UN TRUMPIANO DI SINISTRA ALLA SICUREZZA NAZIONALE - IL 45ENNE JAKE SULLIVAN È L’UOMO SCELTO DA BIDEN PER RIPORTARE L’AMERICA AL CENTRO DEL MONDO: “LA POLITICA ESTERA È POLITICA INTERNA, PRIMA DI TUTTO” - AVEVA REDATTO UN DOCUMENTO CHE ADATTAVA CON TONI PROGRESSISTI IL NAZIONALISMO ECONOMICO DI DONALD -  LO SLOGAN BUY AMERICAN, L’ANALISI NEGATIVA SULLA MINACCIA CINESE, MA ANCHE GLI ACCORDI ABRAMO TRA ISRAELE E GLI EMIRATI VISTI DI BUON OCCHIO...

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Federico Rampini per “la Repubblica

 

JAKE SULLIVAN HILLARY CLINTON

«La politica estera è politica interna, prima di tutto». Jake Sullivan è l'uomo da osservare per capire quale visione ispira la strategia globale della presidenza Biden. A 45 anni, Sullivan ha già accumulato un curriculum da veterano; con incarichi a fianco di Hillary Clinton (quando era segretario di Stato), Barack Obama e lo stesso Joe Biden da vicepresidente.

 

JAKE SULLIVAN

Ora alla Casa Bianca lui guida il National Security Council, cabina di regìa dove si decidono politica estera e militare. Non solo quelle, ormai: l'ingresso di John Kerry al National Security Council come super-ambasciatore globale della lotta al cambiamento climatico, è coerente con quella visione di Sullivan: la politica estera include sfide domestiche, anzi deve partire proprio da quelle.

 

jake sullivan

Sullivan è molto esplicito nel suo riferimento alla competizione strategica con la Cina che sarà il tema dominante: «La Cina afferma la superiorità del suo modello. Noi dobbiamo rispondere con i fatti. E dobbiamo rispondere insieme ai nostri alleati».

 

Il legame tra le grandi priorità interne - «uscire dalla pandemia; rilanciare l'economia; ricostruire una democrazia sana e funzionante» - e la politica estera, Sullivan lo esprime anche così: «Per prima cosa dobbiamo costruirci una posizione di forza».

 

jake sullivan scelto da biden

Rimettere ordine in casa propria, avere una società coesa e un'economia dinamica, rinsaldare le alleanze storiche degli Stati Uniti, sono condizioni essenziali per confutare nei fatti il "teorema Xi Jinping" sulla superiore efficienza del sistema politico cinese.

 

Possono sembrare delle affermazioni ovvie, quasi scontate, ma non lo sono. Dietro l'analisi e la strategia di Sullivan c'è una riflessione profonda sulle cause strutturali del trumpismo, e gli errori del partito democratico che hanno regalato alla destra la rappresentanza di tanti lavoratori. Prima che Biden vincesse le elezioni, Sullivan aveva redatto un documento che adattava con toni di sinistra il nazionalismo economico di Trump.

 

jake sullivan e joe biden

S'intitola "Making U.S. Foreign Policy Work Better for the Middle Class", lo ha pubblicato insieme con altri esperti democratici presso il Carnegie Endowment for International Peace. Anticipava di molti mesi la svolta strategica di Biden: se la priorità è ricostruire l'economia americana, bisogna rivedere in modo drastico il liberismo commerciale dell'era di Clinton, Bush, Obama.

 

jake sullivan con hillary clinton e barack obama

Se ricostruire l'economia suona generico, Sullivan aggiunge un obiettivo più preciso: «Ricostruire le nostre classi lavoratrici». Non a caso Biden ha lanciato lo slogan Buy American, compra americano, recuperando da sinistra il protezionismo.

 

La nomina del "falco" Kurt Campbell come super-coordinatore delle politiche verso l'Asia conferma un'analisi molto più negativa sulla minaccia cinese, rispetto alle Amministrazioni Obama-Biden del 2008-2016. Non a caso, prima ancora di entrare alla Casa Bianca, Sullivan a dicembre esortò l'Unione europea a consultare Washington sull'accordo con Xi Jinping sugli investimenti.

 

JOE BIDEN E XI JINPING

L'annuncio di quell'accordo bilaterale alla vigilia di Natale (per ora solo in linea di principio) fu per lui un assaggio delle difficoltà che lo attendono nel ricostruire un'intesa forte con gli europei. Dai rapporti economici alle tecnologie, allineare gli interessi di Washington e Bruxelles è una delle sue priorità.

 

JOE BIDEN E XI JINPING

Un altro terreno su cui promette rigore e intransigenza nei confronti di Pechino è quello dei diritti umani. Tibet, Xinjiang, Hong Kong; nonché il rispetto della democratica Taiwan. Il National Security Adviser, come il suo Commander-in-Chief, è un pragmatico. In pochi giorni ha segnalato che intende recuperare interi pezzi della politica estera di Trump: gli accordi Abramo tra Israele e gli Emirati gli piacciono; l'ambasciata Usa a Gerusalemme rimarrà lì; non c'è fretta di rientrare nell'intesa nucleare con l'Iran finché Teheran non rispetta i suoi doveri. Ha una convinzione forte: l'America ce la farà solo se valorizza la sua forza più preziosa e inestimabile: l'arco di alleanze tra democrazie che spazia dal Patto atlantico fino a Giappone, Corea, Australia, India.