TE LO DO IO IL PATRIARCATO – NATALIA ASPESI: “NEL CASO DELL’OMICIDIO DI GIULIA CECCHETTIN POTREBBE ESSERE SOLO MISEREVOLE INVIDIA, IL PIÙ MESCHINO DEI SENTIMENTI, DI UN MASCHIO PER UNA FEMMINA - L’INVIDIA DI UN RAGAZZO PER I BRILLANTI RISULTATI DELLA SUA FIDANZATA NELLO STUDIO, FORSE ANCHE PER LA SUA VITALITÀ ESUBERANTE CHE LUI GUARDAVA DA SPETTATORE-CONTROLLORE, SENZA CONDIVIDERLA…"
-Natalia Aspesi per “la Repubblica” - Estratti
Ogni tanto ne muore una, quest’anno una valanga, 107, di cui 88 omicidi consumati tra le pareti domestiche, ed era da un po’ che il di lei nome non arrivava in prima pagina sotto un grande titolo, come se ormai anche a metterlo in rilievo non ci fosse gran che da dire, non proprio un evento da dimenticare, ma il resto più o meno lo si sapeva: quante le coltellate, quante le pallottole, quanta benzina per darle fuoco; e lui? Era fuggito oppure si era ammazzato.
È stata quell’aria di felicità gentile, 22 anni e ancora la voglia di giocare, quella placida attesa della vita senza pensieri, e poi subito lì, a pochi giorni dal bel traguardo della laurea triennale in “sviluppo di biomateriali per la sostituzione dei tessuti della trachea” a rendere la vita di Giulia Cecchettin così bella da trasformare la sua morte in una cosa ancora più atroce. Più cattiva. Così da provarne vergogna anche noi che neppure la conoscevamo.
E il suo assassino, che compirà 22 anni tra un mese, con la faccia giovane, composta, bella, quel Filippo Turetta, “un ragazzo normale, praticamente perfetto, sempre bravo a scuola”, una maschera buona, che lo rendeva uno di cui ci si fidava. Lui e lei, con la vita davanti, impazienti nell’attesa di una stupida età, e lei già libera di scegliere, come capita alla sua età. Lui di cui qualcuno in questi giorni ha detto che è socialmente pericoloso. Quali demoni, perché poi di demoni deve trattarsi, hanno reso il ragazzo una furia incontenibile, che con venti coltellate ha ammazzato la sua ragazza cercando di farle il male che meritava, in modo di finirla, innocente, con la colpa gravissima di non volerlo più.
Penso a questi ragazzi che come macellai consumati aprono squarci sanguinanti e non gli fa nessun effetto, tutto quel sangue che li divora perché lei muoia dissanguata, come l’Alessandro Impagnatiello tutto chic, che ferisce ripetutamente il ventre ingrossato di Giulia Tramontano, quello che tiene in vita il bambino che non nascerà.
Come Anna Bolena, come Giovanna d’Arco, come Maria Antonietta, come le streghe torturate a migliaia, come tutti i milioni di donne diventate famose per la loro morte e non per lo spicchio della loro inutile vita. Questa volta no, al grande titolo sui giornali ha corrisposto la ribellione delle donne, questa volte in tante, dappertutto, a camminare insieme, tutti insieme, accanto agli uomini che pensano di essere buoni e mai farebbero quella cosa lì, mai e poi mai, e ci credono davvero e noi per questa volta crediamo loro.
Gira intanto l’infima parola, è colpa del Patriarcato! Qualcuno dovrà avere la colpa di queste stragi continue, che i distratti signori della corte avevano cominciato a notare, toh, guardane un’altra fatta fuori con l’accetta, da un buon numero di anni, quando non era più una cosa quasi ovvia. Davvero il Patriarcato? Quella cosa che credevamo di aver iniziato a distruggere più di 50 anni fa, riuscendo negli anni ’70 a eliminare le leggi contro le donne, il nuovo diritto di famiglia, l’interruzione di gravidanza, il divorzio.
Poco prima avevano ottenuto di entrare in magistratura, di fare il soldato, si era cominciato a chiedersi perché dovevamo tenerci tanto alla famosa verginità senza la quale non trovavi più marito o ti tagliavano la testa: in ogni caso se da sposata facevi le corna al marito potevi finire in galera, gli uomini no naturalmente. E intanto, mentre le signore guardavano orripilate con uno specchio davanti la loro misteriosa vagina, gli uomini che si ritenevano moderni facevano autocoscienza continuando a sgridarsi per la loro mascolinità. C’erano poi le ragazze che frequentavano la nuovissima università di Sociologia di Trento (quella del povero Alberoni) che freneticamente cercavano un buonuomo disposto a liberarle dalla famosa verginità e nessuno si prestava all’incomodo, temendo poi qualche raggiro.
Comunque la parola verginità mi appare quasi defunta. Sarò poco riflessiva, ma se da tempo ormai tutto mi sembra cambiato, non è che le donne siano di molto cambiate, mentre ai maschi non gli abbiamo dato peso e sono rimasti com’erano? Con un retaggio antico di cui non gli è venuto in mente di liberarsi e gli è rimasto addosso, come un linguaggio primitivo. E noi sciocchine, col modesto desiderio di raggiungerli e poi fermarci contente, neanche l’idea di andare oltre. Eravamo quasi a posto, ci mancava forse lo stipendio adeguato per non parlare del salario minimo che non piace a chi ne ha.
Patriarcato sì o Patriarcato no? Potrebbe dipendere dalla testa, ma era ovvio che Giulia si era sbagliata, che il suo bel ragazzo era quello e basta, e l’ha capito troppo tardi.
Poi si sa ci sono le donne intelligenti e quelle sceme, non tutte sono intelligenti e molte sono sceme, ce n’è di meschine e di tutti gli aggettivi in giro, e poi anche un sacco di cattive e cattivissime. Saremmo addirittura normali se qualcuno ogni tanto, parecchio migliorate, non ci facesse fuori. Sfortunata anche la destra andata al potere (e non si sa per quale bizzarria) che si trova adesso con le donne nemiche e pronte a rifiutare i figli, che potrebbero trovarsi senza madre ammazzata e padre pure.
E avanzo un azzardo: nel caso di Giulia non potrebbe essere solo miserevole Invidia, il più meschino dei sentimenti, di un maschio per una femmina, come per tante altre ragazze ammazzate? L’invidia di un ragazzo cui i genitori guardavano con la soggezione di oggi, senza vederne la follia.
Dice Laura Boella, filosofa, che ha appena partecipato alla bellissima mostra su Maria Callas alla Scala: «È l’inizio del profilarsi dell’Invidia di un giovane uomo per i brillanti risultati della sua fidanzata nello studio, forse anche per la sua vitalità esuberante che lui guardava da spettatore-controllore, senza condividerla. Invidia, una parola che non appartiene al vocabolario affettivo dei drammi amorosi (gelosia, infedeltà) ma a quello della Competizione delle performance diventate le leggi sacre della società attuale».
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