1. I SONDAGGI SULLE REGIONALI FANNO TREMARE IL PD, A OGGI QUATTRO REGIONI SICURE AL CENTRODESTRA E TRE IN BILICO - IL 21 SETTEMBRE ZINGA LO RITROVIAMO SOLO NEI CAMPI ROM...
2. E NEL PD STA MONTANDO UNA CRESCENTE COLLERA CHE METTE IN DISCUSSIONE LA SCADENZA DEL 2022 DELL'ELEZIONE DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA COME DATA LIMITE PER NON ROMPERE L'ALLEANZA CON I 5STELLE - SE SI SONO RIVELATI IMPOSSIBILI GLI ACCORDI PER LE REGIONALI, UN PATTO PER ELEGGERE IL SUCCESSORE DI MATTARELLA CON I 5STELLE NON E’ AFFATTO GARANTITO - C'E' ANCHE IL RISCHIO CHE RENZI FACCIA SALTARE CONTE AD AGOSTO
FLASH - I SONDAGGI SULLE REGIONALI FANNO TREMARE IL PARTITO DEMOCRATICO, A OGGI QUATTRO REGIONI SICURE AL CENTRODESTRA E TRE IN BILICO... - DOPO IL VOTO, GLI UNICI ZINGARETTI CHE RITROVEREMO ANCORA IN GIRO SARANNO QUELLI NEI CAMPO ROM...
Marcello Sorgi per “la Stampa”
Per qualche verso, bisogna riconoscerlo, Giuseppe Conte comincia a ricordare i vecchi democristiani di una volta, ne sta diventando una specie di parodia involontaria. Quei presidenti del consiglio, tipo Rumor, incaricati di farsi un ultimo giro a Palazzo Chigi, avendo come unico compito di temporeggiare, senza decidere nulla, o fare spostamenti minimi, di centimetri, dall'estrema sinistra della destra all'estrema destra della sinistra del partito, restando in pratica assolutamente immobili.
A chi ha buona memoria, il paragone è venuto in mente, ascoltando le dichiarazioni accomodanti del premier in risposta al leader olandese Rutte, che aveva invitato l'Italia «a farcela da sola», e dopo l'incontro con il segretario Zingaretti, seguito da un'inattesa presa di posizione di Conte a favore delle intese Pd-5stelle per le regionali e dalla prevedibile promessa di un'accelerazione per il decreto semplificazioni, bloccato da giorni per le divisioni interne alla maggioranza.
Che il leader del Pd, da tempo inquieto per l'andamento del governo, possa ritenersi soddisfatto, non sembra, a giudicare dalle esortazioni che ha ribadito, sottolineando l'eccezionalità della situazione post-emergenza.
Una situazione che richiederebbe scelte rapide e non continui rinvii. Ce n'è abbastanza per dire che, al di là della buona volontà e della probabile approvazione entro la prossima settimana di un depotenziato decreto semplificazioni, la situazione è rimasta quella di prima, e non poteva essere altrimenti, in costanza della campagna elettorale e dello stato di confusione che regna tra i grillini.
Con una differenza che non tarderà a emergere, se la situazione dovesse mantenersi così. Nel Pd sta montando una crescente insoddisfazione che potrebbe arrivare a mettere in discussione la scadenza del 2022 dell'elezione del Presidente della Repubblica come data limite per non rompere l'alleanza con il Movimento.
Questo perché, giorno dopo giorno, sta maturando tra i Democrat la convinzione che se si sono rivelati impossibili gli accordi per le regionali, aprendo la prospettiva di un capovolgimento in almeno due (Marche e Puglia) delle sei amministrazioni in gioco, un accordo per eleggere il successore di Mattarella con i 5 stelle non sia affatto garantito.
Tutt' altro. Sebbene Grillo si ostini a ribadire la non provvisorietà dell'intesa giallo-rossa, esiste il rischio che in un colpo, approfittando dell'imprevedibilità delle votazioni per il Quirinale, Di Maio, Crimi e soci se ne escano con un controribaltone, pur di eleggere un Capo dello Stato che in nessun modo risulti riconducibile al vecchio regime.
Inoltre Conte e M5S continuano a nicchiare sulla legge elettorale proporzionale, che il Pd vorrebbe a tutti i costi approvare almeno in uno dei due rami del Parlamento prima della pausa estiva, perché è l'unica in grado di evitare la vittoria di Salvini e Meloni in caso di voto anticipato, che a questo punto torna ad essere un'eventualità da non escludere.
Il ritorno al proporzionale, però, al momento, conviene ai 5 stelle e forse al Pd. Ma certamente non a Renzi, il cui partito è molto in basso nei sondaggi e che solo dal mantenimento dell'attuale sistema, parzialmente maggioritario, potrebbe ricavare, grazie a un sacrificio che Zingaretti non ha alcuna voglia di fare, una rappresentanza parlamentare minima per continuare a restare in gioco.
Al punto che non sarebbe sorprendente, se Conte e I 5 stelle si decidessero ad accontentare il Pd proprio su questo terreno, che Renzi faccia saltare il banco. Regalandoci di nuovo una crisi ad agosto.