SALVINI-GIORGETTI: NE RESTERA’ SOLO UNO: SUL CASO MORISI INIZIA IL CONGRESSO DELLA LEGA – SALVINI E’ INCAZZATO NERO CON GIORGETTI PER UN ATTACCO CHE VIENE PARAGONATO ALLO STRAPPO DI FINI NEL PDL. IL MINISTRO VAGHEGGIA UN NUOVO PARTITO STACCATO DA LOGICHE SOVRANISTE E ANCORATO AL PPE. IL SUO OBIETTIVO E’ PALAZZO CHIGI CON DRAGHI AL QUIRINALE - TENSIONE ALLE STELLE ANCHE FRA "IL CAPITONE" E I GOVERNATORI DEL NORD: QUESTI ULTIMI SONO PRUDENTI SULLE NUOVE APERTURE, SALVINI INVECE... - LA DAGONOTA
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Francesco Verderami per corriere.it
È iniziato il congresso della Lega. Giorgetti lo ha aperto prima ancora che si chiudessero le urne, scommettendo su una sconfitta del disegno salviniano alle Amministrative. Se dopo la tumultuosa avanzata alle Europee il voto dovesse consegnare al Carroccio un risultato sotto la soglia del 10% al Centro e al Sud, tramonterebbe infatti l’obiettivo di una forza a dimensione nazionale. Sarebbe un ritorno alla Lega Nord, il nervo scoperto di Salvini, che va su tutte le furie quando per errore viene citata la vecchia denominazione. Il «ritorno alle origini» che immagina Giorgetti non è però la riproposizione del passato, ma un nuovo partito sul modello della Csu bavarese, staccato dalle logiche sovraniste e ancorato al Ppe.
Ecco la sfida, che il «caso Morisi» ha amplificato perché l’inventore della «Bestia» era diventato la quintessenza del progetto salviniano, inviso da tempo a una larga parte del gruppo dirigente storico, che lo additava per un verso di aver cambiato il dna del partito e per l’altro di fomentare l’ostilità verso l’ala governista. La vicenda giudiziaria in queste ore sta alimentando i soliti sospetti nel Carroccio, ma il motivo del duello tra il segretario e il ministro dello Sviluppo economico era e resta politico.
Ce n’è la prova nelle ultime lamentazioni di Giorgetti, secondo cui l’impostazione di Salvini era sbagliata: dalle scelte dei candidati per le Amministrative alla battaglia ingaggiata sul green pass, fino all’inopportunità di attaccare in questa fase la titolare del Viminale. Atteggiamento che aveva indotto persino Berlusconi e i suoi amici di una vita a manifestare riservatamente solidarietà alla Lamorgese. L’insieme di queste mosse contravveniva di fatto all’accordo interno raggiunto dai due dopo l’ingresso nel gabinetto Draghi: quello cioè di procedere verso nuovi lidi a livello europeo in vista della scalata a Palazzo Chigi.
Così si è arrivati al punto di non ritorno. E il «no» di Giorgetti a Berlusconi per il Quirinale è parte del disegno, perché mira a far saltare la federazione di centrodestra a cui aspira Salvini, indicando invece a un pezzo di Forza Italia la strada per un’aggregazione dell’area moderata insieme ai centristi, a Renzi e a Calenda, citato non a caso per la corsa al Campidoglio. In questo scontro tutto interno al Carroccio giocano un ruolo anche i potenti presidenti di Regione, che nei giorni del braccio di ferro sul green pass avevano sottolineato come la linea della Lega fosse «la linea dei governatori».
Il voto delle Amministrative sarà uno spartiacque e Salvini già si prepara a resistere sostenendo che i candidati del centrodestra «andranno tutti al ballottaggio». La chiusura della campagna elettorale insieme a Meloni e Tajani a Milano e Roma è un modo per blindarsi e per blindare la coalizione. Gli alleati del segretario leghista attaccano Giorgetti per aver rotto il patto di lealtà a pochi giorni dal voto: «Chi si fiderà più di uno come lui?». È chiaro che il ministro non può più tornare indietro: peraltro la citazione di Bossi nell’intervista alla Stampa è l’affondo più duro verso Salvini, siccome evoca la capacità politica del Senatùr di sapersi muovere nel Palazzo nonostante avesse meno consensi nel Paese.
Il congresso della Lega è cominciato. E stavolta Salvini potrebbe avere come alleati anche i suoi rivali. Perché la mossa di Giorgetti, se riuscisse, cambierebbe la geografia politica nazionale, rianimerebbe lo spazio centrista che oggi è deserto, e minaccerebbe il disegno di Pd e Conte. Coincidenza vuole che il capo del Carroccio e pezzi autorevoli della dirigenza dem usino gli stessi termini per esorcizzare l’eventualità: «È roba da salotti». Salvini si limita a citare «il salotto di Calenda», i democratici si spingono a parlare di «salotti istituzionali». Così membri della segreteria dem iniziano a teorizzare che per far terra bruciata «forse sarebbe meglio votare Draghi al Colle e andare subito alle urne». E quel 60% di peones che non tornerebbe più in Parlamento, chi lo avvisa?
SALVINI-GIORGETTI
Emanuele Lauria per la Repubblica
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Ma l'imbarazzo più grande, per Salvini, in queste ore è nei riguardi di Giorgetti: nessun commento ufficiale ma il leader della Lega è molto irritato per un attacco che, negli ambienti del Carroccio non lontani dal capo, viene addirittura paragonato allo strappo di Fini nel Pdl. L'idea che molti hanno, nel partito di via Bellerio, è che Giorgetti punti a guidare il cosiddetto partito di Draghi, con posizioni non abbastanza di rottura nei riguardi del Pd e soprattutto con lo sguardo su Palazzo Chigi.
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Che il fronte caldo sia quello interno alla Lega, però, è confermato dalle nuove tensioni fra Salvini e i governatori del Nord: questi ultimi sono prudenti sulle nuove aperture e sull'aumento delle capienze per sport e spettacolo, il segretario è come sempre più netto: "Apriamo tutto". Fra mille distinguo e smentite, un partito in fibrillazione si avvia alle elezioni di domenica e lunedì che avranno il senso di un redde rationem. Dopo, inevitabilmente, arriverà l'ora del chiarimento.