SALVINI E BERLUSCONI MARCIANO DIVISI PER COLPIRE LA MELONI UNITI: RITORNA L’IDEA DI FEDERARE LEGA E FORZA ITALIA – VERDERAMI: “I DUE UNA SETTIMANA FA SI SONO VISTI A CENA E HANNO FATTO A GARA A CRITICARE LA PREMIER DAVANTI AI COMMENSALI. VOGLIONO IMPEDIRLE DI FARE L'OPA SUL CENTRODESTRA. SALVINI DEVE RECUPERARE CONSENSI AL NORD PER NON VEDER COMPROMESSA LA SUA LEADERSHIP E BERLUSCONI NON SOPPORTA NESSUNO SOPRA DI LUI E NON ACCETTA L'IDEA, SUGGERITAGLI DAI FIGLI E DAGLI AMICI DI UNA VITA, DI ASSUMERE IL PROFILO DI ‘PADRE NOBILE’”
-Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”
«Mi voglio togliere qualche sassolino dalle scarpe», confidò Salvini a un alleato alla vigilia dell'insediamento del governo. I sassolini devono essere parecchi, se è vero che in neppure un mese non ha mai smesso di fare il controcanto a Meloni.
E come il capo della Lega anche Berlusconi si è messo a svuotare le sue scarpe. I due una settimana fa si sono visti a cena e hanno fatto a gara a criticare la premier davanti ai commensali. Marciano divisi per colpire uniti. Ad accomunarli è l'estremo tentativo di arginare l'alleata: agiscono sui temi programmatici per impedirle di avanzare nella coalizione e di realizzare l'Opa sul centrodestra.
Questioni politiche ma anche aspetti psicologici alimentano il braccio di ferro quotidiano. Salvini - dopo che le urne hanno ridimensionato il suo disegno di costruire una forza nazionale - ha bisogno di recuperare consensi al Nord per non veder compromessa la sua leadership nella Lega.
Berlusconi - sostiene un fedelissimo - «non sopporta nessuno sopra di lui». E non accetta l'idea, suggeritagli dai figli e dagli amici di una vita, di assumere il profilo di «padre nobile», svolgendo il ruolo che spetterebbe al fondatore del centrodestra. Ma il Cavaliere considera questa formula una deminutio, come fosse «la parte del nonno ai giardinetti».
Così è tornato a parlare coi suoi parlamentari di un «patto federativo» con la Lega, per impedire a Meloni di fagocitare Forza Italia e giocare d'anticipo rispetto al progetto della premier, che tutti danno per scontato dopo le Europee del 2024: cioè la nascita di un Pdl 2.0, preceduto da un «predellino» per chiamare a raccolta le varie anime dell'alleanza.
Il processo è in atto, «c'è un esercito di eletti e non eletti in attesa del segnale», sussurra uno dei dirigenti della coalizione. Già si notano i primi movimenti: oltre al posizionamento dei centristi, è sintomatica la spaccatura azzurra in Sicilia tra Schifani e Miccichè, ma anche la scelta del Nuovo Psi di rompere il patto con Berlusconi che reggeva dal 1994. «Seguiremo con interesse le proposte della premier», dice il socialista Caldoro: «A partire dalla riforma sul presidenzialismo».
Proprio ciò che serve a Meloni per realizzare il piano. È da vedere se Berlusconi passerà dalle parole ai fatti, perché già in passato aveva annunciato l'unione politica con Salvini. È certo che sfrutterà la manovra per trattare con l'inquilina di Palazzo Chigi, così da vendicarsi anche per le «umiliazioni» subite alla formazione del governo, che gli è parsa la riedizione di quanto successe ai tempi del gabinetto Draghi, quando non ebbe voce in capitolo per la scelta dei ministri di Forza Italia.
E mentre parla dell'eventuale intesa con Salvini, da consumato situazionista chiede ai suoi parlamentari se preferirebbero un partito unico con Meloni. Lo fa per sentirsi dire «no» e per ascoltare dalla loro voce le critiche verso Tajani, accusato di essere diventato «un collaborazionista» della premier.
Lei, lui, l'altro. Meloni aveva messo in conto il difficile triangolo politico. E fin dal primo sassolino ha compreso l'andazzo: «L'ho già visto questo gioco». Ma non ha reso pubbliche le sue reazioni private. Anzi, come racconta un rappresentante dell'esecutivo, «finora in Consiglio dei ministri si è comportata in modo democristiano, attenuando gli spigoli nel merito delle questioni».
Ha lasciato che fossero altri a lanciare dei segnali. È successo nella riunione che ha preceduto il suo viaggio a Bali, quando ha avviato un giro di tavolo politico tra i titolari dei dicasteri. E in quell'occasione Fitto, intervenendo sul nodo delle Ong e sulle tensioni con la Francia, ha sfruttato il suo Dna scudocrociato per farsi capire senza farsi scoprire: «Sono totalmente d'accordo sul merito del provvedimento. Ma vorrei ricordarvi che a Bruxelles non abbiamo solo il dossier sull'immigrazione. Serve perciò un approccio dialogante».
A tutti è sembrato un altolà alle fughe in avanti di Salvini e della Lega. Come sul tema dell'Autonomia. Con una postura «democristiana», Meloni ieri avrebbe ottenuto una sorta di allineamento con il Carroccio. «Anche perché - secondo uno dei partecipanti al vertice - in termini comunicativi stiamo offrendo il fianco alle sparate ideologiche di Conte e De Luca sul Sud». In un'intervista a Qn Crosetto ha dato per scontato che il governo durerà cinque anni, perché «Salvini e Berlusconi non sono mica matti». Ma non hanno finito di svuotare le loro scarpe...