L’ULTIMA ASTUZIA DI DRAGHI: LE PAROLE ANTI-AUSTERITÀ CON IL CONSENSO SEGRETO DELLA MERKEL – LE PAROLE CHIAVE: “SI RISCHIA DI PIÙ A FARE TROPPO POCO CHE A FARE TROPPO”
Maurizio Ricci per “La Repubblica”
Segui Draghi. Il pesce pilota della politica europea o, meglio, il suo più navigato protagonista, l’uomo capace di collocarsi al centro del consenso, un attimo prima che si cristallizzi pubblicamente è uno che, di professione, politico non è, ma, anzi, è un tecnico fra tecnici: il presidente della Banca centrale europea.
«Si rischia di più a fare troppo poco che a fare troppo» ha detto, a sorpresa, Draghi, venerdì scorso ad un convegno di banchieri centrali, in un passaggio destinato, probabilmente, a fare storia come il famoso «salveremo l’euro, costi quel che costi» di due anni fa. Il discorso ha fatto rumore, come era stato certamente calcolato. E ogni parola con cui il custode dell’euro ha preso le distanze dalla politica di austerità era stata attentamente soppesata. Così l’hanno intesa i mercati che, ieri, alla prima seduta utile hanno cavalcato a lungo l’effetto Draghi.
Euforia nelle Borse, che vedono una politica di stimolo europea affiancarsi alla già solida ripresa americana. Rendimenti dei titoli di Stato europei ai minimi (in Germania anche sotto zero) in vista di una politica di allentamento monetario. Euro, per lo stesso motivo, in caduta sul dollaro.
Apparentemente diversa la reazione dei politici. La cancelliera tedesca, Angela Merkel, vola in Spagna per fare, insieme al premier Rajoy, la faccia feroce contro i nemici dell’austerità. E, a Parigi, il presidente Hollande caccia dal governo i ministri di sinistra, per aver detto, contro l’austerità, le cose che lui stesso aveva detto, pochi giorni prima, in un’intervista a Le Monde. I fautori dell’austerità, dunque, che si trincerano nel loro fortino, costringendo anche Hollande a rimangiarsi le sue parole? Se questa tesi fosse vera, Draghi, con il suo discorso di Jackson Hole, avrebbe fatto una netta scelta di campo, accettando la divisione in due della politica europea e schierandosi con il partito anti-austerità.
Chi lo segue da quando è presidente della Bce dubita fortemente che atteggiamenti simili siano nella natura e nello stile dell’uomo. Quello che è emersa, in questi tre anni, è piuttosto una straordinaria capacità di cogliere per primo e per tempo, lo spostarsi degli equilibri della politica europea. Questo, in fondo, è avvenuto due anni
fa. La cosa notevole, nel discorso in cui Draghi annunciò che la Bce era pronta a rastrellare titoli di Stato sul mercato, pur di salvare l’euro non sono le misure prospettate.
Plotoni di economisti le invocavano da mesi. A stupire fu l’assenza di proteste. Ci fu qualche mugugno della Bundesbank, ma la Cancelleria di Berlino si schierò con decisione dietro il presidente della Bce. E’ probabile che, anche questa volta, prima di uscire allo scoperto a Jackson Hole, Draghi abbia provveduto a coprirsi le spalle a Berlino. In questo scenario, sia i “nein” della Merkel, sia le decimazioni (al di là delle motivazioni di politica interna) di Hollande vanno visti soprattutto come un tentativo preventivo di placare un’opinione pubblica, allenata ad essere ultra-sospettosa sugli allentamenti del rigore, come quella tedesca.
Due anni fa, fu l’assalto contro Bonos e Btp a mettere Draghi nelle condizioni di cambiare politica. Adesso? Sostanzialmente due fattori. Il primo è l’oscurarsi delle prospettive dell’economia tedesca. Gli ultimi sondaggi indicano un diffondersi del pessimismo, all’insegna di “sviluppo zero” da qui a fine anno. C’è spazio per una politica di rilancio dei consumi e degli investimenti interni, come, peraltro, molti rivendicano da tempo. Il secondo fattore è l’implodere delle aspettative di inflazione, nel giro di poche settimane, come ha riconosciuto lo stesso Draghi.
La psicologia ha un ruolo cruciale. Se si afferma la convinzione che i prezzi caleranno, la deflazione (come è avvenuto in Giappone negli anni ‘90) può non solo divenire realtà, ma diventare difficilissima da rovesciare. Ecco perché molti, sui mercati, dopo il discorso di venerdì, pensano che la Bce si risolverà presto a lanciare una campagna di rastrellamenti titoli sul mercato, per ridare liquidità e spinta all’economia.
Il “quantitative easing” non è, tuttavia, un esito scontato. L’idea di acquisti, più o meno indiscriminati, di titoli italiani e spagnoli da parte di Francoforte urta particolarmente la suscettibilità tedesca e non è detto che, con i tassi di interesse già così bassi, sia lo strumento più efficace. Draghi ha spostato l’attenzione piuttosto sulla politica di bilancio. Fatti salvi i patti già sottoscritti, Draghi ha indicato l’esistenza di margini di flessibilità per i governi che adottano coraggiose riforme. Nulla di particolarmente sorprendente: i primi a proporre uno scambio (sotto forma di “contratti”) fra riforme e tempi dell’austerità furono proprio i tedeschi. Oggi che a reclamare questo scambio sono Renzi e Hollande, un accordo di principio non sembra impossibile.
Ma il discorso di Draghi apre uno spiraglio anche in un’altra direzione. Molti pensano che le riforme di struttura, pur importanti, non riusciranno a far uscire l’eurozona dalla stagnazione. Servirebbe un rilancio della domanda: consumi e investimenti. Draghi vi accenna esplicitamente, auspicando che la politica bilancio «giochi un ruolo maggiore accanto alla politica monetaria. Lo spazio — dice — c’è». Giocare sui tempi per il rispetto dei parametri, in effetti, non sembra proibitivo. E anche i parametri — come il deficit strutturale da tenere allo 0,5 per cento secondo modelli econometrici discutibili e spesso modificati — non sono scolpiti nella pietra. Di questo si discuterà nelle prossime settimane.