E SE VINCESSE ANCORA BERLUSCONI? - LA DOMANDA IMPRONUNCIABILE CORRE NELLE SEDI DEL PD, E RICOLFI SU “LA STAMPA” LO METTE NERO SU BIANCO - IL BANANA NON PUÒ BATTERE BERSANI ALLA CAMERA, MA AL SENATO È AVANTI IN VENETO, LOMBARDIA E SICILIA, REGIONI DOVE INGROIA FREGA VOTI A VENDOLA E POTREBBE RENDERE IL PDL DETERMINANTE, SOPRATTUTTO SE MONTI & CASINI NON PRENDONO ABBASTANZA VOTI…
1- A SINISTRA CROLLA IL GRANDE TABÙ: IL CAV PUÒ VINCERE
Vittorio Macioce per "il Giornale"
La domanda che gira in questi giorni nei retrobottega della politica è come il Pd riuscirà anche stavolta a fare di tutto per perdere. È la scommessa di queste elezioni.
L'altra è se Berlusconi è capace di nuovo di una rimonta a cui un mese fa forse credeva solo lui. Su Monti invece c'è rassegnazione. Sembra che la partita del premier tecnico sia tutta rivolta al dopo. Adesso gioca per contarsi, poi contratterà con Bersani il suo peso specifico utile a dare un governo più o meno stabile al Paese. Al centro c'è più di qualcuno che ormai dà per scontato il patto tra il professore e la sinistra.
L'apertura di Vendola, sommessamente possibilista, ha avuto come reazione un cambio di registro di Monti sulle questioni del lavoro e del fisco. Monti di fatto mettendo in discussione la riforma della Fornero ha inviato un messaggio al leader del Sel. Tu smussi là, io smusso qua e diamo una scusa ai nostri elettori per la nostra difficile convivenza. Sono segnali di fumo che i due si scambiano dalle loro rispettive colline per dirsi, del tipo: ho capito che hai capito.
Il guaio è che all'orizzonte di questo romanzo epistolare è apparso Ingroia. In tutte le storie d'amore c'è qualcuno che si sente messo da parte e reagisce con sdegno. Quello che è certo che per la prima volta perfino l'Unità rompe un tabù, ossia ammette la possibilità di una impensabile sconfitta o di un pareggio devastante (nel senso che costringe Bersani ad andare in ginocchio da Casini). Ingroia sta mangiando i voti di Vendola, ecco perché i segnali di fumo verso il centro. Ingroia si presenta anche dove sa di non raggiungere il quorum. Ingroia va da solo in Lombardia.
Ingroia rende la battaglia in Sicilia disperata. Ingroia fa sfumare la speranza del Pd di conquistare senza problemi il Senato. Insomma Ingroia inguaia la sinistra e regala un ruolo al Cavaliere. Questo si era già capito leggendo i sondaggi, ora anche gli analisti di partito si chiedono cosa fare per uscire da questo disastro. D'altra parte anche il pm palermitano ha le sue ragioni, e le hanno anche Di Pietro e i reduci di Rifondazione.
Bersani a sinistra ha scelto Vendola, che a molti sta più sulle scatole di quanto si pensi, al centro come paracadute futuro si è rivolto a Monti e Casini. Cosa vuole allora Bersani? Ingroia e i suoi fratelli vanno e si prendono i loro voti. Se questo significa far perdere i vicini di casa, pazienza. La storia della sinistra è fatta di questi sgambetti fratricidi.
Quella che doveva essere una tranquilla passeggiata elettorale sta diventando una farsa dal sapore masochista. Qualcuno nel Pd, scherzando, comincia a fare paragoni con la Roma di Zeman: «Avete presente quelle partite in cui i giallorossi stanno vincendo al '24 del secondo tempo tipo due o tre a zero? Ma una voce dentro di te di dice che comunque non puoi stare tranquillo, perché alla fine qualcuno inciampa, si mette di traverso, butta la palla nella propria porta o la difesa si apre sottovalutando gli avversari, dati sempre per stracotti troppo in fretta. Poi pareggi o perdi e ti consoli dicendo che il calcio di Zeman è eticamente superiore».
Tutti ammettono comunque che il nervosismo in casa Pd e dintorni sta salendo alle stelle. I brutti segnali arrivano anche da un quotidiano come La Stampa, dove un fondo di Luca Ricolfi pone la domanda che più fa paura: «E se vincesse ancora Berlusconi?».
L'altro grande errore riguarda proprio lui. Non c'è nulla da fare, la sinistra si impegna ma alla fine riesce a raccontarsi il Cavaliere solo in due modi: il male assoluto o un personaggio d'avanspettacolo capitato per caso in politica. Non è certo questo il modo migliore per comprendere l'avversario, valutare i pregi e i difetti e individuare le soluzioni migliori per batterlo.
Questo atteggiamento è sentito dagli elettori indecisi e alla fine porta anche quelli delusi dal Cav a «perdonarlo». Una cosa che per esempio un mammasantissima come Eugenio Scalfari continua a sottovalutare, visto che anche dalla Gruber ha raccontato la campagna elettorale del Cavaliere solo come puro cabaret. E invece Berlusconi sposta più di altri il suo discorso sui problemi concreti degli italiani. Poi, uno può fidarsi o meno, ma alla fine Bersani e Monti appaiono come personaggi di un altro pianeta. Rifiutarsi di riconoscerlo non è solo un errore. È un suicidio.
2- E SE VINCESSE ANCORA BERLUSCONI?
Luca Ricolfi per "La Stampa"
Lo so, all'estero sarebbero increduli. E anche fra noi italiani, che ci conosciamo abbastanza bene, serpeggerebbero sorpresa e costernazione. Però, arrivati a questo punto, l'ipotesi non può essere scartata completamente: Berlusconi potrebbe vincere le elezioni. Improbabile, a tutt'oggi. Ma non impossibile. Vediamo perché.
I sondaggi, per cominciare. Non tutti se lo ricordano, ma è esistito un tempo in cui i sondaggisti accorti «correggevano» i sondaggi. Se nelle interviste la Dc raccoglieva il 35% dei consensi, il sondaggista esperto diceva al committente: qui bisogna aggiungere qualche punto, perché molta gente preferisce nascondere che vota Dc; certo, la voterà, al momento buono, ma non ama dirlo, nemmeno a uno sconosciuto intervistatore.
Se nelle interviste i Verdi prendevano il 4%, il sondaggista esperto dimezzava la percentuale, perché sapeva che la dichiarazione di voto ai Verdi era la tipica risposta-rifugio.
Quella risposta-rifugio che non ti fa fare brutta figura (che male c'è a votare verde?) ma intanto ti permette di non dichiarare la tua vera preferenza. Meno diffusa era un altro tipo di correzione, che comincerà a essere presa in considerazione soprattutto nella seconda Repubblica: se tutti credono che le elezioni le vincerà un certo partito, conviene potare un po' i consensi del vincitore annunciato.
Si sarebbe dovuto fare fin dal 1976, quando ci si aspettava il trionfo del Pci (che poi non ci fu), ma sarebbe stato bene farlo soprattutto nel 1994 e nel 2006, quando un po' tutti erano sicuri di una schiacciante vittoria della sinistra, che di nuovo non ci fu. Quest'ultimo, negli studi elettorali, si chiama effetto winner: saltare sul carro del vincitore al momento del sondaggio, per poi scegliere quel che si vuole quando si va a votare davvero.
Che c'entra tutto questo con Berlusconi ?
C'entra, perché anche oggi, verosimilmente, operano le distorsioni di sempre. C'è un vincitore annunciato (il Pd di Bersani), ci sono liste momentaneamente imbarazzanti (tutto ciò che sa di Lega e Berlusconi), ci sono liste rifugio, con cui sei abbastanza tranquillo di non fare brutta figura (lista Monti). Il sondaggista esperto, se vuole indovinare il voto o dare informazioni attendibili al suo committente, dovrebbe aggiungere un po' di voti a Pdl e Lega, toglierne un po' a Bersani e Monti.
Insomma dovrebbe «aggiustare» i sondaggi. Non sappiamo se qualche istituto lo fa effettivamente o se, più correttamente, i numeri che vengono pubblicati ogni giorno sono quelli veri, quelli che risultano ai sondaggisti prima di ogni correzione o ritocco. Se, come dobbiamo augurarci, i dati resi pubblici non sono ritoccati, dovremmo concludere che il distacco effettivo del centro-destra è sensibilmente minore di quello che viene indicato dai sondaggi. Diciamo, giusto per dare un'idea, che dovremmo aggiungere un paio di punti al centro-destra e toglierne altrettanti al Pd e alla lista Monti.
C'è poi un altro fattore che gioca a favore di Berlusconi. Nella seconda Repubblica il cosiddetto incumbent, ossia l'ultimo che ha governato, non ha mai vinto le elezioni. Gli italiani hanno sempre bocciato chi aveva governato, e hanno sempre scommesso su chi stava all'opposizione. Da questo punto di vista far cadere Berlusconi senza andare al voto è stato un grosso assist a Berlusconi stesso: ha concesso agli italiani il tempo di dimenticare la loro delusione per il duo Tremonti-Berlusconi e di convogliare tutta la loro rabbia sul governo Monti.
Un anno fa Berlusconi era il governo uscente e Bersani era l'opposizione che si candidava a prendere la guida del Paese, oggi il governo uscente è quello di Monti, e l'opposizione è Berlusconi, non certo Bersani che con Monti e il suo governo è stato assai leale. Insomma lo svantaggio di essere l'ultimo ad aver governato ricade su Monti, e il vantaggio di essere l'opposizione - dopo lo strappo con Monti - è tutto di Berlusconi.
D'accordo, direte voi, ma sui programmi Berlusconi non è credibile. Qui occorre intendersi. Sui programmi nessuno è credibile, forse nemmeno Monti, la cui famigerata agenda ha già subito fin troppe giravolte (ad esempio su Imu e pressione fiscale). E naturalmente Berlusconi non fa eccezione, racconta di aver rispettato il «Contratto con gli italiani», ma non dice la verità, come sa chiunque abbia studiato seriamente le cifre (che fine hanno fatto le due aliquote Ires al 23 e 33%?). Però un conto è fare promesse credibili, un conto è apparire credibili agli occhi dell'opinione pubblica. Distinzione sottile, ma riflettiamoci su: fra Bersani, Monti e Berlusconi chi fa proposte che più facilmente possono essere credute?
Secondo me è Berlusconi che ha più probabilità di intercettare gli umori della gente. E spiego perché. Da almeno due anni, dunque da prima dell'avvento di Monti, i sondaggi segnalano che il problema delle tasse è diventato assolutamente prioritario, come non lo era mai stato prima. Di fronte a questo problema chi è più credibile? La sinistra, che le tasse e la spesa pubblica le ha nel suo Dna? Il governo Monti, che i mali dell'Italia li ha curati innanzitutto con maggiori tasse? O Berlusconi che promette di eliminare l'Imu sulla prima casa e l'ha già fatto con l'Ici?
E sul lavoro, l'altro grande problema degli italiani, chi è più credibile?
La sinistra, verrebbe da dire. Però guardiamo anche al linguaggio, alle parole che si usano per farsi capire dagli italiani. «Mettere il lavoro al centro», slogan ripetuto fino alla noia dai dirigenti della sinistra, non evoca nulla di preciso, di concreto. Dire che chi vuol assumere un giovane a tempo pieno potrà farlo senza pagare un euro di tasse e contributi («come fosse in nero», ha detto Berlusconi in tv), uno dei cavalli di battaglia del centro-destra, è una proposta che chiunque capisce, e chi ha un'attività apprezza.
Naturalmente ognuno può pensare che nulla di quel che dice Berlusconi sarà realizzato, o all'opposto che tutto sarà realizzato e proprio questo ci porterà al disastro. Ma resta il fatto che quel che vuol fare Berlusconi si capisce subito, mentre quel che vogliono Bersani e Monti si capisce meno, o appare lontano, astratto, difficilmente traducibile in misure concrete. Per dirla con Adriano Celentano, Berlusconi è rock, Monti è lento, come si vede bene in tv. Non sono categorie politiche, ma nella comunicazione sono cose che contano.
E la politica è anche questo, comunicazione, energia, saper arrivare agli elettori. Tutte cose che in un mondo ben ordinato dovrebbero contare poco ma che, quando nessuno è veramente credibile, finiscono per contare molto.
Insomma, se fossi Bersani dormirei ancora sonni tranquilli. Non tranquillissimi, però.