SONO CAVOLETTI PER BRUXELLES! – IL RISULTATO CLAMOROSO DEI PARA-NAZISTI DI JIMMIE AKESSON IN SVEZIA (SECONDO PARTITO E FORZA TRAINANTE DELLA FUTURA MAGGIORANZA DI CENTRODESTRA) È UN COLPO TREMENDO PER L’UE. E PER WASHINGTON: IL SEGRETARIO DI STATO USA, BLINKEN, HA PROVATO IN TUTTI I MODI A CONVINCERE LA PREMIER USCENTE, ANDERSSON, A NON DIMETTERSI – ORBAN IN UNGHERIA, MARINE LE PEN IN FRANCIA, JIMMIE “IL NERO” A STOCCOLMA: L’ASSE DEI FIGLI DI PUTIN SI STA ALLARGANDO SEMPRE DI PIÙ. CHE SUCCEDERÀ SE E QUANDO GIORGIA MELONI TRASLOCHERÀ A PALAZZO CHIGI? INTANTO LA “DUCETTA” HA FALLITO IL PRIMO TEST SULL’UNGHERIA…
-DAGONOTA
“A Bruxelles temono il contagio”, titola oggi “Repubblica”. Ma quale contagio? E perché nei palazzi delle istituzioni europee hanno così tanta paura? La “vittoria” del centrodestra è stata uno choc per tutti: non tanto per il futuro premier, che sarà il moderato Ulf Kristersson, ma per la presenza in maggioranza di Jimmie, “il nero” Akesson, leader del partito para-nazista dei “Democratici svedesi” e in buoni rapporti con Putin (come Dago-rivelato, è il primo nome nella famosa lista dei partiti finanziati dai russi).
Per Washington è stato un colpo tremendo: il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha insistito a lungo con l’attuale premier, la socialdemocratica Magdalena Andersson, chiedendole di non dimettersi. Ma non è servito: nei paesi scandinavi le manovre di palazzo non sono contemplate. Se si perdono le elezioni si va a casa, e amen, nonostante quello del primo ministro sia risultato comunque il primo partito, con il 30% delle preferenze. L’appoggio di Akesson al centrodestra è risultato fondamentale: grazie al suo storico risultato (il 20%), il centrodestra è riuscito a spuntarla facilmente.
Blinken ha avuto colloqui intensi anche con il futuro premier, Kristersson: ha cercato di spiegargli che non è il caso di far entrare in maggioranza un neo-nazista. Ma quello, niente: ha bisogno di quei voti per far sloggiare, per la prima volta in un secolo, la sinistra.
Dunque, dicevamo, il contagio. Il ragionamento che fanno a Bruxelles è semplice: in Ungheria c’è Orban, in Francia c’è Marine Le Pen, che non è mai riuscita a vincere, ma è ormai una forza riconosciuta e stabilmente rompe le piume al galletto Macron. In tutto il continente tira un’aria sovranista. È un dato di fatto, non tanto per l’allarme svastichelle, ma per una questione geopolitica. Tutti questi leader sono uniti da un rapporto amichevole (eufemismo) con Putin, e il blocco continentale contro “Mad Vlad”, già incrinato dal “Viktator” ungherese, potrebbe definitivamente spaccarsi.
E poi c’è l’Italia: se la Meloni dovesse diventare davvero presidente del Consiglio, per la prima volta l’estrema destra guiderà uno dei Paesi fondatori dell’Ue. Sarebbe un precedente impossibile da ignorare. Come scrive Claudio Tito oggi su “Repubblica”: “Come si potrebbe sostenere la prossima volta che il Front National non può governare? E in una certa misura lo stesso discorso potrebbe riguardare la Germania dove gli estremisti dell'Afd appaiono costantemente in crescita”.
La “Ducetta” ha provato a trasformarsi in “Draghetta”, ma ha fallito il test più importante: ieri il Parlamento europeo ha votato una risoluzione contro l’Ungheria, sostenendo che non possa essere più considerata una democrazia. Meloni, insieme a Salvini, ha votato contro. La procedura del cosiddetto “Meccanismo di condizionalità” adesso prevede che il Consiglio risponda entro un mese, ossia entro il 18 ottobre. Ma è quasi sicuro che sarà rinviata di tre mesi. A quel punto, a Roma ci sarà un nuovo governo, che sarà sottoposto alla prova dei fatti. Che farà Giorgia a quel punto? Si opporrà ancora, dando una mano all’amico Orban, cioè al principale cavallo di Troia di Putin nell’Unione europea? Il contagio a quel punto sarebbe davvero partito.
2 - BRUXELLES TEME IL CONTAGIO "COSÌ RISCHIO ULTRADESTRA IN TUTTO IL CONTINENTE"
Claudio Tito per “la Repubblica”
La paura che l'Italia diventi un "precedente". Il terrore che una volta sdoganato un governo guidato da un leader dell'estrema destra, possa scattare un devastante effetto domino.
Il voto di ieri a Strasburgo sull'Ungheria ha riaperto il "caso Italia" e gettato una nuova ombra sulla campagna elettorale del nostro Paese.
Lega e Fratelli d'Italia hanno infatti votato in difesa dell'Ungheria di Orbán. Una scelta in dissenso anche rispetto ai popolari del Ppe. E che sta rialimentando i sospetti su un partito che, al di là del dibattito italiano, nei palazzi dell'Europa viene semplicemente definito "post fascista".
Ma non si tratta solo di una attenzione su uno stato membro importante come l'Italia. «Se la Meloni diventa presidente del consiglio, per la prima volta l'estrema destra guiderà il governo in uno dei Paesi fondatori dell'Ue. È questo che fa davvero paura qui, nel Parlamento europeo. È quel che mi dicono quasi tutti i miei colleghi ».
Sandro Gozi, eurodeputato italiano dei liberali di Renew ed ex sottosegretario con delega ai Rapporti con l'Ue, davanti alla porta che apre l'accesso all'aula descrive così il clima che si respira nell'assemblea dell'Europarlamento. Il ragionamento è molto semplice: se in Italia, grande paese fondatore dell'Ue, nasce un esecutivo di destra e l'Unione lo legittima, allora nessuno potrà più invocare il "cordone sanitario" nelle altre nazioni.
In Svezia che ha appena chiuso le urne, in Spagna che presto tornerà al voto. Ma soprattutto in Francia dove c'è già un modello-specchio di Giorgia Meloni: Marine Le Pen. Come si potrebbe sostenere la prossima volta che il Front National non può governare? E in una certa misura lo stesso discorso potrebbe riguardare la Germania dove gli estremisti dell'Afd appaiono costantemente in crescita.
Non è un caso che stavolta il Ppe che da almeno un anno ha sperimentato un patto di fatto con i conservatori dell'Ecr (gruppo egemonizzato proprio dalla rappresentanza di Fdi) non ha per niente coperto la mossa dell'alleato occulto. Anzi, ieri il vertice dei popolari ha iniziato a spiegare informalmente che non esiste un accordo con i Conservatori. Ma che il Ppe ha solo sfruttato i loro voti ogni qualvolta aveva bisogno di fermare le pretese di Socialisti, Verdi e Liberali.
Il punto è che i popolari europei, guidati dai tedeschi, non si possono permettere di sbilanciarsi fino a questo punto. La dimostrazione è quel che accadrà domenica prossima. La Commissione europea approverà la proposta per sospendere una quota dei fondi europei destinati all'Ungheria.
Lo farà sulla base del Meccanismo condizionale sullo Stato di diritto. Probabilmente - come aveva proposto nei giorni scorsi il commissario austriaco al Bilancio, Johannes Hahn - chiederò di bloccare il 20 per cento di tutti fondi. Non una misura irrilevante. Che verrà adottata sull'onda della sentenza della Corte Ue che ha promosso il Meccanismo e sull'onda del voto di ieri dell'Eurocamera.
È vero, però, che rispetto all'eventuale governo di destra in Italia l'atteggiamento decisamente ostile del Parlamento europeo è accompagnato da una prudenza impaurita della Commissione e del Consiglio che vogliono sottoporre il futuro governo di Roma alla prova dei fatti.
E il caso Ungheria può diventare il primo vero test su cui misurare l'europeismo e la lealtà europeista di Giorgia Meloni. Perché? Perché la procedura del Meccanismo sulla condizionalità prevede che il Consiglio dia una risposta alla Commissione entro un mese, ossia entro il 18 ottobre. Ma può suggerire un rinvio di tre mesi. E con ogni probabilità è proprio quel che accadrà.
A quel punto, prevedibilmente, non sarà più in carica il governo Draghi ma quello nuovo. E se il premier sarà Meloni, allora toccherà a lei mostrare di essere in linea o meno. Considerando, per altro, che il Consiglio dovrà decidere a maggioranza qualificata. E dando per scontato che la Polonia (che rischia la medesima procedura per i medesimi motivi) difenderà Budapest, l'Italia potrebbe risultare decisiva. A quel punto sarà evidente chi sta di qua e chi sta di là.
3 - SVEZIA A DESTRA: TOCCA A KRISTERSSON
Daniela Lombardi per “La Verità”
La Svezia inizia a fare i conti col «terremoto» che l'ha scossa. All'indomani della vittoria dei Democratici svedesi guidati da Jimmy Akesson da 17 anni, la sinistra ammette che ormai si è aperto un nuovo scenario politico, mentre i moderati di destra non nascondono un lieve imbarazzo nel condividere la vittoria con un partito nato nel 1988 dal gruppo neonazista Bevara Sverige Svenskt.
Akesson ha cercato da tempo di smarcarsi dal passato, epurando i membri da lui ritenuti particolarmente estremisti, ma l'opposizione ha sempre sottolineato di non fidarsi di operazioni ritenute «di facciata». Quali che siano le posizioni degli altri competitor alle elezioni svedesi, l'unica realtà innegabile è che il voto popolare ha consegnato la Svezia alla destra per la prima volta da quasi un secolo.
Akesson è riuscito nell'intento di trasformare il suo partito da «reietto» del panorama politico svedese a forza indispensabile per dare governabilità al Paese. La campagna della destra nazionalista di Sverigesdemokraterna - appunto i Democratici svedesi - si è basata soprattutto sui temi anti immigrazione, cavallo di battaglia da anni di Akesson.
La delusione dei cittadini per i partiti tradizionali e la crescente insofferenza per una gestione dell'immigrazione che non ha particolarmente funzionato, sono state il vento che ha gonfiato le vele dell'ultradestra che - con il 20,6% delle preferenze - si è imposta come secondo partito al Riksdag e ha trascinato verso la vittoria l'intera coalizione.
Di fronte a questo scenario mai visto nel Paese scandinavo, la premier uscente,
Magdalena Andersson, leader dei socialdemocratici, ha annunciato le sue dimissioni ancor prima che finissero gli spogli elettorali, il cui risultato era già evidente. Quanto al vincitore rivelazione di queste elezioni, ha mantenuto posizioni sempre coerenti su un unico tema: non ha mai smesso di dichiarare che gli immigrati sono «il più grande pericolo per la coesione sociale del Paese scandinavo» e che la pressione migratoria può «mettere a repentaglio il welfare svedese ritenuto il migliore al mondo».
Su altri temi si è invece contraddetto, passando dall'antieuropeismo che fino al 2019 pretendeva l'uscita della Svezia dalla Ue, a eleggere due rappresentanti all'Europarlamento che fanno parte del gruppo dei conservatori europei. I Democratici svedesi, inoltre, sono passati da posizioni filorusse e anti Nato a un appoggio senza riserve all'Ucraina e all'adesione all'Alleanza atlantica.
La vittoria della destra dovrebbe consegnare al moderato Ulf Kristersson (terzo al 19%) il seggio più alto del Rosenbad, la sede del governo, a circa un secolo (era il 1930) dall'ultima volta che si è visto in Svezia un esecutivo di destra.
La coalizione vincitrice è al lavoro proprio per formare il nuovo governo, assorbendo i malumori dei moderati, mentre Akesson ha già rilasciato le prime dichiarazioni che indicano quale strada intende intraprendere. «È tempo di iniziare a ricostruire sicurezza, benessere e coesione. È tempo di mettere la Svezia al primo posto».