TOMO TOMO, LEMME LEMME, ANCORA GERUSALEMME - LA CITTÀ SANTA TORNA AL CENTRO DI UNA GUERRA RELIGIOSA TRA EBREI E MUSULMANI - MA ANCHE I CRISTIANI RECLAMANO LA LORO PARTE - SONO MOLTI I LUOGHI SACRI CONTESI
Roberto Tottoli per il “Corriere della Sera”
Dopo la crisi della spianata delle moschee nelle scorse settimane, l’attentato alla sinagoga alla periferia di Gerusalemme getta nella crisi palestinese un ulteriore elemento di contrasto e rivalità.
Mette un ulteriore carico su equilibri precari, già provati da decenni di irriducibili rivalità e scontri politici, economici e sociali, aggiungendovi il fattore religioso. E ciò non giunge inatteso, ma a coronamento di decenni che hanno visto tale fattore crescere inesorabilmente e lasciare non solo irrisolti, ma ancor più complicati i rapporti tra ebraismo, cristianesimo e islam a Gerusalemme e in tutta la Terra Santa.
Motivi di tensioni e il crescere di rivendicazioni a sfondo religioso si son fatti negli ultimi decenni ancora più accesi, su tutti i fronti. I tradizionali luoghi cristiani soffrono da tempo l’erosione delle comunità cristiane orientali e scontano le divisioni confessionali e le diffidenze degli altri attori in gioco.
Vecchi presidi sopravvivono a fatica in un ambiente circostante che sembra relegare la presenza cristiana in second’ordine, nonostante una storia secolare ben diversa. I contrasti più evidenti riguardano però la comunità ebraica e quella musulmana, in una contesa che si sovrappone alla questione politica.
I luoghi sacri più sensibili sono quelli della spianata, con quella Cupola della Roccia e moschea di al-Aqsa che secondo i musulmani furono teatro dell’ascensione in cielo di Maometto. Ma questi luoghi sono letteralmente costruiti sul Muro del Pianto e su ciò che rimarrebbe del Tempio che, sebbene azzerato dalle antiche distruzioni, sopravvive nelle pietre e nelle fondamenta proprio dei luoghi islamici.
Dopo la guerra del 1967 e l’unificazione sotto controllo israeliano della città, lavori di restauro e le difficili convivenze hanno visto scontri e contrasti di ogni tipo intorno a questi luoghi. Anche le ricerche archeologiche da una parte e dell’altra hanno spesso gettato benzina sul fuoco, sostenendo tesi che avallavano contrastanti rivendicazioni di primogenitura e diritti di proprietà, in quella che appare una situazione ancor più intricata degli stessi contrasti sul terreno tra israeliani e palestinesi.
Un fenomeno simile ha conosciuto la stessa Terra Santa nel suo complesso. L’identificazione e appropriazione di presunti luoghi sacri, legati alla storia biblica cara a ebrei ma anche a musulmani, sono spesso servite per sostituire rivendicazioni politiche o di occupazione del territorio.
Davanti all’espansione israeliana e alla riduzione della presenza cristiana, ebrei e musulmani hanno assecondato lo spuntare di luoghi sacri con la speranza che questo garantisse diritti di controllo e che fermasse le invadenze e le pretese degli uni e degli altri a corto di altri argomenti. Con il risultato di creare spazi religiosi e sacri di dubbio valore storico, e per di più non certo dettati da condivisioni tra le parti, bensì per tutt’altra finalità: marcare un territorio che l’impotente mediazione politica non riesce a difendere e legittimare.
L’attenzione ai luoghi religiosi proietta ora lo scontro su un terreno finora accuratamente evitato da Hamas, ma che riecheggia in una regione segnata da slogan jihadisti e con un Califfato alle porte. L’attentato dice in fondo che la difesa dei diritti dei musulmani sulla Cupola della Roccia e la moschea di al-Aqsa è una priorità e che insidiarli viene ricambiato con la stessa moneta.
E dice, soprattutto, ai salafiti critici al loro interno e ai jihadisti all’esterno, che Hamas (o chi c’è dietro l’attentato) se ne può far carico, rompendo ogni indugio.
Una pessima notizia per Israele, per la crisi palestinese e anche per tutto il Vicino Oriente.