TRONTI, PARTENZA, VIA! “LA DECADENZA DELLA SINISTRA? È INIZIATA NEGLI ANNI ’80 QUANDO SI È MESSA AD INSEGUIRE L’INDIVIDUALISMO” – IL TEORICO DEL MARXISMO OPERAISTA E ZIO DI RENATO ZERO FA 90: “RENATINO È UN UOMO DEL POPOLO. GLI PIACCIONO I RAPPORTI UMANI SEMPLICI E AMA RIPERCORRERE I RICORDI FAMILIARI. È PARTICOLARMENTE LEGATO ALLA MEMORIA DEI NOSTRI PADRI, DEI NOSTRI NONNI" - E POI LA MANO PUBBLICA NELL'ECONOMIA, L’UE E IL DDL ZAN: “SONO PIENO DI DUBBI…”
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Alessandro Rico per “La Verità”
«Ma perché un giornale come La Verità s' interessa a me?». Mario Tronti ha compiuto 90 anni sabato. Teorico del marxismo operaista, già senatore del Pd, prima del Pds e, negli anni di Berlinguer, membro del Comitato centrale del Partito comunista, è quasi meravigliato che gli chiediamo un'intervista.
Ma noi lo cerchiamo esattamente per questo: è da chi proviene da orizzonti culturali diversi che s' impara di più.
Professore, davvero è stato in convento?
«Sì, sono tornato da poco: sono rimasto otto giorni».
Ha apprezzato la vita monastica?
«È una mia antica abitudine, in realtà. Mi piacciono molto gli eremi, i posti isolati, dove c'è il silenzio e si può meditare in pace».
È diventata questa la vera alternativa al capitalismo?(Sorride)
«Spero che ce ne sia qualcun'altra più efficace».
Ad esempio?
«Ormai, si tratterebbe di imboccare una strada molto lunga. Le scorciatoie sono tutte fallite».
Di che scorciatoie parla?
«Il tentativo di costruzione del socialismo, in un Paese solo, tra l'altro, con altri Stati in posizione subordinata».
La sinistra oggi è più attenta a quelli che Marx chiamerebbe i diritti «borghesi», che non al mondo del lavoro?
«Be', sì. La sinistra ha perso le radici, si è adattata, accovacciata in questo mondo, non vede cosa può esserci oltre. Per carità, è difficile capirlo. Ma almeno cercarlo».
Lei vorrebbe che ai diritti individuali si arrivasse partendo dai diritti sociali. È sicuro che sia possibile? Non è che le battaglie per i diritti «borghesi» sono proprio quelle perfettamente funzionali al nuovo capitalismo e alla distruzione dei diritti sociali?
«Non credo che i due tipi di diritti siano alternativi, ma bisogna partire dalla società per arrivare all'individuo. Invece, dagli anni Ottanta in poi, con il reaganismo e il thatcherismo, si è fatto il contrario. "La società non esiste, esistono solo gli individui", era lo slogan».
Sta dicendo che la sinistra è diventata reaganiana?(Risata)
«Addirittura reaganiana, no. Ma la sua decadenza è partita da quella svolta intelligente del capitalismo degli anni Ottanta, con il passaggio dall'industrialismo alla finanza e alla globalizzazione, fino alla virtualità».
Ricorrono i 20 anni dai fatti del G8 di Genova. Come si è passati dalla sinistra che si proclamava «no global», alla sinistra che promuove il globalismo?
«I movimenti no global non si sono incontrati con la sinistra ufficiale, con i partiti».
A volte, chi animava quei movimenti è stato anche cooptato dal potere: prenda un Gennaro Migliore, transitato dalle strade di Genova alle stanze del ministero della Giustizia.
«Sono casi individuali, cose che sono sempre accadute. Non fanno più scandalo. Ma indubbiamente la sinistra s' è perduta, ha smarrito la strada e non vedo molte luci in grado d'illuminarla».
Si è definito un «rivoluzionario conservatore». Non è una contraddizione?
«Non nel mio percorso».
Perché?
«La rivoluzione non è più un atto, come la conquista del Palazzo d'Inverno. È un processo lungo: va recuperato il senso del gradualismo, di un percorso controllato molto fortemente dal pensiero».
E la conservazione che c'entra?
«Quando un processo è lungo, bisogna capire bene da dove viene. In questo caso, c'è tutta una tradizione del movimento operaio da recuperare».
Di che tipo?
«Il movimento operaio ha una storia che parte dalla Rivoluzione industriale, poi nell'Ottocento con la mutualità, le cooperative, le Case del popolo, e, nel Novecento, culmina con le grandi lotte operaie».
Jeff Bezos ed Elon Musk fanno a gara per la conquista dello spazio. Il capitalismo industriale è diventato il capitalismo dei big data. Scusi, ma come si fa a cambiare le cose prendendo spunto dalle lotte operaie ottocentesche?
«Guardi che anche nel Novecento, appunto, sono successe molte cose: il tentativo di costruzione del socialismo, i 30 anni gloriosi del welfare Non si possono aggiornare le lotte del lavoro senza recuperare la memoria di quelle passate».
E oggi, quindi, la lotta che forma deve prendere?
«Ammetto che oggi si combatte ad armi impari. I giganti del Web sono strutture molto sofisticate e potenti».
Ci vuole più Stato nell'economia?
«Ci vuole più pubblico».
Che differenza c'è?
«La mano pubblica non è solo lo Stato: sono anche i partiti, i Parlamenti. E non bisogna contrapporsi al privato, bensì avere l'abilità di controllarlo e indirizzarlo».
Ci vuole anche più sovranità nazionale?
«Le nazioni hanno una storia molto lunga e radicata nell'immaginario dei popoli. Non si superano con dei salti. Io sono un europeista, ma un europeista molto critico».
Cosa non la convince dell'Ue?
«È stata creata un'Europa della moneta. Un'Unione economica europea. Io, invece, penso a un'Unione politica europea. Non uno Stato sovranazionale, piuttosto una struttura federale, che mantiene le nazioni e nello stesso tempo le supera. Anche perché, se non diventa questo, l'Europa verrà schiacciata dai grandi complessi».
Quali?
«Stati Uniti e Cina. Al contrario, essa dovrebbe fare da ponte tra Oriente e Occidente».
L'Europa ha creduto che l'integrazione politica passasse da quella economica? Ha invertito causa ed effetto?
«Sì. Bisognava fare il contrario, come peraltro pensavano i grandi europeisti del dopoguerra, da Robert Schuman ad Alcide De Gasperi a Konrad Adenauer, che desideravano un'Europa politica per superare le grandi guerre civili europee».
Quindi, le loro intenzioni sono state tradite?
«Diciamo che, scomparsi questi grandi personaggi, si è cominciato prima a mettere in comune il carbone e l'acciaio, poi il resto dell'economia, fino alla moneta e alla banca centrale. Per questa via, non si arriverà mai all'Europa politica».
«Ho condotto una vita molto regolare», ha raccontato lei. La famiglia tradizionale ha ancora un valore?
«La famiglia è ancora viva e vegeta nella maggioranza della popolazione non solo italiana, ma, in generale, occidentale. Le nuove forme di aggregazione familiare sono molto minoritarie».
Che ne pensa del ddl Zan?
«Sono pieno di dubbi. Condivido le critiche del femminismo della differenza».
Cioè?
«Mi trovo d'accordo con le critiche al concetto d'identità di genere e di sesso percepito».
Ci sono rischi per la libertà d'espressione?
«Onestamente, questi mi preoccupano meno. Alla fine, oggi è difficile comprimere la libertà d'espressione, anche perché ci sono i nuovi mezzi di comunicazione su Internet. Comunque, spero in un accordo politico che faccia passare un testo di legge senza troppe rotture. Su questi argomenti, non vanno bene gli strappi».
Renato Zero è suo parente?
«È il figlio di mio cugina».
Che personaggio è?
«Un personaggio molto noto, molto amato e seguitissimo dai suoi "sorcini", ma nello stesso tempo è un uomo del popolo: gli piacciono i rapporti umani semplici e, quando ci ritroviamo, ama ripercorrere i ricordi familiari. È particolarmente legato alla memoria dei nostri padri, dei nostri nonni, ne parliamo spessissimo».
La pandemia, essendo in età a rischio, l'ha vissuta con angoscia?
«No. Piuttosto, con curiosità».
In che senso?
«Per me era una cosa nuova. Però, sono stato infastidito dalla chiacchiera continua degli epidemiologi. Ognuno ha detto la sua».
L'hanno disturbata i televirologi?
«Non solo loro. Anche i commentatori che facevano filosofia della storia sul Covid: chi diceva che nulla sarà come prima, chi sosteneva che invece sarebbe tutto tornato identico al passato».
Come andrà a finire? Teme che cresca il livello di controllo sociale?
«I pericoli autoritari non sono più all'ordine del giorno. Il controllo c'è, ma è di un altro tipo. Virtuale. E forse, per questo, anche più profondo: in pratica, siamo tutti schedati».
Il green pass non è un po' questa cosa qui?
«Sì. Ma non bisogna nemmeno esagerare, paragonandolo alla stella gialla cucita sugli abiti degli ebrei durante il nazismo. Tutto sommato, io penso che alla fine le cose torneranno come prima».
Ha appena compiuto 90 anni. In questa società piena di retorica giovanilista, che valore ha la vecchiaia?
«Alla vecchiaia viene dedicata un'attenzione solo formale: tutti parlano bene dei vecchi, poi nella sostanza l'atteggiamento è diverso. Però bisogna anche dire che, pure sui giovani, l'esaltazione è di forma: nei fatti, questa è una società che invecchia e i giovani sono una minoranza».
Ha paura della morte?
«No. Ho vissuto abbastanza, la aspetto con serenità».
Non crede nell'aldilà?
«Non sono credente, però mi mantengo sul confine tra il credere e il non credere, per citare Simone Weil».
Insomma, spera di potersi «svegliare» da qualche altra parte?
(Sorride) «Non è questo che mi preoccupa. Penso che nella vita ci sia molto mistero e che nessuna scienza possa risolverlo. La morte è uno di questi misteri. Bisogna soltanto aspettare che arrivi, senza sforzarsi di comprenderla».
Qual è il senso della vita?
«Vivere cercando. Non appagarsi mai di ciò che si è raggiunto. Stare nella storia attivamente, purché l'attività sia pensata. Io ho trascorso quasi un secolo studiando, informandomi e poi anche giudicando, dicendo la mia. Alla fine, il senso viene da quel che uno lascia».
Lei che cosa lascia?
«I miei scritti, le mie opere. Ma dovranno essere gli altri a giudicarli».