SALVINI SAPEVA CHE I RAPPORTI CON VERDINI POTEVANO ESSERE PROBLEMATICI: ALL’INIZIO DEL SUO MANDATO DA MINISTRO DEI TRASPORTI, HA DATO AI SUOI COLLABORATORI L’ORDINE DI NON LASCIARSI INFLUENZARE DALLE PARENTELE – LA DIFESA DEL CARROCCIO: “AL MINISTERO DEI TRASPORTI ABBIAMO FATTO POCHISSIME NOMINE, TANTO DA PREPARARE UNA NORMA PER CAMBIARE I COMMISSARI DELLE OPERE, LÌ DA ANNI, SENZA ALCUN INCENTIVO PER CHIUDERE I CANTIERI” – IL SUSSULTO DELL’OPPOSIZIONE SUL CASO È DURATO GIUSTO IL TEMPO DI UN BATTIBECCO INTERNO…
-Estratto dell’articolo di Federico Capurso e Francesco Olivo per “La Stampa”
[…] L'imbarazzo nella maggioranza è palpabile, ma gli umori cambiano a seconda del partito. La Lega prova a scaricare tutto sui governi precedenti, visto che le intercettazioni emerse finora risalgono all'estate del 2022, mentre il leader di Forza Italia, Antonio Tajani, mostra un distaccato garantismo: «Non mi piacciono i processi in piazza, ma Verdini non è mio amico, né mio parente».
[…] La premier […] mostra […] una certa preoccupazione per gli eventuali sviluppi dell'inchiesta. D'altronde, sa bene che le opposizioni cavalcheranno il caso Verdini e una prima dimostrazione viene offerta da M5S, Pd e Avs, che chiedono in coro a Salvini di riferire in Parlamento.
L'ex capo della procura nazionale Antimafia Federico Cafiero De Raho, oggi deputato del M5S, e poi Deborah Serracchiani del Pd prendono la parola, chiedono al governo di chiarire, l'Aula si infiamma. Ma quella delle opposizioni è una crociata che si spegne nel giro di mezz'ora. Un sussulto così breve che nelle file dei dem c'è chi accusa la direzione del partito di eccessiva morbidezza.
Ne approfitta Salvini che fa sapere, poco dopo, di non avere nulla da riferire alle Camere: sono fatti che risalgono agli anni precedenti al governo Meloni. Ma non basta a placare una certa ansia nella maggioranza: «È chiaro che se lo hanno arrestato adesso, la storia è proseguita fino a tempi molto recenti», ammette un leghista che chiede l'anonimato.
[…] Un problema però esiste, perché a microfoni spenti si riconosce che Tommaso Verdini ha provato spesso – con quali risultati si vedrà – a bussare alle porte dei ministeri per svolgere la sua attività di mediatore negli affari. Che la cosa fosse scivolosa dimostra di averlo capito sin da subito lo stesso Salvini che all'inizio del mandato avrebbe dato ai suoi collaboratori l'ordine di non farsi influenzare dalle parentele del ministro.
«Poi se qualcuno è venuto meno a questa regola non possiamo assicurarlo», aggiungono nel Carroccio. Anzi, i leghisti al ministero sottolineano di aver fatto pochissime nomine, tanto da preparare una norma per cambiare i commissari delle opere, «lì da anni, senza alcun incentivo per chiudere i cantieri».
Freni, parlando con La Stampa, sostiene di essere «completamente estraneo a questa inchiesta. Ho visto alcuni degli indagati qualche volta, altri non so neppure chi siano, ma in ogni caso – puntualizza – nessuno mi ha mai formulato richieste non opportune». Cose che Freni ha ribadito anche a Salvini: «Si tratta di una storia vecchia», gli avrebbe spiegato il sottosegretario, «e quasi tutte le persone indagate io non le conosco. Siamo alla presenza di millantatori». Tanto è vero che «nessuna delle millanterie di questi signori, curiosamente, si è mai realizzata».
Chi ha sentito Freni nel pomeriggio sostiene che il sottosegretario all'Economia sia rimasto «sgomento» di fronte alle incongruenze nei racconti degli indagati. Freni conosce però molto bene Denis Verdini e suo figlio, Tommaso. «Sono il suocero e il cognato di Salvini – prova a spiegarsi Freni con i suoi –. Chiunque nella Lega li ha visti e conosciuti. Nessuno di loro, comunque, mi ha mai fatto alcuna richiesta inopportuna». Ma quella cena al ristorante Pastation con i Verdini, padre e figlio, finita nelle carte delle indagini? Ecco, Freni non riesce a ricordare il contenuto della chiacchierata, «ma sono arrivato alle 20,38 e alle 21 ero di nuovo in commissione in Senato»