LA SEDIA VUOTA DI PALERMO GRIDA VENDETTA - IL CANDIDATO SINDACO DEL CENTRODESTRA ROBERTO LAGALLA DISERTA LE CELEBRAZIONI PER I 30 ANNI DALLA STRAGE DI CAPACI CONTRO "LE FEROCI PAROLE" DI PIF E MARIA FALCONE – I DUE SI ERANO CHIESTI: È POSSIBILE CHE, A 30 ANNI DA CAPACI E VIA D'AMELIO, UN CANDIDATO SINDACO (ROBERTO LAGALLA) DEBBA ESSERE LA RISULTANTE POLITICA DI UN "LODO" CHE HA VISTO COME SUOI ARCHITETTI CUFFARO E DELL'UTRI, ENTRAMBI CONDANNATI IN VIA DEFINITIVA E REDUCI DALL'AVER SCONTATO PENE DETENTIVE PER REATI DI MAFIA?
-Carlo Bonini per “la Repubblica”
Nel giorno in cui il Capo dello Stato, i ministri del governo Draghi, i vertici dei nostri apparati di sicurezza si sono inchinati a Palermo nel ricordo della strage di Capaci, Roberto Lagalla, candidato sindaco del centrodestra, ha deciso di disertare il palco del Foro Italico (spazio urbano sottratto alle mafie dalla resilienza civile e politica della parte migliore della città) per ragioni di "opportunità".
"Per evitare - testuale - che qualche facinoroso, sensibile al fascino di certe feroci parole, potesse macchiare uno dei momenti simbolici più importanti della città con potenziali violenze". Le "feroci parole" - ha aggiunto Roberto Lagalla - sarebbero quelle pronunciate da Pif, nel pomeriggio di domenica, durante l'iniziativa di Repubblica dedicata alla memoria delle stragi. I "facinorosi" sarebbero quanti, domenica, a quelle parole hanno applaudito e - si fa intendere - il giorno successivo (ieri) sarebbero potuti passare a vie di fatto "violente".
Lagalla ha ragione. Le parole hanno grande importanza. Per chi le pronuncia o evita di pronunciarle, per chi le ascolta e per chi decide di manipolarle trasformandole in un atto politico ad alto valore simbolico. E non solo. Domenica, dal palco di Repubblica, Maria Falcone, prima, e Pif, poi, avevano posto, con modi e lessico evidentemente diversi, un identico interrogativo.
Che, all'osso, suona così: è possibile che, a trent' anni da Capaci e via D'Amelio, un candidato sindaco - nel caso di specie Roberto Lagalla - debba essere la risultante politica di un "lodo" che ha visto come suoi architetti e azionisti politici Totò Cuffaro e Marcello Dell'Utri, entrambi condannati in via definitiva e reduci dall'aver scontato pene detentive per reati di mafia? È irragionevole pretendere da un centrodestra moderno, costituzionale, che si sottragga all'abbraccio di antiche consorterie e di una cultura politica che sono state l'acqua in cui hanno nuotato e sono cresciuti i peggiori pescecani della storia palermitana?
È eccentrico o minaccioso chiedere che a trent' anni da Capaci e via D'Amelio la città non venga riconsegnata al comune sentire di una classe dirigente isolana che, per quarant' anni, in sostanziale continuità, ha eletto Cosa Nostra a interlocutrice legittima, ad attore sociale ed economico dell'amministrazione cittadina?
Detta altrimenti, la domanda politica posta da Repubblica a Lagalla è stata ed è: con quali pezzi di cittadinanza, di impresa, di classe dirigente, ha deciso di parlare il centrodestra a Palermo?
È una domanda semplice, in fondo, e a suo modo cruciale. Cui Lagalla, ieri, ha deciso appunto di rispondere con un atto politico. Lasciando vuota la sedia di un palco e di una platea dove lo Stato, nella sua massima espressione istituzionale, celebrava la memoria di Falcone e Borsellino al cospetto di uno spicchio di città - il quartiere della Kalsa - ad alta concentrazione mafiosa.
Lagalla, medico ed ex rettore dell'Università di Palermo, nonché ex assessore regionale delle giunte Cuffaro e Musumeci, è infatti uomo troppo intelligente e colto per non comprendere come la sua assenza, e la giustificazione che ne ha fornito, siano la plastica rappresentazione di una postura politicamente opaca che, a queste latitudini, e non solo, ha un significato preciso.
E, dunque, la sua scelta ha una sola spiegazione possibile. Che il centrodestra che il 12 giugno andrà alle urne per eleggere il nuovo sindaco di Palermo non abbia la forza per emanciparsi. Che alla presenza, anche fisica, nel saldo perimetro rappresentato dallo Stato raccolto a Palermo in un ricordo che ha l'ambizione di diventare memoria condivisa e non partigiana, preferisca la scorciatoia esiziale di dichiararsi "vittima" di un processo alle intenzioni intentato dagli epigoni della "via giudiziaria all'antimafia" contro i "pacificatori" della guerra alla mafia.
Come se quella guerra fosse stata vinta. Come se a Palermo la battaglia quotidiana per i diritti non richieda la radicalità necessaria per distinguere il bianco dal nero e il nero dal grigio. La verità è che gli argomenti di Lagalla, la sua sedia vuota, hanno il sentore e la simbologia stantii di una paccottiglia che riporta indietro le lancette della discussione e del confronto su mafia e politica ad un altro secolo. Certificano il pessimo stato di salute politica del centrodestra e quanta strada ancora vada fatta per costruire una memoria che aiuti Palermo e il Paese intero a guardare avanti nella comune consapevolezza di ciò che è stato e non deve più tornare ad essere.