IN TEMPO DI MORÌA DI LEADER, PURE UN GIUSEPPI È UNO STATISTA - CONTE SI ''OFFRE'' A ZINGARETTI COME FEDERATORE DEL NUOVO ULIVO, DA D'ALEMA A +EUROPA E RENZI, CON QUEL CHE RESTA DEL M5S DI SINISTRA. E A NICOLA VA BENISSIMO, VISTO CHE DETESTA L'IDEA DI FARE IL CANDIDATO PREMIER - IN CAMBIO DI QUESTA NUOVA VISIONE ''GOVERNISTA'', CONTE PROMETTE AI GRILLINI CHE LA VERIFICA NON SARà TROPPO SBILANCIATA IN FAVORE DEL PD O DI ITALIA VIVA
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1 - CONTE SI “OFFRE” A ZINGARETTI: IO FEDERATORE DEL NUOVO ULIVO
Adalberto Signore per “il Giornale”
Questa estate gli sono bastate quattro settimane per togliere i panni del premier dell' alleanza sovranista M5s-Lega e indossare il doppio petto da presidente del Consiglio del nuovo asse filoeuropeista M5s-Pd. Ora, passati sei mesi, Giuseppe Conte è pronto a rilanciare, deciso a completare la traversata. Non solo proponendosi come il garante dei dem nei nuovi equilibri di governo post regionali, ma provando a candidarsi a federatore di una sorta di Ulivo 2.0.
Un' alleanza strutturale tra il Pd, le diverse anime del centrosinistra (da +Europa a Leu), l' ala sinistra del M5s e, chissà, magari anche le Sardine o quel che diventerà nei prossimi mesi il movimento nato in piazza Maggiore a Bologna.
D' altra parte, il voto di ieri segna un prepotente ritorno in scena del bipolarismo, con i Cinque stelle inchiodati tra il 5 e il 6%. Una débâcle, soprattutto considerando che alle politiche del 2018 il Movimento aveva superato il 27% in Emilia-Romagna e il 43% in Calabria. Un patrimonio di consensi che in meno di due anni Luigi Di Maio è riuscito a dilapidare completamente. Impresa, va detto, a suo modo quasi impossibile.
Il sostegno trasversale che ha caratterizzato la creatura di Beppe Grillo, infatti, si è andato velocemente ricollocando nelle aree da cui veniva. Prima a destra, con la crescita esponenziale della Lega nell' anno di governo gialloverde. E ora a sinistra, al punto che il confermato governatore dell' Emilia Romagna Stefano Bonaccini ha potuto beneficiare anche del voto disgiunto degli elettori grillini.
In questo scenario, dunque, l' idea che da tempo coltiva Nicola Zingaretti - e prima di lui Dario Franceschini - di dar vita ad un' alleanza strutturale Pd-M5s sembra guadagnare terreno. Certo, resta l' incognita della riforma della legge elettorale, ma lo schema di due poli che si contendono la vittoria torna prepotentemente d' attualità. Ecco perché Conte, da tempo in rotta d' intercettazione verso il Pd, è pronto a farsi garante non solo dell' attuale alleanza ma anche di quella che potrebbe delinearsi in futuro.
Il premier, infatti, ha dalla sua un rapporto saldo con l' ala sinistra del Movimento, che resta pur sempre il partito che da un giorno all' altro lo ha catapultato dalla cattedra universitaria alla presidenza del Consiglio. E in questi mesi ha saputo costruirsi un rapporto anche con i vertici del Pd, al punto di indispettire più d' una volta il suo ex amico Di Maio. A dicembre, per esempio. Quando Conte si presentò in Parlamento e con a fianco il ministro degli Esteri disse chiaro e tondo che Matteo Salvini «non poteva non sapere» della trattativa sul Mes.
Un «parlare a suocera perché nuora intenda», visto che il leader della Lega è stato vicepremier del Conte 1 tanto quanto lo è stato Di Maio.
Così, non è affatto un caso che ieri il presidente del Consiglio abbia auspicato la nascita di un «ampio campo progressista e riformista dove si possano trovare tutte le forze alternative alle destre». Una «area innovatrice», ha ripetuto in serata, dove «potrebbe avere spazio anche il M5s».
Il punto di arrivo cui guarda Conte, dunque, è una sorta di nuovo Ulivo che possa competere elettoralmente con il centrodestra a trazione Lega. Tanto che ieri ha lanciato un amo anche verso le Sardine: «Le vorrei incontrare per raccogliere le loro sensibilità».
D' altra parte, di questo soggetto il premier ha l' ambizione di proporsi come il punto di congiunzione tra tutte le diverse anime. Ed è in quest' ottica, raccontano a Palazzo Chigi, che avrebbe manifestato il suo favore a un' eventuale nomina di Paola Taverna a capo politico del M5s. L' attuale vicepresidente del Senato, infatti, è decisamente collocata a sinistra e contribuirebbe a favorire il traghettamento di quel che resta dei Cinque stelle in quel «campo» di cui parla Conte.
Un' operazione su cui però pesa l' incognita Di Maio. Il ministro degli Esteri, infatti, sarebbe tentato da un ritorno di fiamma con Salvini. E potrebbe portargli in dote un certo numero di senatori se davvero si arrivasse a un redde rationem all' interno dei gruppi parlamentari grillini. Chissà, magari anche con il nullaosta di Davide Casaleggio. Non è un caso che ieri Vito Crimi abbia bocciato sonoramente l' idea di Conte (e Zingaretti) di un «campo» progressista. «Ai cittadini di fare un fronte per sconfiggere le destre non frega niente», ha sentenziato il reggente del M5s facendo infuriare quel che resta di un partito ormai allo sbando.
2 - IL PREMIER IN CAMPO, MOSSA PER SPOSTARE I GRILLINI A SINISTRA
Marco Conti per “il Messaggero”
Giuseppe Conte si schiera ed entra a piedi uniti nelle fasi precongressuali del M5S. «Io non ho nulla a che fare con queste destre», dice ospite de La7. Un messaggio che amplifica, e in qualche modo chiarisce, ciò che il presidente del Consiglio aveva detto poche ore prima davanti l'uscio di palazzo Chigi quando si era augurato che «si rafforzi un ampio fronte progressista». Malgrado dica che non intenda mettersi a fare il leader di partito, Conte prova ad indicare una via d'uscita al M5S e prova ad offrire, ai tantissimi parlamentari grillini che non vogliono tornare a casa anzitempo, un motivo nobile per giustificare altri tre anni di legislatura.
LA FATICA
Disegnare la cornice di un'alleanza organica con il Pd, e con tutto lo schieramento di centrosinistra, rappresenta per Conte (che in tv confida: «In Emilia mi sarei affidato al voto disgiunto») quasi una precondizione della verifica di maggioranza che si appresta a proporre ai partiti che lo sostengono. Per non esaltare troppo il successo del Pd in Emilia Romagna, Conte augura buon lavoro sia a Stefano Bonaccini che all'azzurra Jole Santelli, ma nel mirino mette il suo ex vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini che di fatto indica come leader di quelle destre con le quali non intende avere a che fare.
Una sorta di delegittimazione dell'avversario che scava un fossato soprattutto con coloro che nella maggioranza rimpiangono l'alleato lumbard o esaltano una terza via che elettoralmente fatica a concretizzarsi. Posizionandosi su un fronte, Conte sembra quasi sfidare chi avrà il coraggio di posizionarsi sul fronte opposto rimanendo magari ancora al governo. Un messaggio che punta diritto al suo ministro degli Esteri Luigi Di Maio. L'ex leader grillino non ha ancor commentato il voto di domenica ma la sua contrarietà a comporre un governo con il Pd si unisce la contrarietà a costruire con i dem un'alleanza organica anti-Salvini.
In cambio di una prospettiva «riformista» tutta da costruire, e che si realizzerebbe nell'ambito di una legge elettorale proporzionale e non di un sistema maggioritario, Conte offre ai grillini - orfani della terza via - che la verifica di governo non finisca per sbilanciarsi in favore del Pd o di Italia Viva. Ed infatti, nell'intervista in tv Conte infarcisce la verifica di maggioranza di temi cari al Movimento, come lo sviluppo sostenibile, la svolta green, la digitalizzazione.
Le garanzie offerte da Conte a Crimi, durante il colloquio telefonico mattutino, hanno così permesso al reggente del Movimento di presentarsi davanti ai taccuini con la garanzia che la legislatura andrà avanti, che alle prossime regionali non ci sono alleanze da realizzare per forza, e senza vedersi quindi costretto a dover anticipare in qualche modo la scelta delle alleanze che il M5S sarà chiamato a fare in occasione degli stati generali di marzo. Resta il fatto che Conte, presidente del Consiglio indicato dal M5S, ha scelto da che parte stare e si erge a punto di riferimento di quel fronte riformista, alternativo alle destre guidate da Salvini.
Ad offrire una certezza ancor più ampia che la legislatura andrà avanti, è il consiglio dei ministri del pomeriggio che indica per il 29 marzo la data del referendum sul taglio dei parlamentari. Fissare la data serve a chiudere anche quel minimo spazio di ambiguità che, secondo qualcuno, avrebbe ancora permesso di tornare alle urne per eleggere un nuovo Parlamento con i numeri attuali e non con quelli della riforma costituzionale. Una tentazione che, secondo alcuni, poteva avere l'ala destra. Anche perché è lo stesso Conte a ricordare a tutti che «i numeri in Parlamento» sono diversi da quelli usciti dalle elezioni di domenica e che con questi occorre fare i conti. Pd compreso.
La scommessa di Conte sta tutta nel buongoverno perché, come Stefano Bonaccini, è convinto che «vincere in Emilia Romagna non basta» e che «ora bisogna governare» in modo da arrivare alla scadenza della legislatura con un bagaglio di riforme in grado di convincere l'elettorato a proseguire con la stessa maggioranza.