IL SILENZIO DEL RE – FELIPE TACE SUL REFERENDUM CATALANO: UNA CRISI CHE RISCHIA DI SPACCARE LA SPAGNA PIU’ DI QUANTO FECE TEJERO – E COME ALLORA SI ASPETTA UN INTERVENTO DEL SOVRANO: ALL’EPOCA JUAN CARLOS SALVO’ LA DEMOCRAZIA. IL FIGLIO? A MADRID CI SPERANO: IN FIN DEI CONTI HA SEMPRE IL TITOLO DI PRINCIPE DI BARCELLONA. TERRORE FRA LA NOBILTA’ DELLA CITTA’

-


 

1. UNA SFIDA DIRETTA ALLA CORONA

Francesco Olivo per la Stampa

 

Felipe a Barcellona per attentato

Che sia in corso un colpo di Stato o un processo democratico è questione dibattuta, ma è chiaro che domenica scorsa è andata in scena una sfida all' unità della Spagna e quindi alla sua corona. Chi cerca un precedente, magari drammatizzando un po', lo trova: il tentato golpe del colonnello Tejero, che nel febbraio dell' 81 entrò in Parlamento a colpi di pistola. In quel caso, decisivo per salvare la fragile e giovane democrazia spagnola fu il re Juan Carlos.

 

Tejero in Parlamento

Oggi, davanti a uno scenario diverso, ma secondo alcuni persino più pericoloso, c' è il figlio Felipe. La rivolta delle istituzioni catalane è il suo vero primo banco di prova. Dopo il referendum non è intervenuto, la costituzione impone neutralità in politica, ma qui c' è in gioco l' unità nazionale, il cui garante è proprio il sovrano. Fino a oggi si è limitato a discorsi di circostanza, dove però cercava di inserire qualche riferimento «al valore dell' unità di Spagna».

 

Felipe parla catalano e ha molti amici a Barcellona, la sorella Cristina (con la quale non ci sono più rapporti) viveva qui, con il presidente della Generalitat Puigdemont la relazione è cordiale, nei giorni degli attentati il capo degli indipendentisti ha incontrato il re varie volte, anche se mai lontano dalle telecamere.

intervento tv di Juan Carlos contro Tejero

 

Mariano Rajoy, ben più odiato in Catalogna dell' erede Borbone, tiene informato il palazzo reale di tutto. Cosa possa fare di concreto non è chiaro, ma visto l' immobilismo del governo e il radicalismo dei catalani, in tanti guardano al re come ultima ancora di salvataggio. Un mediatore intanto spunta dai Paesi Baschi, oggi pacificati. Il lendakari (governatore) Iñigo Urkullu è una figura da osservare con attenzione in queste giornate nevrotiche.

 

Il suo partito, i nazionalisti baschi, è sensibile ai movimenti catalani. E la prima ritorsione è arrivata: per protesta contro le azioni della polizia, la rappresentanza basca al parlamento di Madrid ha negato a Rajoy l' appoggio per poter approvare la finanziaria. Avendo potere contrattuale, Urkullu potrebbe essere l' uomo giusto per sbloccare la crisi: «Se mi chiamano, anche oggi sono pronto a una riunione dove vogliono». Il telefono non suona però.

 

 

2. IL SILENZIO DI FELIPE. SARÀ LUI ALLA FINE IL JOLLY DI MADRID?

Sara Gandolfi per il Corriere della Sera

 

L' ultima volta che è comparso a Barcellona, il 26 agosto, è stato sommerso dai fischi e grida di «Fora, fora!» (fuori, fuori). E non era la prima volta. Imperterrito, ha incassato senza batter ciglio, dall' alto del suo metro e 97, continuando a stringere mani qua e là, orfano anche della moglie Letizia.

 

3 juan carlos abdica e incorona re il figlio felipe

Se lo aspettava Felipe, ma il re di Spagna non poteva mancare alla marcia contro il terrorismo, dopo la strage sulla Rambla. La sua presenza significava che la Catalogna, volente o no, aveva ancora un sovrano come capo di Stato. Seppure con poteri assai limitati e fragili. È il momento più difficile del breve regno di Felipe VI, poco più di tre anni dopo il passaggio dei poteri dal padre Juan Carlos I. Fischiato in una Catalogna che in maggioranza si dichiara repubblicana, messo in discussione in tanta parte di Spagna, il capo della Casa dei Borbone per ora tace.

 

Molti si aspettano che da un momento all' altro il suo volto barbuto compaia in tv per parlare alla nazione. Come fece suo padre nel 1981, togliendo ogni speranza ai golpisti che volevano rovesciare la giovane democrazia e guadagnandosi parecchi consensi, in un Paese che non era poi così entusiasta di un sovrano imposto dal dittatore Franco. Per quanto ribelle, però, il catalano Carles Puigdemont non è il colonnello Tejero, il governo spagnolo non è prigioniero di una banda militare e non ci sono carri armati da rispedire nelle caserme.

 

Cristina di Spagna con padre e marito

Felipe sa che deve muoversi con cautela, che la famiglia reale deve ancora farsi perdonare alcune amicizie discutibili di Juan Carlos e soprattutto i maneggi della sorella Cristina e del cognato Iñaki Urdangarin, che ha miracolosamente evitato il carcere. A conferma dell' eccezionalità del momento, consigliato dal potente Jefe de la Casa Real, Jaime Alfonsin, il sovrano ha cancellato qualsiasi impegno ufficiale per questa settimana. Sostengono i bene informati che sta lavorando dietro le quinte, nel palazzo della Zarzuela, il telefono incandescente dalle molte chiamate fatte ai vari protagonisti della «disfida» fra Barcellona e Madrid.

 

Puigdemont Rajoy

Secondo il presidente dell' Estremadura, sarebbe lui il jolly da giocare per uscire dall' impasse e mediare fra le parti: «Nessuno dubiti, il re farà quello che deve», ha assicurato Guillermo Fernández Vara. L' articolo 56 della Costituzione spagnola d' altra parte gli assegna un ruolo limitato ma chiaro: «Il re è il capo di Stato, simbolo della sua unità e continuità, arbitra e modera il funzionamento regolare delle istituzioni». Ma finora non si è spinto oltre il richiamo dello scorso 14 settembre: con un riferimento esplicito alla «situazione in Catalogna», ha avvertito che «la Costituzione prevarrà su qualsiasi frattura della convivenza democratica».

 

RAJOI FELIPE

L' aristocrazia catalana, intanto, è scesa sul piede di guerra, perché nella regione non rischia di saltare solo la monarchia. Felipe non potrebbe più dirsi conte di Barcellona - l' unico titolo che restò alla famiglia reale durante l' esilio, tanto che Juan Carlos veniva chiamato «el chico de Barcelona» - e la principessina ereditaria, Leonor, perderebbe ben quattro titoli «catalani». E giù a catena fino all' ultima delle signorie.

 

Così molti catalani di sangue blu sono usciti allo scoperto, a differenza del loro sovrano, facendo apertamente campagna contro il referendum, come il conte di Montseny e quello di Egara, il barone di Quadras e il marchese di Vilanova i la Geltrú. «I nostri titoli perderebbero tutta la loro essenza e sarebbero sotto una pseudo-legittimità rivoluzionaria che non ci riconoscerebbe - si sono lamentati sul quotidiano El Confidencial -. La Generalitat li renderebbe carta straccia» .