UFFICIO SINISTRI - I BERSANIANI OFFRONO A RENZI IL PRETESTO PER NON FARE CAMPAGNA ELETTORALE - I FANS DI CULATELLO IN CONSIGLIO COMUNALE A FIRENZE MINACCIANO LA SFIDUCIA AL SINDACO SULLA VICENDA DEL MAGGIO FIORENTINO - MATTEUCCIO: “VORRA’ DIRE CHE NON AVRO’ TEMPO PER LA CAMPAGNA” - TRA I DUE SFIDANTI TORNA IL GELO - BERSANI SPERA CHE MONTI VADA BENINO (TRA IL 10 E IL 15%) O DOVRA’ TRATTARE CON IL BANANA…


Maria Teresa Meli per il "Corriere della Sera"

Non è bastato un pranzo a favore di telecamere a riportare la pace in casa democratica. Matteo Renzi e Pier Luigi Bersani si erano lasciati ai primi di gennaio con la promessa di rivedersi presto per fare campagna elettorale insieme. Magari partendo da Firenze, dove da tempo il primo cittadino del capoluogo toscano aveva in animo di organizzare un'iniziativa insieme al segretario per dimostrare la sua «lealtà» alla causa del Pd.

MATTEO RENZI PUPAZZO BIG BANG ITALIA jpeg

«Ti do la mia parola d'onore: dimostrerò la mia coerenza», aveva detto il sindaco rottamatore al leader del Partito democratico che gli chiedeva una mano per evitare che i voti moderati prendessero la strada delle liste montiane lasciando a bocca asciutta il Pd.
Poi è calato di nuovo il silenzio tra i due. Chissà se a causa dei sondaggi. Infatti le ultime rilevazioni sono suonate come un campanello d'allarme.

MATTEO RENZI CON LA MANO NELL'OCCHIO

Ce n'è una, in particolare, assai inquietante. Attribuisce ai centristi il 10,5 per cento. Un po' pochino. Per carità, Bersani non vuole che Monti e i suoi si espandano diventando determinanti al Senato. Né è contento del fatto che il presidente del Consiglio, per cercare i consensi che gli mancano, da qualche giorno in qua si sia trasformato nel paladino dell'antiberlusconismo. Però teme anche il contrario.

Ossia che i montiani ottengano una cifra sotto il 15 per cento, guadagnando una pattuglia ridotta di senatori. Il che li renderebbe ininfluenti e consegnerebbe le chiavi della maggioranza di palazzo Madama al centrodestra, a cui basterebbe vincere in due regioni chiave per diventare determinante al Senato. Il segretario del Pd sarebbe quindi costretto a trattare direttamente con il Cavaliere, o a chiedere il ritorno alle urne. È una prospettiva da incubo, questa per il Partito democratico. Assai peggiore di quella del cosiddetto pareggio.

bersani

Ma se Monti non è messo benissimo non c'è più quell'urgente bisogno di coinvolgere Renzi. Forse è per questo che la linea telefonica tra Bersani e il sindaco di Firenze si è momentaneamente interrotta. E da due giorni è accaduto anche di peggio. I bersaniani della giunta fiorentina hanno tentato di mettere sotto il sindaco. Prendendo a pretesto i licenziamenti di alcuni lavoratori del Maggio Fiorentino, di cui peraltro erano a conoscenza da tempo anche i sindacati perché erano stati decisi nell'estate scorsa.

pier luigi bersani

Nell'ordine del giorno presentato dai consiglieri del Pd fedeli al segretario si accusa Renzi di aver lacerato la maggioranza con questa mossa e gli si chiede conto delle sue intenzioni future. Quasi un preavviso di mozione di sfiducia. Che al sindaco, com'era ovvio, non è piaciuta per niente. «Siamo alla follia - ha detto ai suoi Renzi - io faccio la persona seria, accetto di partecipare alla campagna elettorale per dare un aiuto al Partito democratico, e queste sono le risposte!?».

BERSANI

I tuoni e i fulmini del sindaco di Firenze sono giunti fino a Roma. A largo del Nazareno è scattato lo stato d'allerta. Ma il segretario non si è fatto sentire. Non ha alzato la cornetta o digitato sul cellulare il numero del sindaco di Firenze. Nemmeno un sms. I soliti ambasciatori, però, si sono dati da fare per cercare di rimediare alla situazione. Soprattutto dopo aver sentito con le loro orecchie Renzi dire: «Vuol dire che dovrò rinunciare a fare la campagna elettorale per le elezioni politiche nazionali per occuparmi della crisi della giunta di Firenze».

Il maggio fiorentino

Parole, quelle di Renzi, che hanno fatto riflettere più di un dirigente vicino al segretario. Sarebbe quanto mai controproducente per il Pd, giunto in una fase così delicata, a due passi dalla vittoria, ma senza la certezza di raggiungerla veramente, mandare in scena l'ennesima divisione tra l'ala renziana del partito e la maggioranza bersaniana.

Perciò ieri sera, in fretta e furia, il segretario regionale Andrea Manciulli e quello cittadino Patrizio Mecacci, fedelissimi del leader nazionale, hanno convocato i bersaniani del consiglio comunale per cercare di addivenire a una soluzione ed evitare lo scontro con il sindaco, che in questo momento potrebbe solo nuocere a tutta la «ditta», come Bersani ama chiamare il Pd. Ma dal segretario fino a ieri sera nemmeno una telefonata.