TRUMPIANI ALL OVER THE WORLD – BENJAMIN NETANUAHU FESTEGGIA IL RITORNO DEL TYCOON ALLA CASA BIANCA: “È IL PIÙ GRANDE RITORNO DELLA STORIA” - I DISSIDI DEL 2020 (TRUMP SI ERA ARRABBIATO PERCHÉ “BIBI” AVEVA RICONOSCIUTO LA VITTORIA DI BIDEN) SONO ORMAI SUPERATI. IL 70% DEGLI ISRAELIANI TIFAVA “THE DONALD”, ARTEFICE DEGLI ACCORDI DI ABRAMO, CONTRO KAMALA HARRIS, GIUDICATA FILO-PALESTINESE NONOSTANTE IL MARITO EBREO - TRUMP HA PROMESSO DI METTERE FINE ALLA GUERRA CON HAMAS. MA L’URGENZA POTREBBE ANCHE SFAVORIRE LO STATO EBRAICO…
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NETANYAHU, CON TRUMP IL PIÙ GRANDE RITORNO DELLA STORIA
(ANSA-AFP) - Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, si è congratulato con Trump per il "più grande ritorno della storia". La vittoria di Trump segna "una forte ripresa della grande alleanza" con Israele, afferma il premier israeliano.
NETANYAHU SORRIDE: CON LA VITTORIA DI TRUMP AVRÀ MANO LIBERA A GAZA E IN CISGIORDANIA
Estratto dell’articolo di Fabiana Magrì per www.lastampa.it
Per una notte, gli israeliani avrebbero voluto vivere l’illusione di essere un Paese come gli altri. Cioè, restare incollati ai social o alla tv a seguire sondaggi, dibattiti e analisi sul voto americano, sui pro e i contro di un ritorno di Trump alla Casa Bianca o dell’incoronazione della prima donna presidente degli Stati Uniti.
[…] Fino a quando, cercando di restare il più possibile sotto i radar di Washington, il premier Benjamin Netanyahu ha annunciato l’allontanamento di Yoav Gallant – che del Pentagono è l’interlocutore israeliano privilegiato – dal ministero della Difesa, in uno dei momenti potenzialmente spartiacque della guerra nella regione mediorientale.
Allora Israele è ripiombata nell’anomalia in cui vive da oltre un anno, nella realtà di un Paese in guerra, che non trova pace e unità nemmeno al suo interno. E migliaia di israeliani hanno spento i televisori e sono scesi in strada […] per protestare contro l’ennesima controversa decisione di Bibi (il diminutivo con cui è noto il premier).
Nello Stato ebraico, secondo i sondaggi delle tv, il 70% della popolazione si augurava la vittoria di Donald Trump, che ha assicurato agli elettori americani che avrebbe posto fine in quattro e quattr’otto alla guerra tra Israele e Hamas.
Un’urgenza che, tuttavia, potrebbe anche sfavorire Israele se si traducesse in un cessate il fuoco che ne sconvolgesse i piani. Prevaleva il timore che il sostegno “incrollabile” di Joe Biden a Israele potesse raffreddarsi con Kamala Harris presidente, lei che non tralascia il sostegno alla comunità musulmana e chiede come un mantra di porre fine alla crisi umanitaria a Gaza.
Israele ha bisogno di un alleato saldo alla Casa Bianca, che dimostri di comprendere veramente il ruolo di […] unica democrazia in Medio Oriente. Non soltanto con la continua fornitura di armi e consulenza militare. Più preziosa ancora è la tenuta della coalizione a cinque eserciti in chiave anti Iran che ad aprile difese i cieli e il territorio ebraico dal primo attacco diretto di Teheran.
Il Jerusalem Post fa un passo in più e sostiene che Gerusalemme e Washington «hanno bisogno l’uno dell’altra, ora più che mai», mentre l’antisemitismo negli Stati Uniti è ai massimi livelli da decenni. Israele ha bisogno di libertà di manovra per completare gli obiettivi della guerra nella Striscia, dove sono ancora cento gli ostaggi nelle mani delle fazioni palestinesi, e in Libano. Ma «anche l’America ha bisogno di Israele», ricorda il JPost, visto l’impegno dello Stato ebraico contro l'Iran e i suoi alleati nella regione, nemici degli Stati Uniti tanto quanto di Israele.
Oltre alle considerazioni a lungo termine, gli analisti israeliani si preoccupano dell’immediato. Perché la guerra e i suoi attori non aspetteranno l’insediamento del presidente Usa, a fine gennaio, per decidere le prossime mosse. Casomai, cercheranno di trarre il massimo profitto dal periodo di transizione. Nel possibile scenario di una fase transitoria di caos elettorale l’Asse della Resistenza a guida iraniana (l’Asse del Male, come lo chiama Netanyahu) potrebbe scegliere di colpire per la terza volta Israele, come del resto già annunciato.
A ritenere che, senza dubbio, Trump sia lo scenario peggiore per Israele, per il Medio Oriente e per gli ebrei in generale è il quotidiano liberal Haaretz. Perché, dice l’editoriale, «indebolisce le istituzioni internazionali che sono essenziali per la difesa di Israele» ma, allo stesso tempo, «il suo antagonismo alle norme democratiche e allo stato di diritto» sarà un assist per Netanyahu e il suo governo verso le sue manovre più contestate, dalla riforma del sistema giudiziario all’allargamento degli insediamenti in Cisgiordania. Se non addirittura, ipotizza il giornale, una «prolungata occupazione di Gaza e forse del Libano meridionale».
Che Netanyahu abbia una preferenza per Trump, non è un mistero. Come presidente, il tycoon ha portato la politica statunitense ad allinearsi con l’agenda del Likud di Netanyahu più di qualsiasi altro suo predecessore: ha spostato l'ambasciata Usa a Gerusalemme, ha riconosciuto la sovranità di Israele sulle alture del Golan e ha anche mediato gli accordi di Abramo nella regione.