UNO PER UNO, TUTTI GLI IRRIDUCIBILI A 5 STELLE CHE NON INTENDONO VOTARE LA RIFORMA DEL MES NONOSTANTE LA MINACCIA DI CRIMI. NON SI TRATTA SOLO DI DIBBA PEOPLE, MA ANCHE DI SENATORI E DEPUTATI ENTRATI IN ROTTA CON IL MOVIMENTO PER ALTRI MOTIVI (VEDI MORRA). BASTERANNO A FAR SALTARE IL GOVERNO? PROBABILMENTE NO, GRAZIE AL SOCCORSO DI FORZA ITALIA E QUALCHE TRUCCHETTO (TIPO PARLAMENTARI CHE USCIRANNO DALL'AULA)
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Annalisa Cuzzocrea per “la Repubblica”
La certezza è che alla fine - sulla risoluzione di maggioranza prima del consiglio europeo - mancheranno molti voti tra i 5 stelle. Allo stato delle trattative, almeno 15 alla Camera e 10 al Senato. Dopo che il presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrà parlato in aula, mercoledì, comunicando al Parlamento la posizione italiana sulle trattative europee su Mes e Recovery Fund, un pezzo non piccolo del Movimento si staccherà. O non votando o votando contro oppure - come appare probabile nelle ultime ore - addirittura presentando una risoluzione alternativa.
Ci sono persone che né Vito Crimi né i capigruppo sono in grado di controllare. Li chiamano gli irriducibili. È la corrente Di Battista, ma ha cominciato il suo percorso prima del ritorno sulle scene dell'ex deputato, aggregando scontenti, frustrazioni, ambizioni e un po' di antieuropeismo residuo. Tra gli ambiziosi, c'è la senatrice ed ex ministra del Sud Barbara Lezzi, che ha già creato tensioni su Tap prima e su Ilva poi ed è ora in "campagna elettorale" per l'organo collegiale che dovrà guidare il Movimento e che dovrebbe essere eletto entro un mese.
Pare infatti che Di Battista finirà per non correre in prima persona e per spingere, al suo posto, o Lezzi o la consigliera regionale pugliese Antonella Laricchia. Tutto questo serve quindi anche ad acquisire consenso su quella piattaforma Rousseau su cui i dissidenti vorrebbero si votasse ora la riforma europea del Mes. Prima di mercoledì. Altrettanto ambizioso è il presidente della commissione anti- mafia Nicola Morra, da tempo in rotta di collisione con il ministro della Giustizia e capo delegazione del Movimento Alfonso Bonafede (di cui prenderebbe volentieri il posto) ma anche con Luigi Di Maio e col resto dei vertici.
Non è detto che alla fine faccia mancare il suo voto, in assemblea però ha attaccato frontalmente il ministro dell'Economia Gualtieri. A Palazzo Madama c'è poi Elio Lannutti: per lui il Movimento aveva addirittura creato un regolamento ad hoc, permettendogli di candidarsi nonostante sia già stato senatore dell'Italia dei Valori, ma da quando è arrivato il presidente onorario di Adusbef non ha fatto che creare problemi. Ritirando fuori con un tweet l'ignominia dei protocolli dei Savi di Sion, cercando di animare il più possibile lo spirito anti-banche del Movimento.
Non che fosse difficile, visto che uno dei suoi maggiori seguaci, il sottosegretario all'Economia Alessio Villarosa, è tra i deputati che non intendono dire sì alla riforma europea del meccanismo salva-Stati e chiede anzi a gran voce che a decidere siano gli iscritti. Messinese, già capogruppo alla Camera nella prima legislatura, Villarosa va ormai in direzione ostinata e contraria al M5S di governo. Pur facendone parte. Un problema. Quasi quanto la carica dei veneti: il duo anti-Mes in Parlamento è infatti rappresentato da Raphael Raduzzi e Alvise Maniero.
Talmente inscindibili che tutti li chiamano ormai "raduzziemaniero". Il primo, 29enne di Bressanone, è laureato in Economia, consulente in una società di Padova, ed è il teorico dell'intera compagnia. Disposto a spiegare fino all'ultimo cavillo perché il Mes sia una fregatura a prescindere, che si decida di accedere al prestito oppure no. Convinto sostenitore di Donald Trump, su Facebook ne vantava gli enormi successi nel giorno della sconfitta, evocando presunti brogli e attaccando i media a suo dire non obiettivi nel celebrare una vittoria di Biden «di soli 20mila voti». Alvise Maniero ha più esperienza: è diventato sindaco di Mira, uno dei comuni più popolosi della provincia di Venezia, a soli 26 anni. Dopo cinque, ha deciso di non ricandidarsi e di tentare la via del Parlamento. Dell'alleanza coi dem ha detto subito: «Non ci farà bene». E si è messo contro.
Pervicacemente, come quando a Mira lo chiamavano "el puteo": il ragazzino. Con lui, c'è la senatrice veneta Orietta Vanin, sua ex consigliera comunale: anti-Mose, anti- dem, la tendenza è quella definita rosso-bruna cui i teorici della politica ascrivono lo stesso Di Battista. Alla Camera, un altro irriducibile è Andrea Colletti, avvocato abruzzese alla seconda legislatura: è riuscito a fare campagna contro il taglio dei parlamentari senza farsi espellere. Una specie di miracolo.
Tra gli oltranzisti del Senato val la pena citare Mattia Crucioli, avvocato genovese portato nel M5S dall'ex zarina ligure Alice Salvatore (che ha ora fondato, con scarsi risultati, il movimento del buon senso): i suoi scontri con la comunicazione sono arrivati a tal punto che già mesi fa stava per essere espulso.
Quanto a Emanuela Corda, per la quale lavora come assistente la fidanzata di Di Maio Virginia Saba, di lei resta agli atti la confusione: nel 2013 per l'anniversario della strage di Nassirya lamentò il mancato ricordo del «giovane marocchino che si suicidò, anche lui una vittima ». Venerdì, in assemblea, si è scagliata contro i nuovi decreti immigrazione, considerati «un tradimento, un atto di sudditanza nei confronti del Pd che provocherà un'invasione ».
2. CONTE DRIBBLA LA CRISI MA I GUAI TRA I GIALLOROSSI INIZIERANNO DOPO IL VOTO
Laura Cesaretti per “il Giornale”
Il famoso «incidente», temuto a Palazzo Chigi ma sognato da una fetta sempre più larga della maggioranza, non si materializzerà mercoledì nell' aula del Senato.
Tra raffazzonati compromessi sul testo della risoluzione e sconclusionati giri di parole del premier Conte quando parlerà in aula, sulla riforma del Mes si rappattumerà una maggioranza, sia pur risicata, e non si consumerà nessuna traumatica rottura. Tra i grillini, solo il disoccupato Di Battista e Davide Casaleggio, più ex ministri restati a piedi come Barbara Lezzi, cercano di agitare le acque facendo trapelare notizie di «mozioni alternative» a quella di maggioranza (che non dirà nulla) in preparazione. Per il resto dei parlamentari e soprattutto dei senatori pentastellati, il rischio di restare senza stipendio vale sicuramente più dei bislacchi pregiudizi anti-Mes e anti-Ue.
Dunque Conte mercoledì canterà vittoria, grazie anche alla (per lo più infondata) suspense creata attorno alla scadenza. Ma questo non vuol dire che il governo, dopo quel voto, navigherà in acque tranquille. É vero che Conte sta cercando di blindare attorno a sè quel tavolo da 200 miliardi in arrivo dall' Unione europea cui tutti sono ansiosi di sedersi, e che Mattarella continua a stendere la sua protettiva mano sul pettinatissimo capo del premier, ma la maggioranza ribolle di malumori sempre più incontenibili.
A cominciare dal Pd, il cui segretario Zingaretti deve incassare l' umiliazione dell' ennesimo no del premier al Mes sanitario, invocato come irrinunciabile dai dem, ma troppo indigesto per i delicati stomaci grillini perché Conte abbia il coraggio di pronunciarne il nome. Bastava leggere ieri l' intervista a Repubblica del capogruppo Pd Delrio per percepire la crescente sfiducia verso l' azzimato ex leader dei progressisti mondiali che «non è eletto, ma indicato dalle forze politiche», gli ricorda con asprezza.
Per poi avvertirlo che «non si governa per tirare a campare»; che «il governo non è un fine ma un mezzo», invitandolo ad uscire dalla palude delle decisioni rinviate perché «i nodi vanno risolti definitivamente, nei tempi e nei modi giusti.
Altrimenti la fatica di questa alleanza si farà sentire». Delrio denuncia anche «lo scollamento preoccupante tra un paese che soffre e la narrazione rassicurante» del premier, e poi accusa: tra dpcm e decreti «approvati da una sola Camera» perché poi vengono blindati con la fiducia «si è creato un grave vulnus alla volontà popolare rappresentata dal Parlamento». Un requisitoria in piena regola contro Palazzo Chigi, che si unisce alle dure critiche che arrivano anche da Italia viva, che attraverso la ministra Teresa Bellanova minaccia di non votare «a scatola chiusa» le proposte che Conte porterà oggi in Consiglio dei ministri sul Recovery Plan.
«Da una settimana chiediamo le carte per poter orientare la valutazione mia e del mio gruppo politico - racconta Bellanova - Non ho ricevuto neanche un rigo. Non si può sempre forzare oltre il consentito». Lo stesso Matteo Renzi non lesina messaggi bellicosi al premier: «Non ha capito che se va avanti così rischia di cambiare mestiere».
Certo, nessuno vuol lasciare le proprie impronte digitali su una crisi, tanto meno adesso tra legge finanziaria da fare e picchi epidemici. Non a caso il Pd - per precostituirsi l' alibi - fa filtrare veline che indicano Renzi come il potenziale «assassino» del Conte 2, da lui stesso fatto partire. Ma dalla prossima primavera il premier dovrà guardarsi le spalle, e da ogni direzione.