IL TFR È MIO E LO GESTISCO IO – IL GOVERNO VUOLE DIROTTARE IL TFR DEI LAVORATORI NEI FONDI PENSIONE: I DIPENDENTI SARANNO CHIAMATI A ESPLICITARE SE LASCIARE IN AZIENDA IL PROPRIO TRATTAMENTE DI FINE RAPPORTO - IN CASO DI "NON SCELTA", SCATTERÀ IL SILENZIO-ASSENZO: IL GRUZZOLETTO SARÀ VERSATO IN AUTOMATICO NELLE CASE DEI FONDI PENSIONE E NON SI POTRÀ PIÙ TORNARE INDIETRO – L’OBIETTIVO È RAFFORZARE LA PREVIDENZA INTEGRATIVA PER I PIÙ GIOVANI MA COSI' FACENDO...

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Estratto dell’articolo di Anna Maria Angelone per “la Stampa”

 

Fondo Inps Tfr

Per capire come finirà la partita del Tfr nei fondi pensione bisognerà attendere, probabilmente, mercoledì prossimo quando sarà definita la lista degli emendamenti alla manovra da votare. Ma, grazie a tre "correttivi" riammessi dalla commissione Bilancio, la maggioranza ha riacciuffato in extremis l'idea di un semestre di silenzio-assenso per destinare il trattamento di fine rapporto dei lavoratori alla pensione complementare. Il primo ritocco, a firma della leghista Tiziana Nisini, chiede l'introduzione di una finestra dal 1° aprile al 30 settembre 2025 mentre Walter Rizzetto (Fratelli d'Italia) propone di far partire il semestre il 1° gennaio.

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Che cosa accadrà, se approvato? Durante questi sei mesi, tutti i lavoratori saranno chiamati a esplicitare se lasciare in azienda il proprio Tfr. In caso di "non scelta", scatterà automatico il versamento del Tfr alle forme di pensione integrativa e non si potrà più tornare indietro (le norme attuali consentono di cambiare idea solo a chi lo accantona). Il datore di lavoro, dunque, si troverà nella condizione di trasferire il Tfr maturando degli assunti ai fondi pensionistici di categoria dei contratti collettivi o territoriali o al fondo con le maggiori adesioni dei dipendenti.

 

[…] Sulla carta, l'obiettivo è rafforzare la previdenza integrativa soprattutto per i giovani, i più penalizzati dal sistema contributivo. […]

 

TFR TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO

Addio alla "buonuscita"?

Tecnicamente, il trattamento di fine rapporto è una retribuzione differita accantonata dal lavoratore durante la sua carriera. Si tratta di una sorta di liquidazione percepita in caso di perdita del posto di lavoro o pensionamento.

 

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[…] A tutti gli effetti, dunque, il Tfr è una forma di risparmio "forzoso" che può tornare molto utile se si resta senza occupazione o si ha bisogno di liquidità immediata per imprevisti o spese di una certa entità.

 

Secondo l'ultima relazione annuale Covip, in Italia sono attivi 302 fondi pensione (al 31 dicembre 2023). Hanno aderito a una forma di previdenza complementare 9,7 milioni di lavoratori italiani pari al 36,9% della forza lavoro (ma quelli effettivamente versanti si fermano a 6,7 milioni). La media annua di contribuzione è di 2.810 euro a iscritto. Ma la forbice fra Nord e Sud, uomini e donne, dipendenti e autonomi è ampia.

 

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Un lavoratore della Lombardia versa praticamente il doppio di uno della Calabria (3.470 euro contro i 1.740 euro), gli uomini versano un 20% in più delle donne (3.010 euro contro i 2.540), i dipendenti più degli autonomi (2.900 euro rispetto a 2.720). E gli under 35 meno degli over 50: 1.810 euro annui rispetto a molto più di 3.000 euro. Insomma, è chiaro che un fattore decisivo per costruire un robusto trattamento integrativo resta una carriera senza interruzioni e buona retribuzione.

 

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Preoccupate dall'eventuale cambio sono soprattutto le micro e piccole imprese (come noto, l'ossatura produttiva italiana). Il Centro Studi e Ricerche Itinerari previdenziali stima che più della metà della forza lavoro dipende da aziende familiari e pmi ma solo il 10% di questi addetti è iscritto a una previdenza complementare. Queste aziende "micro", che oggi non versano il Tfr alla Tesoreria Inps (l'obbligo parte dai 50 dipendenti), perderebbero un importante sostegno finanziario. E potrebbero essere costrette, in assenza di liquidità, a fare ricorso a prestiti.

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