TOGHE CHE SBAGLIANO – “IO, INNOCENTE IN PRIGIONE PER 100 GIORNI. CHI PAGHERÀ PER QUESTA VIOLENZA?” – LA STORIA DI MARIO ROSSETTI, EX MANAGER FASTWEB ASSOLTO IN PRIMO GRADO, DIVENTA UN LIBRO – NEL FRATTEMPO HA ANCHE PERSO UN FIGLIO
Paolo Colonnello per “la Stampa”
«Io non avevo l’avvocato», (Mondadori, 143 pagine, 18 euro) è un libro che andrebbe caldamente raccomandato nelle scuole di giornalismo e in quelle di formazione dei giovani magistrati. E che, uscendo proprio in questi giorni, piomba come un sasso nello stagno delle polemiche sulla riforma della legge Vassalli per l’inasprimento delle responsabilità civili dei giudici, scuotendo le coscienze e ponendo un’unica, semplicissima domanda: chi paga per la vita di un uomo (e della sua famiglia) travolto da un’inchiesta giudiziaria, dimenticato in carcere e infine assolto?
Prefato da un giornalista «di sinistra» e non certo tenero con gli scandali nostrani come Massimo Mucchetti, ora presidente della Commissione Industria del Senato; scritto con la collaborazione di un altro giornalista come Sergio Luciano; arricchito da citazioni di Giovanni Falcone, del presidente di Cassazione Giorgio Santacroce e di giuristi, già del Csm, come Giuseppe Di Federico, «Io non avevo l’avvocato» fornisce un elemento di riflessione indispensabile, senza mai una parola di rancore o di rivalsa, alla questione che agita la magistratura raccontando la storia, che purtroppo si ripete con frequenza, di un tragico errore giudiziario.
Solleva inoltre l’eterna questione dell’(in)utilità di un carcere crudele e ottuso che costringe all’ozio e non fornisce alcuno strumento di lavoro e formazione e dunque, di vera riabilitazione e colpisce infine il cinismo distratto dei giornalisti.
Perché questa è la storia, narrata in prima persona, di Mario Rossetti, 50 anni, ex manager Fastweb, laurea in economia e un master ad Harvard, che ha visto la sua vita spezzarsi improvvisamente una mattina piovigginosa del 23 febbraio 2010, quando il Nucleo Valutario della Guardia di Finanza di Roma, suonò alla porta della sua bella casa milanese per una perquisizione cui seguì l’arresto, di fronte allo sconcerto di moglie e tre figli, di 2, 9 e 10 anni: «Troppo piccoli per capire, ma abbastanza grandi per ricordare tutto ancora oggi con grande precisione…».
L’inizio di un calvario durato oltre 100 giorni nelle celle di San Vittore prima e Rebibbia dopo (di rara umanità la descrizione dei compagni di cella e del mondo dolente delle prigioni), e proseguito per 8 mesi di arresti domiciliari, prima che una sentenza, di primo grado ma priva di ombre, lo dichiarasse completamente innocente e lo assolvesse da ogni reato.
Senza però cancellare il dolore non solo della perdita del proprio status, dei propri beni (sequestrati anche alla moglie) e di un’onorabilità compromessa inesorabilmente dai siti web che ricordano poco e possibilmente il peggio, ma anche del figlio più piccolo, ammalatosi di un tumore incurabile e deceduto giusto un anno fa: «Una scomparsa - scrive Rossetti - forse soltanto coincisa con la violenza, insensata e arbitraria, che si è abbattuta su casa nostra».
È una storia tremenda e in un certo senso epica quella di Mario Rossetti, che senza questo libro avrebbe rischiato di finire nell’oblio di un Paese fin troppo abituato a scandali colossali, tanto da non curarsene quasi e non conoscerne la fine.
Nella monumentale sentenza di mille e 800 pagine con cui sono state distribuite a pioggia condanne e (poche) assoluzioni nel processo romano Fastweb Telecom-Sparkle - tra queste quella più nota di Silvio Scaglia, il fondatore del colosso delle fibre ottiche - il nome di Mario Rossetti compare in non più di due pagine per dire che l’ex manager in questa storia non c’entrava niente.
E dunque, andava assolto con formula piena. Due paginette per cancellare 100 giorni di carcere e 8 mesi di arresti domiciliari.
Ma è possibile riassumere in poche righe la distruzione e la riabilitazione di una vita? Eppure, Mario Rossetti, un nome che sembra un eponimo dell’italiano medio, è rimasto uno sconosciuto ai più. L’incubo per altro non è ancora finito, dato che la Procura ha impugnato la sentenza e si attende l’esito del processo d’appello. A maggior ragione, la scelta di Rossetti risalta nella coraggiosa imprudenza degli innocenti, che fanno risuonare il loro grido di giustizia più alto di qualsiasi consiglio «strategico» e legale: il silenzio.