“SALVIAMO LA MEMORIA”: LA MISSIONE DI HIROSHIMA - 70 ANNI DOPO LA BOMBA ATOMICA LA CITTA’ NON SMETTE DI RICORDARE - UNA SOPRAVVISSUTA: “QUI POCHI APPROVANO LE IDEE DI RIARMAMENTO MILITARE DEL PREMIER ABE”
Ilaria Maria Sala per “la Stampa”
Il lungo boulevard che attraversa il centro città da Est ad Ovest si chiama Viale della Pace. Quando scavalca il fiume, si tramuta in Ponte della Pace, e dopo una leggera curva ecco che porta al Parco della Pace, dove si trovano il Museo e Memoriale della Pace di Hiroshima.
I mille aironi origamati appesi agli alberi all’interno del parco, ai quali vengono costantemente aggiunti nuovi grappoli di uccelli colorati di carta piegata, fanno da simbolo perenne della pace, così come le statue e le sculture e gli omaggi offerti dalle varie associazioni e gruppi professionali di tutto il mondo, che dedicano a Hiroshima, anno dopo anno, auguri di pace per scongiurare l’amnesia.
I messaggi sugli alberi
Nel parco stesso, mentre si passeggia all’ombra dei sempreverdi osservando le miriadi di gruppi scolastici che guardano prendendo appunti a quel che rimane del Salone per la Promozione Industriale di Hiroshima, il Sangyo Shoreikan, l’unico edificio significativo rimasto in piedi dopo l’esplosione del 6 agosto 1945, l’attenzione è costantemente attratta da fotografie e volantini appesi agli alberi, o lasciati vicino ai muretti.
Alcuni sono messaggi di sopravvissuti, tramandati da amici e discendenti, altre sono collezioni di disegni di bambini, o fotografie del prima e dopo, tutti a mostrare che l’unica via di sopravvivenza per il genere umano sono la pace e il disarmo nucleare. Ogni tanto si viene fermati da persone che per missione fanno i «portatori di racconti dei sopravvissuti».
Alcuni hanno imparato le lingue straniere, per spiegare ciò che è accaduto a turisti come questi, dell’Ecuador, o a quell’altro gruppo che arriva dalla Germania, che segue una comitiva di allegri canadesi in calzoncini. Hiroshima, città internazionale di Pace.
Mihoko Kumamoto, direttrice del centro Unitar (una delle agenzie Onu per lo sviluppo e la «pace sostenibile» in seguito ai conflitti) di Hiroshima, spiega che «questa è la missione che la città si è data dopo la guerra». «È per questo - dice - che l’Unitar è venuta qui. Portiamo a Hiroshima delegazioni dall’Afghanistan e dal Sud Sudan, per formazione sulla pace sostenibile, e per tutti la sorpresa è vedere una città come questa: prospera, allegra, dall’economia dinamica e sviluppata. Si aspettavano solo macerie».
Case da tè e grattacieli
Perché Hiroshima, infatti, è una piccola, accogliente città giapponese come tante altre. La sera, gruppi di giovani in abiti cosplay (travestiti da personaggi famosi,ndr) escono per mostrarsi nelle strade dello shopping. Le case da tè dove signore dall’aspetto perfetto passano ore a gustare verdissimi tè macha e dolci alla crema e fagioli azuki si affiancano alle catene di caffè per businessmen e studenti bisognosi di rapida caffeina.
La scelta gastronomica è appetitosa e varia, i grattacieli dei grandi magazzini Parco, Tokyu Hands, Mitsukoshi e via dicendo punteggiano l’orizzonte, il crimine è basso, le librerie traboccano di volumi e di curiosi che li spulciano, le sale da gioco sono aperte fino a notte tarda, negozi e ristoranti «tradizionali» si affiancano a quelli moderni, e dopo qualche ora in città il nome «Hiroshima» perde gli echi tragici che evoca ancora nel mondo.
«Sono passati settant’anni», dice Yasuyoshi Komizo, il segretario generale della Fondazione per la Cultura di Pace di Hiroshima, «e credo che questo sia un momento di svolta: i sopravvissuti diminuiscono, alcuni sono molto malati, e il ricordo non può più contare solo sulle loro testimonianze, anche se cerchiamo di preservarle nel museo e nella biblioteca multimediale.
C’è bisogno di iniziative attuali. Come quella che portiamo avanti sui Sindaci per la Pace, ovvero, una coalizione mondiale di sindaci che cerca di promuovere il disarmo nucleare. E c’è il problema sempre vivo dell’educazione, naturalmente».
Il diritto alla memoria
Per i primi sette anni dopo la guerra, quando il Giappone era sotto occupazione militare americana, non si poteva parlare dell’atomica: filmati, foto, e altre documentazioni erano confiscati dalle forze d’occupazione, e l’autocensura s’impose. Per le vittime della bomba la conquista del diritto alla memoria arrivò lentamente, quando alcuni forse avrebbero già voluto dimenticare – come a volte sembra voglia fare il Paese intero.
Oggi, sia Nagasaki che Hiroshima hanno un programma scolastico un po’ diverso dal resto del Giappone, con un’ora settimanale di formazione alla pace e d’insegnamento degli orrori della guerra. Altrove, ancora oggi, la questione dell’insegnamento della storia giapponese recente, e delle sue folli avventure militari in Asia, continua a essere un campo di battaglia politico. «Qui a Hiroshima», dice Keiko Ogura, sopravvissuta alla bomba, «pochi approvano le idee di riarmamento militare del primo ministro Abe». Komizo le fa eco: «La soluzione dei conflitti deve essere pacifica. È la lezione di Hiroshima, oggi come ieri».