SIAMO UOMINI O CAPORALI? – BONINI: “PER QUALE MOTIVO SE IL NOSTRO PAESE NON AVEVA INFORMAZIONI UTILI DA OFFRIRE SU MIFSUD, VECCHIONE AVREBBE FATTO TORNARE A ROMA BARR E DURHAM 42 GIORNI DOPO IL PRIMO INCONTRO?” – LA DOMANDA E’ ANCHE UN’ALTRA: COME POTEVA VECCHIONE DARE INFORMAZIONI SU MIFSUD QUANDO MOLTI DEI DOCENTI DELLA LINK FANNO PARTE DEI NOSTRI SERVIZI? (VECCHIONE ALLA LINK TENNE UNA LECTIO MAGISTRALIS SULLA ''SICUREZZA NAZIONALE'' LO SCORSO MARZO...)
-
Carlo Bonini per “la Repubblica”
Tre ore di audizione segreta di fronte al Copasir, il Comitato Parlamentare di controllo sull' Intelligence, di Gennaro Vecchione, direttore del Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza, non aiutano Palazzo Chigi a liberarsi del fantasma del Russiagate. Perché, per quanto è possibile ricostruire, non chiariscono definitivamente né la natura esatta, né la rilevanza delle informazioni che il 15 agosto e il 27 settembre la nostra Intelligence ha offerto all' Attorney General americano William Barr e al Procuratore John Durham.
Né quelle che dagli americani avrebbe ricevuto in cambio.
Vecchione, come era prevedibile, si muove infatti pedissequamente nel solco della testimonianza resa una settimana fa, sempre al Copasir, dal premier, attestandosi sull' ultima delle ricostruzioni proposte da Conte. La più innocua, politicamente parlando. Ma significativamente diversa da quella, probabilmente più sincera, ufficiosamente lasciata filtrare nei primi giorni della tempesta dalla stessa Presidenza del Consiglio.
Non dunque uno «scambio di informazioni» utile sia alla Casa Bianca (accreditare la contro narrazione del Russiagate che vorrebbe Trump vittima, nel 2016, di un complotto architettato dai governi di Londra e Roma e accreditato dal Fbi della presidenza Obama) che a Roma («verificare eventuali complicità dei Servizi italiani e del governo Renzi nella costruzione del complotto »). Al contrario, un "atto di cortesia" verso l' alleato americano per «definire un perimetro preliminare di indagine relativo al lavoro svolto nel 2016 da agenti del Fbi a Roma».
Per giunta, senza esiti apprezzabili. Dal momento che - questo ha sostenuto Conte e questo ha ripetuto ieri Vecchione - l' Intelligence del nostro Paese - Aise e Aisi - di informazioni utili non ne avrebbe avute. E dunque non avrebbe potuto consegnarne.
Gennaro Vecchione rivoga insomma e di nuovo la storiella della scampagnata estiva in cui, per ragioni incomprensibili, il ministro della Giustizia statunitense si sarebbe imbarcato. Nonostante faccia a pugni con la logica. Per quale motivo, infatti, se il nostro Paese non aveva informazioni utili da offrire sul conto del Russiagate, sul suo uomo chiave, il professore maltese che professore non è, lo "zatat" Joseph Mifsud, Vecchione avrebbe fatto tornare a Roma Barr e Durham 42 giorni dopo il primo incontro? Ci volevano forse 42 giorni per dare un' occhiata ad archivi che si sapevano vuoti? O invece quei 42 giorni sono stati necessari perché la nostra Intelligence, fuori da ogni prassi e da ogni cornice legislativa, è stata messa a disposizione di un' indagine della Casa Bianca?
Soprattutto, è una storiella che fa oggettivamente a pugni con quanto è tornato a dire "in chiaro" lo stesso ministro americano Barr proprio ieri in un' intervista a Fox news, la cable tv cinghia di trasmissione della Casa Bianca di Trump. «Il Procuratore John Durham che sta conducendo la contro-inchiesta sul Russiagate - ha detto Barr - è convinto che in Italia ci siano informazioni utili alla sua indagine». Di più. Facendo riferimento ai suoi colloqui con i governi australiano e italiano, Barr ha aggiunto: «Alcuni dei Paesi che Durham riteneva potessero avere informazioni utili all' indagine, volevano discutere preliminarmente con me della portata dell' indagine, della sua natura e di come io intendessi gestire informazioni confidenziali. Quindi, ho presentato Durham a questi Paesi e stabilito un canale attraverso cui può ottenere assistenza. In ogni caso, è Durham a capo dell' indagine, non io».
Altro che innocuo viaggio di cortesia, insomma. Barr e Durham hanno stabilito «un canale di assistenza» e si sono convinti nelle due passeggiate romane che l' Italia sia lo snodo in grado di portare l' indagine penale dritto dritto al cuore dell' amministrazione Obama e di quello che ne fu uno degli uomini, l' ex direttore del Fbi James Comey (una delle prime vittime di Trump all' indomani del suo insediamento). Basterebbe questo a spiegare in che pasticcio si siano infilati Conte, Vecchione e, obtorto collo, i direttori delle due agenzie della nostra Intelligence, Aise e Aisi.
E, a questo punto, delle due l' una. O l' amministrazione Trump sta bluffando, attribuendo agli incontri di Roma e alle informazioni che avrebbe ricevuto un' importanza che non hanno, pur di provare a inceppare la macchina dell' impeachment avviata dai democratici. O, al contrario, Washington non bluffa e, per superficialità, insipienza, piccolo calcolo di bottega, Palazzo Chigi si è infilato in un gioco infernale dove si sarebbe prestato a fornire prove di accusa contro i vertici di uno degli apparati della sicurezza statunitense, l' Fbi, e dunque una formidabile arma di scontro politico-istituzionale a un Trump che lotta per la sua sopravvivenza.
Non stupisce, dunque, che il Copasir, ora guidato dall' opposizione leghista, ascolti e confidi, nella sua componente di centro-destra, che le audizioni di Conte e Vecchione oggi e dei direttori di Aise e Aisi domani potrebbero diventare a loro volta un' arma politica micidiale a fini interni qualora, in un tempo non lontano, l' indagine di Barr e Durham avesse una sua prima discovery e dovesse mettere in discussione la versione di Roma. Ecco perché il Russiagate è un fantasma che non passa.