Giulio Anselmi per "la Repubblica"
Dopo aver riempito di inquietudine i sacri palazzi, diffondendo ovunque un malessere da cui - forse - li libererà il nuovo Papa, Vatileaks oggi ha, soprattutto, un peso elettorale.
Cosa riterrà di fare il futuro pontefice del dossier sui peccati della Chiesa, che tanto hanno pesato e pesano sull'animo debilitato di Benedetto XVI? Affar suo.
Ma la decisione di conservare le carte per il successore, consentendo intanto ai tre cardinali - Herranz, Tomko e De Giorgi - che hanno preparato il rapporto, di parlare con i loro colleghi (senza fare però veder loro i documenti) sembra presa apposta per complicare le cose, aggiungere sospetti ai sospetti, moltiplicare le voci.
RATZINGER PAPA BENEDETTO XVII giochi per l'elezione sono già cominciati. Non si tratta, come talvolta pensano i laici, solo di giochi di potere. I porporati, almeno in gran parte, cercano di operare per quello che appare loro il bene supremo della Chiesa, avendo di mira il fine ultimo della salvezza delle anime. Alcuni condividono l'allarme sulle intromissioni dei media lanciato dalla Segreteria, altri hanno approvato il commento alla Cnn di uno dei maggiori studiosi di cose vaticane, Alberto Melloni, che ha giudicato l'altolà come una convergenza di tre atteggiamenti: «Quello di chi ha perso la calma, quello di chi ha la coda di paglia e quello di chi lavora per il papa sceriffo».
JULIAN HERRANZ DELL OPUS DEITra i prelati stranieri la fondata certezza che i fatti denunciati si svolgono su scenari italiani con protagonisti "romani", ha fatto scattare l'equazione "Vatileaks uguale Curia", con l'ovvio riverbero d'immagine negativo sui candidati di casa, anche se residenti ben lontano dalla Capitale: Come dire "Volete un italiano? Ecco come sono gli italiani".
Ma c'è anche un rapporto più diretto tra i pasticci avvenuti nell'Appartamento pontificio e l'elezione e riguardano il profilo del candidato: che alcuni vorrebbero forte, "sceriffo" appunto; un cardinale Usa ha esemplificato citando Giuliani, il sindaco che ha ripulito New York. In quest'ottica, abbastanza diffusa anche tra i porporati italiani, raccoglie consensi l'arcivescovo di Milano Scola, magari coadiuvato da un altro cardinale, che conduce una sua risolutissima partita per la Segreteria di Stato, Piacenza.
JOZEF TOMKOMa sono ancora «i giorni dei buoni sentimenti», come un prelato della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli definisce, ironico, questa fase preliminare: in cui molti sono papabili per qualche ora e atterrano a Fiumicino cardinali pieni di intenzioni purificatrici che immaginano, addirittura, di smantellare lo Ior.
I papa-maker sono già al lavoro per garantire con la loro autorità questo o quel candidato e favorire avvicinamenti. Si fanno conti numerici e "politici": il segretario Bertone dispone di 15 voti. I movimenti - Opus Dei, Comunione e liberazione, Sant'Egidio sono elementi di divisione; quindi essere considerati loro vicini è uno svantaggio?
Le previsioni rischiano di essere incongrue. Non c'è stata preparazione e i fatti ecclesiastici si prestano spesso a più letture. Quando, otto anni fa, il decano Ratzinger alzò la voce, durante la Via Crucis, per dire che occorreva fare pulizia dentro la Chiesa, molti cardinali commentarono: «Si è giocato l'elezione».
Diventò Papa.