avrebbe dato carta bianca a Sala sul partito e sulle strategie da seguire. Salvo porre una condizione ineludibile: che non ci sia Matteo Renzi. Il timore è che imbarcare i due nella nuova avventura politica significherebbe replicare in piccolo quello che ha fatto Conte con Renzi. Sala ha sempre detto che non c’è nulla di personale con Renzi e Calenda, ma evidentemente c’è un problema oggettivo.
Dunque, l’unica strada per evitare di infrangersi tra Scilla e Cariddi è quella di tentare di oltrepassare l’ostacolo dei personalismi e di rivolgersi direttamente a quell’elettorato che si riconosce nei valori liberali e riformisti. Ma per fare questo si torna alla terza condizione: una battaglia del genere non si può fare da soli. Servono persone e mezzi. Serve un’organizzazione in grado di mettersi in gioco. Servono sindaci, serve civismo. Serve un programma che richiami nel centrosinistra chi ancora oggi pensa che un «centro-centro» sia ancora possibile.