TUTTI CONTRO DE MAGISTRIS, L’UNICA VOCE A FAVORE E’ OVVIAMENTE “IL FATTO” – ‘’DAI GIUDICI DI ROMA UN’INTERPRETAZIONE RADICALE DELL’IMMUNITÀ, ESTESA ALL’INTERO TRAFFICO ANCHE QUANDO IL TELEFONO È USATO DA FAMILIARI E COLLABORATORI”
Antonio Massari e Valeria Pacelli per il “Fatto quotidiano”
Il fine non era la ricerca della prova”. Il “sindaco sospeso” Luigi de Magistris e il suo ex consulente Gioacchino Genchi, nel leggere la sentenza che li condanna, non sembrano affatto un pm e un tecnico impegnati ad applicare la legge, ma una coppia di spioni a caccia dei tabulati telefonici dei parlamentari.
Le loro tecniche d’indagine erano “strumentali” e si muovevano per “fini privati”, in “danno dei parlamentari”, anche al fine d’inserire i dati nel cosiddetto “archivio Genchi”. E infatti i parlamentari saranno risarciti per danni morali: 20mila euro ciascuno. La sentenza – firmata dai giudici Rosanna lanniello, Maria Concetta Giannitti e Chiara Bocola Giudice e depositata ieri – non soltanto condanna Genchi e De Magistris a un anno e tre mesi di reclusione per abuso d’ufficio, ma interpreta le guarentigie dei parlamentari in modo radicale.
Tutto ruota intorno alla rubrica del principale indagato in “Why Not”, Antonio Saladino, che, nel suo telefono aveva indicato, accanto ai numeri telefonici, i nomi di deputati e senatori. “Era sufficiente – scrivono i giudici – cercare specificamente i soggetti politici oggetto di attenzione, pur tra le moltissime utenze elencate, per trovarvi le Sim associate nominativamente al senatore Giuseppe Pisanu, al pari di quelle volutamente tralasciate per rispetto delle guarentigie (es: Gentile, Minniti, Pittelli)”.
ERA SUFFICIENTE, secondo i giudici, per capire che ci si trovava dinanzi a utenze di parlamentari e, quindi, non si dovevano chiedere tabulati. “Bastava accendere i due palmari – continuano – per rinvenire e selezionare nelle memorie altrettanto preziosissime informazioni”. E non importa, come testimoniato da Pisanu nel processo, che quelle utenze non fossero in uso al parlamentare in questione .
Testimonianza inutile. I giudici lo scrivono senza remore: non incide, ai fini della decisione, “l’esame e il contro-esame dei testimoni su intestazioni o disponibilità di utenze diverse rispetto a quelle in contestazione, su ‘contaminazione’ e uso promiscuo di apparecchi, di chiamate e localizzazioni”.
Che sia chiaro per qualsiasi pm: “Le utenze riferibili a parlamentari non possono essere sottoposte ad attività d’investigazione, neppure al solo fine di consacrare, attraverso l’esame dei tabulati relativi al traffico telefonico, quali di dette utenze siano effettivamente utilizzate dal parlamentare e quali altre non lo siano perché destinate a terzi (collaboratori a vario titolo, personale addetto alla sicurezza, persone di famiglia ecc.)”.
Se un collaboratore, utilizzando il telefono del parlamentare, dovesse commettere un reato, secondo la sentenza, godrebbe anche lui delle guarentigie. De Magistris e Genchi, invece, non si sono fermati alla rubrica di Saladino, per verificare che – effettivamente – quei numeri corrispondessero all’uso dei parlamentari.
Ma questa sentenza dimostra che non è possibile. Di più. I due sono “colpevoli” di un “reato continuato” e c’è la “prova della collusione” ossia che hanno “perseguito pervicacemente l’obiettivo immediato e finale di realizzare la conoscibilità dei dati di traffico dei parlamentari, non chiedendo l’autorizzazione alla Camera d’appartenenza, pur di acquisire con urgenza i tabulati”.
Il loro era un disegno preciso, c’era un “contesto univoco, comprovante l’intesa raggiunta e la messa in atto di una violazione comune e consapevole della legge”. E così, pur senza intercettarli, avrebbero violato le utenze riferibili a otto parlamentari, da Prodi a Mastella, mentre indagavano sulla presunta “Loggia di San Marino”, nell’ambito dell’inchiesta Why Not. Utenze che erano tutte in contatto con Saladino. E nessun peso ha l’email, inviata il 22 maggio 2007 da De Magistris a Genchi, quando gli scrive “Attenzione Gozi è un deputato”. Anzi: per i giudici è solo la “conferma dell’assoluta certezza della carica parlamentare di Sandro Gozi a quella data”.
Così gli imputati avrebbero anche dovuto sapere che la scheda intestata alla società Delta Spa, che forniva servizi di telecomunicazione per conto dell’Associazione Ulivo, in realtà veniva utilizzata da Romano Prodi, all’epoca presidente del consiglio. E che Mastella fosse proprio Clemente, ministro di Giustizia, doveva essere chiaro solo perché così era registrato nella rubrica di Saladino.
Dagli atti non si comprende però quale sia il vantaggio concreto e personale che De Magistris e Genchi avrebbero ottenuto: “Manca la finalità e anche il danno recato ai parlamentari: è un punto debole della sentenza”, commenta Massimo Ciardullo, difensore – con Stefano Montone – di Luigi de Magistris che, ieri, annunciando il ricorso, ha commentato: “Non è un errore giudiziario, è molto di più, è una ferita enorme, simile a quella inferta quando mi hanno strappato la toga”.