IL TETTO AI SUPER-STIPENDI? MADDECHÉ! FANNO TUTTI COME GLI PARE: ALLA CORTE COSTITUZIONALE NON HANNO FATTO UNA PIEGA, QUASI COMICO IL CASO DELLA BANCA D' ITALIA CHE DECIDE IN AUTONOMIA - E LE SOCIETÀ A CONTROLLO PUBBLICO VANNO PER LA LORO STRADA -
Virginia Della Sala e Giorgio Meletti per “il Fatto Quotidiano”
Matteo Renzi non gliele manda a dire. Due giorni fa, al teatro Rossini di Pesaro, ha scagliato la sua rituale invettiva anticasta: "Dall' anno scorso abbiamo messo un tetto agli stipendi dei manager, e non è un tettuccio. C' è qualcuno che approfittando degli organismi costituzionali, approfitta e non si taglia lo stipendio".
Un anno e mezzo fa, dopo aver riproposto il taglio ai superstipendi già deciso da Mario Monti con il suo primo atto di governo (decreto Salvaitalia, dicembre 2011) e da Enrico Letta, si finse fiducioso: "Io spero che anche gli organi costituzionali accettino il taglio al tetto degli stipendi con la comparazione al salario del presidente della Repubblica". Ma non c' è niente da fare, continuano a fare i loro comodi.
il dato curioso è che stavolta la rabbia renziana era rivolta all' interno della cerchia più intima del cerchio magico. È stato infatti il tesoriere del Pd Francesco Bonifazi, avvocato fiorentino, nella sua veste di presidente della Commissione giurisdizionale per il personale della Camera, a firmare una decisione che ha fatto infuriare perfino la presidente della Camera Laura Boldrini, generalmente accusata di buonismo.
La Camera, che in quanto organo costituzionale gode della cosiddetta autodichia, aveva deciso di portare sotto il tetto dei 240 mila euro annui (lo stipendio del presidente della Repubblica) tutti i suoi alti funzionari, ma di tagliare in proporzione anche gli altissimi stipendi sottostanti, come il leggendario barbiere da 160 mila euro.
I dipendenti della Camera hanno fatto ricorso all' organo di giurisdizione interno e Bonifazi gli ha dato ragione, ma solo a loro, ai più pagati no. Così ai consiglieri parlamentari che arrivavano a guadagnare 360 mila euro si applica un drastico taglio fino al 30 per cento dello stipendio, il barbiere continua a guadagnare 160 mila euro.
Applicando in modo creativo i canoni della meritocrazia renziana, Bonifazi argomenta che gli uscieri della Camera, privati "delle leve di incentivazione determinate dal consolidato sviluppo stipendiale", potrebbero dar luogo "a comportamenti poco virtuosi e a cali di produttività determinati dall' assenza di competizione". La Boldrini ha dovuto fare ricorso alla commissione giurisdizionale di appello, altri deputati che a settembre prenderanno la decisione definitiva. E vedremo.
Il fatto è che il tetto ai superstipendi è una specie di araba fenice. Fatta la legge, subito sono stati trovati inganni a profusione. Quello degli organi costituzionali appare un ostacolo invalicabile. La Corte Costituzionale per esempio non ha fatto una piega, il presidente Alessandro Criscuolo guadagna 423 mila euro all' anno, i giudici semplici 360 mila. E al Quirinale i tagli sono dovuti solo alla volontà del presidente Sergio Mattarella, che per stare nel tetto dei 240 mila euro ha rinunciato alla pensione da professore universitario.
Quasi comico il caso della Banca d' Italia, perla quale Renzi ha scritto nel decreto legge 66/2014 un comma di legge fenomenale, un impareggiabile ossimoro giuridico: "La Banca d' Italia, nella sua autonomia organizzativa e finanziaria, adegua il proprio ordinamento ai principi di cui al presente articolo". Dare ordini a un' istituzione dotata di autonomia è grottesco. Infatti il governatore Ignazio Visco, nella sua autonomia organizzativa e finanziaria, continua a in cassare 450 mila euro l' anno, il direttore generale Salvatore Rossi 400 mila.
Poi ci sono le società a controllo pubblico quotate in Borsa. Per queste si era previsto di imporre attraverso l' assemblea degli azionisti, un taglio agli stipendi dei manager che non potevano superare il 75 per cento di quello dei predecessori. Ma in Finmeccanica l' amministratore delegato Mauro Moretti ha ottenuto esattamente lo stesso emolumento del predecessore Alessandro Pansa, 2,2 milioni all' anno tra fisso e variabile. All' Eni Claudio Descalzi ha portato a casa nel 2014 3,3 milioni. All' Enel Francesco Starace ha guadagnato 2,2 milioni.
POI CI SONO le società pubbliche non quotate, per le quali però si è previsto di salvare dalla mannaia stipendiale quelle che emettono obbligazioni quotate. Immediatamente chi non l' aveva ancora fatto si è precipitato a indebitarsi emettendo titoli quotati.
Salvo così lo stipendio del nuovo direttore generale della Rai, Antonio Campo Dall' Orto: non è ancora fissato ufficialmente ma dovrebbe attestarsi sui 500 mila euro. Nessun problema neppure per il numero uno delle Poste Francesco Caio (1,2 milioni di euro) e per i nuovi vertici di Cassa Depositi e Prestiti, anche se per ora i loro stipendi sono top secret.
Il presidente Claudio Costamagna, nominato il mese scorso, può puntare alla stessa retribuzione del predecessore Franco Bassanini (275 mila euro annui), mentre l' amministratore delegato Fabio Gallia può chiedere quanto il predecessore Giovanni Gorno Tempini (823 mila).