TUTTI ALLA CORTE DI GIANFRANCO. E LUI, A SENTIRE I MAGISTRATI, ERA GIA’ IN AFFARI CON I TULLIANI - SCALFARI, MIELI, SAVIANO, GIANNINI: I GIORNALONI FACEVANO IL TIFO PER FINI IN CHIAVE ANTI-CAV - C’ERA CHI LO VOLEVA A PALAZZO CHIGI E CHI LO DIFENDEVA DALLA “MACCHINA DI FANGO” PER LA CASA DI MONTECARLO – PECCATO FOSSE TUTTO VERO…
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Adriano Scianca per “la Verità”
«Un' altra destra è possibile»: ci avevano creduto in tanti - non tantissimi, in verità, a giudicare dai risultati elettorali - alla scommessa di Gianfranco Fini, poi naufragata in imbarazzanti quadretti familiari e tesori milionari sotto al materasso. Ma a benedire con quelle parole alate la ribellione finiana al berlusconismo non era stato un vecchio missino stanco dei bunga bunga e delle corna nelle foto ufficiali, bensì Ezio Mauro.
Erano i giorni del dito alzato contro la presidenza del Pdl e del «che fai, mi cacci?», e un editoriale di Repubblica illustrava lo scontro tra i due leader vedendovi in filigrana «due mondi alleati ma inconciliabili». Due vere e proprie lingue diverse: «Una è una cultura conservatrice in senso moderno, repubblicana e costituzionale. L' altra è estremista e rivoluzionaria, proprietaria e post-costituzionale». Addirittura. Il corteggiamento di Repubblica all' ex leader missino, in realtà, durava già da qualche anno, da prima che emergesse la faida col Cav.
Massimo Giannini lo aveva intervistato cinque volte tra il 2006 e il 2007. Nel 2009, il futuro conduttore di Ballarò lodava il «profilo moderno e post-ideologico» del finismo, che dava vita a «una destra delle idee, che ruota intorno a tre perni valoriali: dignità della persona (e quindi tutela dei diritti, a prescindere dal colore della pelle), difesa delle istituzioni (quindi rispetto e bilanciamento dei poteri), laicità dello Stato (quindi libertà religiosa ma primato delle leggi). In questa piattaforma programmatica, a volerla vedere, c' era già la negazione del berlusconismo».
Un endorsement in piena regola, che non poteva non avvalersi dell' assenso del Papa laico della cultura di sinistra: Eugenio Scalfari. Il 21 giugno 2009, Barbapapà faceva il punto sulla crisi del berlusconismo permettendosi di suggerire al Quirinale di sciogliere le Camere senza però indire subito nuove elezioni. No, bastava trovare «una figura istituzionale che conduca il paese alle urne. Nel caso specifico la figura istituzionale si può ravvisare nel presidente della Camera, che assomma in sé un duplice requisito: è la terza carica dello Stato ed è anche il co-fondatore, insieme a Berlusconi, del partito di maggioranza relativa».
Viste quante ne ha combinate da presidente della Camera, chissà che inciuci avrebbe messo su da premier. Ma non se ne è fatto nulla, e la sinistra ha presto urlato al martirio. Particolarmente zelante, Roberto Saviano aveva difeso Fini dalle prime inchieste giornalistiche sulla casa di Montecarlo, nate, secondo lui, quando l' ex leader di Alleanza nazionale «cominciò a dissentire da alcune posizioni a proposito di giustizia e legalità».
E, agli allievi della scuola di giornalismo di Perugia, aveva spiegato che «la macchina del fango è un meccanismo vecchio», citando Falcone, Pasolini e addirittura Matteotti. Quando si dice il senso delle proporzioni. Del resto nel maggio del 2011, Fini aveva ricevuto Saviano a Montecitorio, esprimendo «stima e considerazione», sembra ricambiati dallo scrittore.
Insomma, dal fondatore al direttore passando per l' editorialista-santone, tutta Repubblica si è schierata come un sol uomo al fianco della destra «europea», passando peraltro sopra alle prosaiche questioni di concorrenza. L' ascesa di Fini è stata infatti sponsorizzata con particolare forza dal gruppo Rcs, e in particolar modo da Paolo Mieli. Secondo voci mai confermate - ma alla cosa alludono vari giornalisti e intellettuali in articoli dell' epoca, da Socci a Giuli fino a D' Agostino - l' ex direttore del Corriere della Sera sarebbe stato il ghostwriter, o almeno uno dei principali suggeritori, del libro di Fini, Il futuro della libertà.
In genere per queste cose si scomoda uno stagista o un giornalista compiacente. Se si scomoda Mieli, significa che c' è un investimento politico dietro. Ma, sul punto, va detto che il più lungimirante era stato di nuovo Scalfari, che il 17 aprile 2010 scriveva: «Fini è ancora rilevante perché potrebbe mettere in crisi il governo, ma nella canna del suo fucile ha soltanto quella cartuccia. Sparata quella non ne avrebbe più nessun' altra e la partita passerebbe in altre mani». Era tutto già scritto.